I Re Magi

SAM_5269Durante le feste di Natale mi piace  scovare presepi nelle chiese, nelle mostre, nelle botteghe artigianali e ogni anno scopro qualcosa di nuovo nella storia infinita del presepe e dei suoi personaggi. L’arte presepiale ha un qualcosa di immortale nel suo simbolismo sia  per chi crede, sia per chi non crede. 

Quest’anno vi racconto dei  Re Magi, personaggi del presepe che incutono quasi soggezione con la loro imponente e sfarzosa regalità.

 Nella tradizione presepiale della mia famiglia i re Magi – non ricordo bene se a cavallo di cammelli o dromedari –  avevano il privilegio di essere spostati. In verità anche qualche altro personaggio veniva misteriosamente spostato, anzi abbattuto, dalla gatta che durante raid notturni cercava di accaparrarsi i rametti, faticosamente posizionati come alberi.Ogni giorno i tre Re Magi  facevano un solenne, piccolo passo per avvicinarsi  alla meta, cioè al Bambino Gesù. A volte precipitavano, perchè procedere su  montagne innevate a cavallo di dromedari o cammelli non era facile. Ma  tanto armeggiavo  sui rilievi di carta che li assestavo in un piccolo spiazzo, magari tra greggi abbarbicate, o nei pressi di una cascata. Il loro percorso era degno di un  teletrasporto impazzito: un giorno erano in alto a ponente, l’indomani  in alto a levante e man mano scendevano a valle. Alla vigilia dell’Epifania, finalmente potevano scendere dal dorso dei cammelli- dromedari e sgranchirsi le gambe. Venivano sostituiti dalle tre statuine dei Magi in adorazione, non più nomadi  ma stanziali. Questi stavano in contemplazione della radiosa Natività fino a quando il presepe non veniva smantellato. Due Magi sempre in piedi e uno sempre in ginocchio. Sicuramente non era facile essere Re Mago, riuscire a rimanere impassibilmente fermo, nonostante il turbante, il mantello e lo scrigno proteso come offerta, e a  non farsi distrarre dai vocianti pastori e dai  celestiali cori di  angeli svolazzanti che facevano a gara a chi allelujava  meglio.

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 Ma chi erano i Magi?  I Magoi erano membri di una casta sacerdotale persiana, dediti allo studio del cielo e delle stelle, discepoli di Zoroastro e custodi della sua dottrina.

“Secondo il Vangelo di Matteo, i Re Magi  partirono dall’ oriente verso occidente seguendo una Stella che annunciava la nascita del Re dei Giudei; nel “Vangelo arabo siriaco dell’Infanzia” la predizione della venuta del Messia è attribuita a Zarathustra. Quando nacque Gesù, la congiunzione di Giove e Saturno, (che avviene ogni 854 anni) e non una stella, fece sì che fosse presente una luminosità molto intensa per effetto della diffrazione. É questa la luce che porta i Re Magi a ritenere che sia nato il  Soccorritore e li conduce fino a Betlemme.

L’idea del tempo che ciclicamente si rinnova, è propria  del mazdeismo (religione della Persia preislamica),come l’attesa di un “Soccorritore divino”; in tal senso il mazdeismo si collega all’attesa messianica.” ( da  “I Re Magi tra verità e leggenda di Bruno Perchiazzi, segretario  dell’  Associazione Italiana Amici del Presepe- sezione Napoli.).

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Nel presepe i Magi sono tre e per alcuni rappresentano le tre età dell’uomo ( gioventù, maturità e vecchiaia), per altri i  popoli o i continenti  del mondo conosciuto (Europa, Asia, Africa).

I loro doni fanno riferimento alla natura umana e divina di Gesù.Gaspare è  il mago più giovane, il cui nome significa “Puro”. Dona l’incenso, anticamente usato nelle corti orientali, che rappresenta il riconoscimento e l’adorazione della natura divina di Gesù.Melchiorre, il più anziano (il cui nome significa “Luce”), porta l’oro, dono prezioso riservato ai Re. Il moro Baldassarre, il cui nome significa “ Padrone del Tempo”, dona la mirra, che era utilizzata per imbalsamare corpi e fa quindi riferimento alla natura umana del Cristo.I loro cavalli, rispettivamente bianco,rosso e nero, nelle favole campane simboleggiano l’iter del sole cioè bianco per l’aurora, rosso per il mezzogiorno, e nero per la sera e la notte. “I Re Magi, dunque,rappresentano il viaggio notturno dell’astro, che termina lì dove si congiunge con la nascita del nuovo sole bambino.D’altra parte, in senso solare va interpretata la tradizione cristiana secondo la quale essi si mossero da oriente, che è il punto di partenza del sole” ( da “Il presepe popolare napoletano” Di Roberto De Simone)

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Se i Magi rappresentavano il sole, invece la Re Magia , a volte presente nel loro corteo, rappresentava la luna. Trasportata   dagli schiavi su una portantina ,  pare fosse la fidanzata del Re moro ( altro simbolo della notte) ed era costantemente presente nel presepe del ‘700 come esotica Regina mora.

Si pensa che i Magi dovessero essere più di tre. Una leggenda narra di un quarto re, di nome Altabar che arrivò a Betlemme in ritardo e senza doni. In verità confessò che aveva con sé tre perle preziose per Gesù, ma le aveva donate una alla volta durante il viaggio, prima per fare curare un vecchio mendicante ammalato, poi per liberare una giovane donna dalle violenze di alcuni soldati ed infine per liberare un bambino che stava per essere ucciso da un soldato di Erode. A quelle parole Gesù Bambino si volse sorridente verso Altabar e Maria lo pose  tra le sue mani vuote.

 

 Interessante è la storia delle spoglie dei Re Magi, portate da Sant’Elena a Costantinopoli nel 326 , poi – così si narra- a Milano dal vescovo Eustorgio ed infine a Colonia ad opera di Federico Barbarossa che nel 1162 aveva distrutto la città lombarda. Ai milanesi rimase solo il sarcofago di pietra nella Cappella dei Magi della basilica romanica di  Sant’Eustorgio, perchè per lungo tempo non riuscirono a riavere le spoglie. Solo nel 1904 l’arcivescovo Fischer offrì alcuni resti dei Magi a Milano e dal 1962  riprese la tradizionale  processione del 6 gennaio che da San Lorenzo va fino a  Sant’Eustorgio.

 

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Le stazioni dell’arte: Toledo

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Una delle strade più importanti di Napoli è via Toledo, cosiddetta a ricordo del viceré  spagnolo  don Pedro Alvarez de Toledo che in venti anni  di governo a Napoli (1532-1553) fu l’artefice di un piano di ristrutturazione e  di espansione della città verso la collina di San Martino, ove furono costruiti i popolosi quartieri spagnoli, e – potrei dire- di riqualificazione della vita cittadina. In pratica segnava il confine tra i vecchi e  i nuovi quartieri e ben presto divenne la  via più  lussuosa  e ben frequentata   della città grazie  agli  imponenti palazzi di banchieri e nobili d’Europa. Nel 1870 via Toledo fu chiamata  via Roma  in onore della  nuova capitale d’Italia per iniziativa del sindaco Paolo Emilio Imbriani ma il popolo napoletano, memore di un viceré che aveva fatto qualcosa di utile per la città, continuò a chiamarla via Toledo, così nel  1980 fu ripristinato l’antico nome.

 

cavaliere di Toledo

Toledo è una stazione dell’arte lungo la  linea 1 della metropolitana di Napoli,  che prende il nome appunto dalla centralissima  Via Toledo. La progettazione  di questa stazione, a cura dell’ architetto catalano Oscar Tusquets Blanca, è strettamente correlata alla riqualificazione degli spazi esterni  trasformati in zona pedonale. Qui  qualcosa di moderno e solenne è preannunciato dall’imponente  cavaliere di Toledo realizzato da William Kentridge, artista di fama internazionale molto affezionato a Napoli che  spesso ha  esposto le sue opere sia al Museo di  Capodimonte che al MADRE.  

 

mura aragonesi

 

Nell’atrio della stazione si trovano i resti delle mura aragonesi, mentre un calco di campo arato del Neolitico , trovato durante gli scavi, è esposto nel corridoio sotterraneo di Neapolis  nella stazione Museo.

 

mosaico kentridge- 3Lungo la parete d’entrata si snoda e spicca il bellissimo mosaico di tessere in pietra e pasta vitrea di William Kentridge con la processione di  tanti personaggi della storia di Napoli che  sfilano dietro  San Gennaro. 


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Camminano sul progetto della Ferrovia Centrale per la città di  Napoli, 1906 ( NaplesProcession) dal quale l’opera deriva il nome. A partire da sinistra compaiono l’ uomo megafono, l’ uomo con cimbali da Pompei, una figura da Mulino da Kinellis, un  musico con tammorra da Pompei, il mondo su zampe, l’artista e il suo doppio, l’uomo con volatile da Pompei, il venditore di tammorre, la  personificazione di strumento per rilevazioni geodetiche, una figura di donna da ceramiche di Capodimonte, l’ uomo compasso da carteggio, la donna sudafricana che trasporta la brace, la donna lampione dalla Coscienza di Zeno, la donna con la testa a croce suprematista, l’ uomo albero/atlante e  in testa al corteo  non poteva mancare san Gennaro,  protettore di Napoli.

Altro mosaico di Kentridge sovrasta le scale mobili,  s’intitola “ Bonifica dei quartieri bassi di Napoli in relazione alla ferrovia metropolitana, 1884” e spicca sul progetto iniziale della metropolitana di Lamont-Young.

SAM_3053mosaico kentridge 1kentridge- stazione toledoSAM_3034 - Copiacavaliere di Toledo- Kentridge

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Dalle figure bianche e nere dell’entrata si passa al giallo della terra e del tufo finchè non si arriva giù in fondo, a circa 40 m sottoterra , nelle profondità marine rese da mosaici azzurri che brillano sempre più   grazie  a giochi di luci LED e  alla luce solare che filtra da  lucernari e in particolare dall’ampio  Cratere della luce.cratere della luce- stazione toledo

 

robert wilson-stazione toledo

 

Le pareti sono ricoperte da onde in rilievo e , nella galleria di passaggio, dai pannelli del mare di Robert Wilson (By the sea… you and me).

 

 

men at work -stazione toledo

 

Salendo le scale si trova “Men at work” di Achille Cevoli, un riconoscimento del lavoro di  tutti gli operai che hanno  contribuito alla costruzione della metropolitana di Napoli.

 

 

The Daily Telegraph  ha definito la stazione  Toledo  come la  più imponente d’Europa,  sta di fatto che   nel 2013 ha vinto il premio Emirates Leaf  International Award come “Public  building of the year” . In effetti  i viaggiatori , ma anche i tanti turisti che la visitano,  sono catapultati  in un vortice di  luce e colore che trasmette  bellezza e serenità, astraendo dal reale

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Le stazioni dell’arte: Università

 

 

Le stazioni dell’arte: Università

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particolare stazione università

 

Come mi ero ripromessa in questo post, ho proseguito il mio viaggio  nella metropolitana di Napoli per visitare  un’altra stazione della linea 1, quella che per tanto tempo ha reclamizzato il Metro Art Tour.

 

stazione università napoli

È la stazione Università, che si affaccia in piazza Bovio di fronte al  palazzo della Borsa, sede della Camera di Commercio e poco distante dalle storiche sedi dell’Università Federico II e dell’Orientale nel frequentatissimo corso Umberto I, noto come il Rettifilo. È collegata alla meravigliosa stazione di via Toledo, cuore della città, e spero lo sarà presto  a quella di piazza Municipio e di Via Duomo, i cui lavori procedono lentamente anche a causa dei ritrovamenti archeologici.

 

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La stazione scende a circa 30 metri di profondità in un percorso che  è un’oasi coloratissima di geometrici effetti ottici, prevalentemente  rosa fucsia e verde acido ,  e di luminosi giochi di rispecchiamento  che distraggono  occhi e mente del viaggiatore dal caos cittadino. 

 

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Progettata dagli architetti Karim Rashid e Alessandro Mendini, stupisce non poco: qui “gli spazi incarnano i saperi e i linguaggi della nuova era digitale, trasmettono le idee di comunicazione simultanea, d’innovazione e di mobilità proprie dell’attuale Terza Rivoluzione Tecnologica, metafora del dialogo e della comunicazione tra gli esseri umani”. Vi si accede con un ascensore o con scale, fiancheggiate da un muro di piastrelle sulle quali compaiono le parole dell’era tecnologica. 

 

Sul piano delle obliteratrici spicca un’ enorme installazione di Rashid, intitolata Synapsi,SAM_0043 che rappresenta il reticolo neurale del cervello e due pilastri neri che riproducono profili umani, probabilmente  dell’architetto anglo-egiziano. Ai lati delle scale mobili pannelli di cristallo azzurro con decori serigrafati rivestono le pareti.

Sulle scalinate, che accompagnano all’uscita,  spiccano i profili di  Dante Alighieri e Beatrice: un omaggio di Rashid al Sommo Poeta per riconoscere l’importante e vitale legame tra la cultura umanistica e i  linguaggi contemporanei, particolarmente importante in una città dalla forte tradizione di studi universitari come Napoli.

Buon viaggio! La mia prossima tappa sarà alla stazione Toledo, inaugurata a giugno :)

 

L’arte contemporanea alla portata di tutti: le stazioni dell’arte di Napoli

L’arte pubblicamente esposta nelle stazioni  della metropolitana di Napoli (linea 1 e linea 6) è espressione  di una città culturalmente viva ed originalmente creativa. Ogni martedì è possibile effettuare una visita guidata gratuita, il Metro Art Tour, partendo  dalla stazione del Museo  alla scoperta delle  oltre 180 opere di 90 artisti contemporanei che, con il coordinamento artistico di Achille Bonito Oliva, hanno reso possibile la realizzazione di un museo decentrato . Quando sono stata a Napoli il tour era stato sospeso e allora  ho girovagato da sola,e mi riprometto di proseguire  perchè sono riuscita a visitare parzialmente solo alcune stazioni della linea 1 in una  sorta di caccia al tesoro che si snoda nelle viscere della terra, anche a 50 metri di profondità, e risale con decine di scale mobili e ascensori fino in superficie.

 

La linea 1 della metropolitana è stata progettata da famosi architetti,  quali Gae Aulenti, Alessandro Mendini, Domenico Orlacchio, con criteri di funzionalità e luminosità, resa stazione Salvator  Rosa 1soprattutto attraverso  strutture di vetro e di acciaio, ed è stata abbellita da  numerose opere d’arte  contemporanea  che si trovano all’esterno e all’interno delle stazioni, negli atri,  lungo i corridoi, le pareti e  le  banchine del metro. Queste stazioni hanno spesso valorizzato i rioni, armonizzandosi nel contesto  con nuovi giardini, fontane  e parchi gioco, innovativi  elementi di arredo urbano, trasparenti  ascensori e guglie di vetro, superfici maiolicate. I viaggiatori, spesso sconsolati nell’andirivieni quotidiano,  usufruiscono non solo di un mezzo di trasporto, ma  di un originale ed elegante   connubio di arte e urbanistica. L’arte è a portata di tutti, di chi passa e spassa, si collega e si scollega nei labirinti sotterranei di Napoli.

stazione dante -napoliStazione Dante è stata la prima che ho visitato. Sono ancora in corso i lavori in direzione  di Piazza Garibaldi, sede della stazione ferroviaria, che  si sono più volte fermati a causa di continui ritrovamenti  archeologici. A piazza Dante, detta il Mercatello, tra il ‘500 e il ‘600 si svolgevano i mercati, finchè il Vanvitelli la ricostruì a metà del ‘700 per volere di re Carlo III. In effetti  la statua del re finì in piazza Plebiscito, prima perchè non voluta dai  repubblicani napoletani, poi  perchè soppiantata  dalla statua di Napoleone durante la dominazione francese ed infine da quella di Dante dopo  l’unità d’Italia.

frase Convivio stazione dante- napoli

La piazza è stata  ridisegnata dall’architetto Gae Aulenti, ed è diventata area pedonale con pavimentazione di pietra lavica. La stazione del metro è strutturata su 4 livelli, scende fino a 30 metri di profondità ed è dotata di 13 scale mobili e 5 ascensori. È un’elegante  combinazione di cristallo e di acciaio.  Scendendo verso i binari l’ opera di Joseph Kosuth in  tubolare di neon immortala  una frase del Convivio di Dante : “Lo calore e la luce sono propriamente: perchè solo col viso comprendiamo ciò, e non con altro senso.Queste cose visibili, sì le proprie come le comuni in quanto visibili, vengono dentro a l’occhio- non dico le cose, ma le forme loro- per lo mezzo diafono, non realmente ma intenzionalmente , si quasi come in vetro trasparente.E ne l’acqua ch’e ne la pupilla de l’occhio, questo discorso, che  fa la forma visibile per lo mezzo, si si compiute, perchè quell’acqua è terminata. Quasi come specchio, che è vetro terminato con piombo-, si che passar più non può, ma quivi, a modo d’una palla, percossa si ferma; si che la forma, che nel mezzo trasparente non pare ( ne l’acqua pare) lucida e terminata”. 

Seguono opere di Nicola De Maria (un mosaico Universo senza bombe, regno dei fiori, 7 angeli rossi), Michelangelo Pistoletto (il bacino Mediterraneo) e olii di Carlo Alfano.

Jannis Kounellis 1

 

L’ installazione senza titolo  di  Jannis Kounellis con scarpe di donna e di uomo, cappelli, ecc.. tra  rotaie suscita una libera interpretazione della metafora.

 

 

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Materdei è un rione caratterizzato da edifici in stile liberty della prima metà  del ‘900 e dalla  chiesa rinascimentale di Santa Maria Mater Dei, da cui deriva il nome.

 

stazione materdei 1

 La stazione della metropolitana  l’ha riqualificato con un’area pedonale ricca di verde e di originali elementi di arredo urbano, mosaici, installazioni di ceramica e l’inconfondibile guglia  di acciaio e vetri colorati  dell’Atelier Mendini, che  spicca anche nella stazione di Salvator Rosa (zona Vomero) .

 

stazione Materdei È una delle stazioni  più colorate della linea 1, come si può vedere dalle serigrafiesulla banchina e dai mosaici che riprendono temi marini.

Qui si trovano le opere di Mathelda Balatresi,Anna Gili, Stefano Giovannoni, Robert Gligorov, Denis Santachiara, Innocente e George Sowden.

 

testa carafaStazione Museo, progettata d a Gae Aulenti, porta al Museo Archeologico Nazionale. È inconfondibile  per la riproduzione dell’ Ercole Farnese,che domina  la sala centrale, e l’originale della testa Carafa. Da questa stazione della Linea 1 si può raggiungere la stazione Cavour della Linea 2 della metropolitana attraverso  tapis roulant che si snodano nei lunghi corridoi sotterranei abbelliti dalle foto artistiche di fotografi napoletani.

stazione Museo- napoli

Nel corridoio che porta al Museo Archeologico si trova l’esposizione permanente  Neapolis, che raccoglie i  reperti archeologici  scoperti durante i lavori di scavo della metropolitana, in particolare nelle stazioni Municipio,Toledo,Università e Duomo. Essi risalgono all’insediamento di Partenope, fondata dai cumani verso la metà del VII secolo a. C., e di Neapolis tra la fine del VI e gli inizi del V secolo a. C. (tra questi vasi  in vetro e terracotta,anfore funerarie e per alimenti, i modellini di  tre galere rinvenute in piazza Municipio, resti di abbigliamento di marinai e calzari,epigrafi). Una mostra che tempo fa  non ho potuto visitare perchè il corridoio era chiuso, ma che di sicuro non mi lascerò sfuggire.

  

Stazione Quattro Giornate prende il nome dalle quattro giornate d’insurrezione popolare, stazione 4 giornate- napoliche si svolse dal 27 al 30 settembre 1943 ed è nota  come la rivolta degli scugnizzi in quanto  i bambini di strada contribuirono alla vittoria. L’uccisione di un ragazzino di tredici anni, Filippo Illuminato, mentre lanciava una bomba contro un blindato tedesco, accese  molto gli animi e indusse tanti a reagire contro gli  occupanti  nazisti e a liberare la città, colpita da pesanti bombardamenti e rastrellamenti,  tant’è che le truppe alleate entrarono in una Napoli già liberata.

Quest’insurrezione del 1943  conferì alla città di Napoli la  Medaglia d’oro al Valor Militare ed è  ricordata  nel  Monumento allo Scugnizzo in piazza della Repubblica.

Sin dall’ingresso la stazione sembra  un museo d’arte moderna, ricco di pannelli di materiali diversi che ricordano le Quattro Giornate di Napoli. Le opere sono di Umberto Manzo, Anna Sargenti, Baldo Diodato, Maurizio Cannavacciuolo, Betty Bee e si trovano sia nel percorso di discesa che di salita.

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 La stazione di Salvator Rosa , nella zona del Vomero, è  stata disegnata dall’Atelier Mendini che ha realizzato  uno splendido abbinamento di arte,  urbanistica e storia .

stazione Salvator RosaArtisti  napoletani contemporanei della transavanguardia , quali Ernesto Tatafiore e  Mimmo Paladino, hanno  decorato anche gli alti palazzi adiacenti la stazione , valorizzando tutta l’area. La stazione  sembra una chiesa con colorate vetrate ad arco e marmi policromi, circondata da giardini ove spiccano  giochi per bambini, installazioni artistiche, aiuole maiolicate, i   resti romani della via Antiniana che collegava Neapolis e Miseno e di una chiesetta. Molto suggestiva l’opera d’arte moderna delle  Fiat Cinquecento nei pressi dell’ascensore. 

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La Stazione Vanvitelli è una delle più frequentate in quanto conduce al popoloso quartiere del Vomero e a  mete turistiche obbligate quali la Certosa di San Martino e Villa Floridiana, ed inoltre vi confluiscono le tre  funicolari che collegano il Vomero  con la parte bassa della città.

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Scendendo verso i binari  si può vedere la spirale con la sequenza numerica  di Fibonacci, realizzata da Merz. Poi  una carovana di animali preistorici , realizzati da Vettor Pisani, i grandi mosaici di Isabelle Ducroite, il masso che rompe il vetro di Giulio Paolini. Nei corridoi di uscita le foto di Gabriele Basilico e di Olivio Barbieri che riprendono particolari architetture  della città .

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Questo è stato uno degli itinerari turistici più sorprendenti  che ho fatto.

Alla prossima stazione :)

 

“L’arte non è quello che vedi ma quello che fai vedere agli altri” (Edgar Degas)

Dal 23 ottobre il Museo dell’Ara Pacis a Roma ospita la mostra Gemme dell’Impressionismo. Dipinti della National Gallery of Art di Washington”, che per la prima volta hanno lasciato l’America.

Andrew-Mellon-con-i-figli-Ailsa-e-Paul-1913-ca.-National-Gallery-of-Art-Washington-Archivio-del-Museo-215x300Alla fine degli anni ’20 il magnate  Andrew W. Mellon iniziò quella che sarebbe diventata una delle più importanti collezioni d’arte del mondo e nel 1936 scrisse al presidente statunitense Franklin Delano Roosevelt con l’intenzione di offrirla allo stato americano. Dopo la sua morte, nel 1937, i figli Paul  e Ailsa, amanti del bello, della poesia  e dell’arte, continuarono a coltivare la passione paterna e ad ampliare  la collezione Mellon che si arricchì  sempre più anche grazie a donazioni private. Nel 1941 fu inaugurata la National Gallery of Art di Washington con parte della vasta collezione perché solo nel 1978 i fratelli Mellon  donarono i capolavori dei grandi impressionisti e post impressionisti, quali Manet, Monet, Degas, Renoir, Pissarro, Toulose –Lautrec, Sisley, Cèzanne,Gauguin,Van Gogh,Seurat, Bonnard che fino ad allora avevano custodito nelle proprie abitazioni private. 

La mostra “Gemme dell’Impressionismo” vanta 68 opere, a partire da Boudin(1824-1898), maestro di Monet, fino ai post impressionisti Bonnard (1867-1947) e Vuillard (1868-1940), esposte secondo  aree tematiche che vanno  dal paesaggio  al ritratto , dalle figure femminili alle natura morta, fino alla rappresentazione della vita moderna. Un importante  evento che rivela  il gusto raffinato dei Mellon  e regala al pubblico dipinti di unica e straordinaria bellezza.

Boudin_Eugene_Spiaggia di Trouville_1863_Washington_National Gallery

 

Si parte dai precursori del movimento artistico, cioè da Boudin e dai suoi inconfondibili paesaggi e  spiagge bretoni, in particolare di Trouville e Deauville. 

Nei dipinti en plein Air, realizzati cioè all’aperto, l’impressionista  coglie la luce del momento  che cambia con la prospettiva, la naturalezza dei colori, i cambiamenti atmosferici così ben resi e capaci di trasformare lo stesso paesaggio in ore diverse. Non  a caso Sisley  era solito dire “ il cielo è la prima cosa che dipingo”. 

campo di tulipani di van gogh

Tra questi spicca “Il campo di tulipani” di Van Gogh (1883) che al fratello  Theo scrisse “ ultimamente, mentre dipingevo,  ho sentito una certa potenza coloristica che si andava risvegliando in me, più forte e più  di quella sentita fino ad ora. Può darsi che il mio nervosismo di questi giorni sia dovuto a una sorta di rivoluzione del mio metodo di lavoro, di cui sono andato alla ricerca e a cui stavo già pensando da molto tempo”. 

 

Johan Barthold Jongkind - The Towpath, 1864

 

Ben rappresentata la nuova resa pittorica dei paesaggi rurali nelle opere di Camille  Pissarro per il quale sono “Beati coloro che vedono il bello in posti semplici e umili dove gli altri non vedono nulla” e di Johan Barthold Jongkind  di cui Claude Monet scrisse “ e a lui devo la definitiva educazione dei miei occhi” (a destra  l’Alzaia).

 

 

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L’opera  “Cogliendo fiori” di Renoir illustra la  locandina della mostra in quanto ben rappresentativa dell’impressionismo francese .  

 

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Nei “villaggi sul mare in Bretagna” di Odilon Redon  emerge l’iniziale  credo artistico dell’artista che con linee e colori vuole rappresentare non tanto l’aspetto esteriore degli oggetti, quanto le forze psichiche che ne costituiscono l’anima.  Questo paesaggio di sicuro la trasmette.

 

studio_per_la_grande_jatte_galleryNello studio per la famosa “Grande Jatte” di Seurat  è ben evidente la nuova tecnica pittorica ove “se si considera un decimetro quadrato ricoperto di un tono di colore uniforme, su ogni centimetro quadrato  di tale superficie, in un vorticoso movimento di macchioline, si trovano tutti gli elementi costitutivi delle tonalità”.

 

Tra i ritratti di “George Moore nel giardino”, ad opera  di Manet, e di “Claude Monet” ,ad 92994-primary-0-440x400opera di Renoir, e negli autoritratti di Edgar Degas, Henry Fantini Latour, Edouard Vuillard e Paul Gauguin esplode l’innovazione dell’impressionismo che ritrae non più per celebrare il personaggio ma per coglierne l’essenza e  attraverso l’acutezza dello sguardo ne fa captare  il carattere. Nel 1860, a riguardo della ritrattistica, Baudelaire disse “una bella testa di uomo conterrà qualcosa di ardente e di triste- dei bisogni spirituali, delle ambizioni tenebrosamente represse- l’idea di una potenza …”, come si può notare nell’autoritratto di Degas. 

Il ritratto è un diffuso tema pittorico, interpretato però in modo nuovo perché privilegia Gauguin_Paul_Autoritratto dedicato a Carriere_1888-1889_Washington_National Gallery of Art l’uomo moderno con il suo abito e le sue  consuetudini sociali, osservato in casa o per strada. Lo stesso Monet ritrae la moglie per evidenziare una figura parigina dell’epoca. 

Ben presto Parigi diviene capitale delle Arti, soprattutto grazie a grandi esposizioni d’arte dette Salons e  organizzate  sin dal ‘700 consentendo al pubblico di conoscere gli  artisti emergenti.

Purtroppo però essi sono controllati dalle brocca di latte e frutta di Cèzanneistituzioni accademiche  per cui vengono escluse circa  4000 opere di artisti , poi riconosciuti grandi esponenti dell’impressionismo.  Così proprio un grande escluso, Gustave Courbet, nel 1855 crea il suo  padiglione del “realismo”, e nel 1863 il gruppo degli impressionisti dà vita al Salon dés refusès (dei rifiutati)  per fare conoscere il nuovo modo di dipingere e concepire l’arte. Nonostante ciò,  proprio  Cèzanne, che guarda ai vecchi canoni artistici per aprirsi a insolite sperimentazioni pittoriche ,  spesso e a lungo ne resta  escluso.

La sezione  “Donne, amiche, modelle” si apre con “La sorella dell’artista alla finestra” , berthe morisotfamoso dipinto di Berthe Morisot, amica di Manet di cui forse fu innamorata  anche se finì con lo sposare suo fratello Eugène. Esclusa dall’École des Beaux-Arts, faticò non poco a inserirsi  nel fermento artistico dell’epoca, ma il suo talento alla fine travalicò i confini imposti dal mondo maschile dei pittori. A suo dire “ i veri pittori capiscono con il pennello in mano” nel momento in cui si trovano a trasmettere la loro percezione, impressione  del visibile.

L’universo femminile, protagonista della vita moderna, è un tema privilegiato dagli impressionisti. Le figure femminili dell’epoca osservate quasi di sottecchi in casa e nei giardini, così come nelle sale da ballo e  nei caffè, non sono più personaggi mitici o letterari.  La donna moderna non rispecchia più gli  schemi idealizzanti del passato: le raffinate signore della borghesia o le donne di ambienti più modesti sono  colte nei comuni rituali quotidiani, nel risveglio, dinanzi alla toilette, durante la vestizione, prima dell’entrata in scena sul palcoscenico di un teatro o della vita domestica.

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“La donna è senza dubbio una luce, uno sguardo, un invito alla felicità, e talvolta il suono di una parola, ma soprattutto un’armonia generale, non solo nel gesto e nel movimento delle membra, ma anche nelle mussole, nei veli, negli ampi e cangianti nembi di stoffa per cui si avvolge, e che sono come gli attributi e il fondamento della sua divinità.(Charles Baudelaire in “La peintre de la vie moderne”,1863)

Chi non riconosce le ballerine di Degas, la giovane donna che si pettina e Madame Henriot di Renoir oppure Carmen Gaudin , la modella che  Toulouse Lautrec scelse  per la folta e spettinata capigliatura ramata? Donne reali, che vivono accanto e si possono incontrare ovunque. 

giovane donna che si pettina-renoirballerine_dietro_le_quinte_galleryMostre:Gemme dell'impressionismo da Washington a Roma

Con l’Impressionismo anche la natura morta si rinnova , si abbandona  la cura del particolare per cedere a una visione d’insieme resa con semplici, ma non casuali, disposizioni di oggetti e pennellate di luce che giocano sulle tonalità del colore, come si può vedere nella “Natura morta con ostriche,1862” di Édouard Manet, nella splendida “Natura morta con uva  e garofano, 1880” di  Henry Fantin- Latour  e nella famosa “Brocca e frutta” di Paul Cézanne. Cambia la composizione, l’elemento portante spesso non è centrale, ma luce e colore lo evidenziano, a volte scomponendo volumi.

Manet_Edouard_Natura morta con ostriche_1862_Washington_National Gallery of ArtNatura morta con uva e garofano- Henri Fantin-Latour

 

L’eredità dell’Impressionismo passa a Pierre Bonnard e Édouard Vuillard,  artisti che segnano il passaggio verso il simbolismo, rivelando gusto per l’ornamento e l’uso irrealistico del colore.

Vuillard_Edouard_Bambina con la sciarpa rossa_1891ca_Washington_National Gallery of Art

La prospettiva piatta, tipica delle stampe giapponesi, come la frammentazione della visione in scene quotidiane con insoliti tagli visivi caratterizzano la loro produzione artistica. Il soggetto non è al centro della tela, anzi a volte  è visibile solo in parte, come in “La scatola dei colori dell’artista  e rose” (1892) e la “Bambina con la sciarpa rossa” di Vuillard (1891).

Di Bonnard si notino “ Due cani in una strada deserta” del 1894 e  la “Tavola apparecchiata in giardino”(1908) ove si rispecchiano la sua concezione dell’arte pittorica in quanto “ non si tratta di dipingere la vita, ma di rendere vivente la pittura”.

A distanza di tempo sono sicuramente viventi-anzi  immortali- queste preziose gemme dell’Impressionismo. 

598px-Two_Dogs_in_a_Deserted_Street,_Pierre_Bonnard,_c1894Bonnard_Pierre-Table_Set_in_a_GardenTavolo con scatola dei colori dell’artista e rose-Édouard Vuillard

 

Edouard Vuillard - Vase of Flowers on a Mantelpiece, 1900

 

Immagini dal web

 

Gemme dell’Impressionismo. 
Dipinti della National Gallery of Art di Washington. Da Monet a Renoir da van Gogh a Bonnard

Museo dell’Ara Pacis 
Lungotevere in Augusta, Roma

23 ottobre 2013 – 23 febbraio 2014 

 

Vincenzo Gemito- Villa Pignatelli


villa pignatelli- napoli

 

Villa Pignatelli a Napoli ,splendida dimora inglese che mescola lo stile neoclassico  e neo palladiano, fu progettata nel 1826 da Pietro Valente per Sir Acton, passò poi ai Rothschild e infine ai Pignatelli Cortes d’Aragona che nel 1952 la donarono allo Stato Italiano. La villa, immersa in un parco, merita di esser visitata  per gli  arredi,statue, dipinti, decorazioni in stucco, collezioni di porcellane, argenti e  cristalli che la rendono simile a un raffinato gioiello d’epoca.

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È sede del   Museo Pignatelli dove a distanza di cinquant’anni dalla mostra monografica tenutasi al Palazzo Reale di Napoli nel 1953, nel 2009 sono  state esposte  più di centocinquanta opere – tra disegni, terrecotte, bronzi, gessi, cere e argenti- che documentano  l’attività creativa di Vincenzo Gemito, geniale protagonista del panorama artistico europeo tra l’Ottocento e il Novecento. Una mostra di foto d’epoca, autoritratti, ritratti di parenti, meduse e sibille,  grandi personaggi artistici e storici- come Verdi,Alessandro Magno e Carlo V-  e soprattutto popolani e scugnizzi (bambini di strada) ripresi dal vero nelle vesti di acquaioli e pescatori, rappresentanti di un’umanità atemporale che vive nelle opere scultoree e grafiche di Gemito.

zingara di gemito

 Gemito  visse la sua esperienza umana e artistica come una continua prova da superare, pagando con la follia la sua tensione espressiva. Tutta la sua produzione ( sculture e  disegni, in parte inediti, realizzati a penna,a matita, a carboncino, a seppia e ad acquerello) riflette una personale ricerca sia sull’ uomo, sia sull’ essenza della forma fissata nel gesto e nell’ attimo.

 È interessante la vita di quest’artista che fece dell’arte la sua ragione di vita fino a divenirne quasi una mitica vittima.

“Egli aveva nome Vincenzo Gemito. Era povero, nato dal popolo; e all’ implacabile fame dei suoi occhi veggenti, aperti sulle forme, si aggiungono talora la fame bruta che torce le viscere. Ma egli, come un Elleno, poteva nutrirsi con tre olive e con un sorso d’acqua (G.D’Annunzio, In morte di  Giuseppe Verdi).”

Il 18 luglio 1852 Suor Maria Egiziaca Esposito si presentò all’orfanatrofio dell’Annunziata con un bambino che di notte era stato deposto nella ruota (i bambini indesiderati venivano in tal modo affidati alle suore).Il bimbo aveva solo un pezzo di tela e l’ orecchio destro bucato. Gli fu dato il nome Vincenzo Gemito. Adottato da un’umile famiglia, che da poco aveva perso un figlio,  sin da piccolo fu avviato all’ arte della scultura e si dedicò a ritrarre giovinetti di strada. Fu subito notato nell’ ambiente artistico napoletano. Si classificò tra i primi nelle prove di ammissione al Real Istituto d’Arte e nel 1868 lo stesso re Vittorio Emanuele I acquistò il suo Giocatore in terracotta per la reggia napoletana di Capodimonte.

pescatore di gemito

Gemito si formò studiando i bronzi di Ercolano e dall’ arte antica ricavava la solennità che nobilita ogni soggetto“…Se a l’artista manca la cognizione del passato non potrà mai fare un capolavoro. Le mie opere sono prese dal vivo così come sono esistite…”. Prima lavorò materiali duttili, plasmabili con le mani, come cera e terracotta, poi utilizzò anche il bronzo e l’argento che gli consentivano di controllare la forma in modo quasi ossessivo. Tra il 1877 e il 1880 visse a Parigi ove divenne amico di Meissonier, famoso pittore, che acquistò il suo innovativo Pescatore di bronzo e, pur mantenendo un’autonomia artistica, ebbe relazioni coi grandi artisti dell’epoca, da Boldini a Rodin.

Nel 1880 tornò a Napoli e realizzò la statua di Carlo V. L’insoddisfazione peracquaiolo - gemito la resa in marmo della sua opera scatenò un esaurimento psichico che lo portò quasi alla follia “io non ho più la genialità di prima e non mi sento più lo stesso uomo…”.Per poco tempo soggiornò in una casa di cura, poi dal 1887 al 1909 si isolò volontariamente nella sua casa, ove  fu assistito dal padre “mastro Ciccio”, dalla moglie Anna e dalla figlia Giuseppina , che ispirarono molte sue opere. Nel 1909 riprese a viaggiare e a lavorare tra Roma a Parigi finché, ormai famoso,  tornò alla natia Napoli dove morì il 1° marzo del 1929 . Anche la sua scomparsa diventò mitica., come la sua fama.  Si narra che, quando il corteo funebre giunse davanti alla marina, i becchini sentirono d’un tratto la bara più leggera sulle spalle. Ci fu un po’ di scompiglio tra i personaggi ufficiali finchè un signore in tuba levò la mano a indicare il golfo di Napoli: scortato da due delfini, Gemito navigava verso i mari della Grecia.

 

Villa Floridiana e il Museo Nazionale della Ceramica Duca di Martina

villa floridiana 1Nel quartiere del Vomero a Napoli s’erge Villa Floridiana,  un’oasi  di bellezza  naturale ed artistica, che  re Ferdinando I di Borbone   volle come residenza  estiva per la moglie morganatica Lucia Migliaccio di Partanna, duchessa di Floridia. La duchessa , nata a Siracusa nel 1770, era molto bella  oltre che molto ricca. A soli sei anni ereditò titolo nobiliare e feudo  e ad undici sposò il ventiseienne  principe Benedetto Grifeo di Partanna dal quale prima ebbe  nove figli, poi  una prematura vedovanza. Nel novembre del  1814 tre mesi  dopo la morte della regina Maria Carolina convolò  a nuove nozze col re di Borbone, esule in Sicilia, pertanto  fu invisa ai sudditi e, rientrata col consorte  a Napoli dopo la Restaurazione , visse nelle residenze a lei destinate dal re ( palazzo Reale, palazzo Partanna in Piazza dei Martiri  e Villa Floridiana). 

villa floridiana

Tra il 1817 e il 1819  l’architetto Antonio Niccolini ristrutturò in stile neoclassico la palazzina ed ideò un parco all’inglese, un teatrino all’aperto, un tempietto ionico, serre e grotte per animali esotici. Villa Floridiana divenne quindi   una suggestiva  scenografia per i ricevimenti estivi della duchessa. Quando nel gennaio del 1825 re Ferdinando morì in seguito a una breve malattia , Lucia lasciò il palazzo Reale e si ritirò nel palazzo Partanna. Circa un anno più tardi, nell’aprile del 1826, morì anch’ella e le sue spoglie furono custodite nella chiesa di San Ferdinando.

oggetti museo duca di martina Nel  1919 Villa Floridiana fu acquistata dallo Stato italiano. Dal 1931 divenne  sede del  Museo della Ceramica Duca di Martina che ospita la collezione di oggetti d’arte di Placido di Sangro, appunto duca di Martina, donata dai suoi eredi  alla città di Napoli  nel 1911. Il duca, nato a Napoli nel 1829 da Riccardo e Maria Argentina Caracciolo, apparteneva ad un  illustre casato strettamente legato alla corte borbonica. Dopo l’unità d’ Italia si trasferì a Parigi e lì entrò in contatto con famosi  collezionisti, come i Rothschild, ed  iniziò ad acquistare oggetti d’arte applicata che in parte venivano inviati nella sua residenza napoletana.  

oggetti museo duca di martina 1oggetti museo duca di martina 2oggetti museo duca di martina 3

Il Museo Duca di Martina nella Villa Floridiana si articola in più sale, dislocate su tre piani, ove si possono ammirare circa seimila opere di manifattura occidentale ed orientale, databili dal XII al XIX secolo.  Avori, smalti, tartarughe, coralli, bronzi di epoca medievale e rinascimentale, maioliche, vetri e cristalli dal XV al XVIII secolo, porcellane europee, cinesi di epoca Ming ,Qing e giapponesi Kakiemon ed Imari.

 

parco villa floridiana

 

È piacevole passeggiare nel parco della Villa Floridiana, all’ombra della folta e rigogliosa vegetazione, lontano  dai rumori della città. Una pausa rigenerante prima di  ricominciare a girovagare per Napoli.

 

 

 

 

Museo Nazionale della Ceramica Duca di Martina

Villa Floridiana
via Cimarosa 77
via Aniello Falcone 171, 80127 – Napoli

 

 

Hic sumus felices – Le magiche Lune di Pompei

Da maggio a ottobre  del 2010 e 2011  il Parco Archeologico degli Scavi di  Pompei ospitò l’edizione di “ Le  Lune di Pompei”, consistente in  visite notturne del sito archeologico. Per la terza edizione del Carnevale della Letteratura  ricordo quelle notti del 2010 e 2011 che per me sono state tra le  più magiche e suggestive finora vissute.

domus pompei

 

Nel chiarore magico e  misterioso delle Lune Eterne ( la Luna di Morte, la Luna della Speranza, la Luna Virtuale, la Luna della Vita, la Luna che non c’è, la Luna che si Diverte) l’antica città sepolta  racconta i misteri non svelati, che mai hanno abbandonato Pompei .

necropoli lune di pompei

Il percorso parte dalla necropoli di Porta Nocera,  prosegue nell’Orto dei Fuggiaschi, continua verso la Casa del Giardino d’Ercole, in via dell’Abbondanza, soffermandosi nella casa del profumiere, di Octavius Quartius,erroneamente  chiamata in un primo tempo domus di Loreius Tiburtinus, di Venere in Conchiglia e infine si conclude con suggestivi ed onirici giochi di luce nell’Anfiteatro. La voce dell’attore Luca Ward e alcune proiezioni guidano il pubblico in una suggestiva ed eterna realtà parallela per fare vivere e rivivere  Pompei.

L’eruzione del Vesuvio, per l’esattezza  del monte Somma,  nel 79 d. C. fermò la vita di orti dei fuggitivi pompeiPompei sotto una coltre di cenere e lapilli spessa 6-7 metri. La maggior parte degli  abitanti, fuggiti dalle case, trovarono la morte  sul litorale. I pochi rimasti, sperando di salvarsi nei sotterranei  delle abitazioni, morirono asfissiati. Toccanti testimonianze della tragedia sono  i calchi dei Fuggiaschi, ricostruiti  dall’archeologo Giuseppe Fiorelli nel 1863  versando gesso liquido nelle cavità lasciate dai corpi nello strato di cenere.

Camminare per le vie di uno dei siti archeologici più suggestivi  e famosi del mondo, è sempre emozionante. È come viaggiare a ritroso nel tempo. Passeggiare di notte  in una Pompei  illuminata da splendenti Lune piene, seguendo un itinerario tracciato da fiammelle, è un’esperienza unica ed affascinante.

via dell'abbondanza pompeiPassare in punta di piedi sulla strada , esterna alla cinta  della città e conducente  a Nocera, fiancheggiata da numerosi sepolcri monumentali dà l’impressione di violare e consacrare allo stesso tempo la profonda  intimità della morte in una città apparentemente muta e  deserta. Qui si coglie la ciclicità di vita e morte, ove la morte non è frattura o interruzione ma è una delle incombenze dell’uomo, un continuum  della vita e la vita è commistione di otia e negotia , di sacro e profano confluenti nel mito. “Si tenevano in casa le ceneri o le immagini dei propri avi; li si salutava entrando, i vivi restavano in contatto con loro; all’entrata della città, le loro tombe allineate ai due lati della strada,  somigliavano a una prima città, quella dei fondatori”(H.Taine – “Viaggio in Italia”)

Qui però stranamente si continua a respirare la vita quotidiana dell’antichità nelle abitazioni e nelle botteghe, il fermento dei luoghi pubblici, la devozione per gli dei e la pietas per i defunti, il gusto raffinato per l’arte e i piaceri della vita, il valore del talento, dell’ingegno e dell’operosità.

Le Lune di Pompei splendono in alto riversando un’aura di bianca quiete su luoghi che raccontano a tutti per essere ascoltati da alcuni.

 

Gli orti, arricchiti di filari  e di ulivi dalla chiome argentate, nel 1961 restituirono alla storiacalchi vittime pompei 2  tredici vittime dell’eruzione, asfissiate dal gas e dalle ceneri durante la fuga. Nei cosiddetti Orti dei Fuggiaschi il destino di Pompei parla a chiunque. La pietas erompe alla vista di  sagome contorte e sofferenti. L’immaginazione assume una dimensione tristemente più concreta, ma proprio quei calchi fanno rivivere la città. I vuoti dei corpi si riempiono di  tutta la vita narrata sui muri e sui basoli sconnessi, nelle domus, tabernae, terme, teatri e foro dando una dimensione umana ad una civiltà grandiosa.

 

tabernaeOgni  muro, colonna, cubiculum, peristilio, cespuglio di rosmarino, giardino interno  respira ancora e l’immaginazione restituisce gli affreschi, i mosaici, le suppellettili e le statue che arricchivano gli spazi, ora deserti, dove ti senti un intruso in uno scenario fuori dal tempo e percepisci  un invadente senso di solitudine che ti riempie di riverente stupore ed ammirazione  per un  qualcosa di irraggiungibile e grande.

 Come il bello che traspare dalla domus più raffinate. E ti pare di sentire le fragranze della casa del profumiere, di vedere scorrere l’acqua nella lunga vasca di marmo ombreggiata da una pergola nella casa di Octavius Quartius. Ti pare di vedere brillare al sole i personaggi mitici e leggendari  di altri tempi e civiltà.

venere in conchiglia pompei

E ti chiedi chi possa avere calpestato quella strada, chi si sia fermato sull’uscio di quella locanda, chi sia l’autore di questi graffiti che,in questi casi, non informavano nè provocavano ma comunicavano per davvero un modus vivendi.

hic sumus felices graffiti pompei

“ HIC SUMUS FELICES” cioè “QUI  SIAMO FELICI”.

Una solenne proclamazione  di gioia e vitalità collettiva che associo a tutte le genti che vivevano Pompei. Uno squillo per i secoli a venire , una speranza di buon augurio per noi,  provenienti dal futuro, incapaci soltanto di definire la felicità se non per difetto e tanto meno di scrivere una cosa del genere sui muri di una qualsiasi città. “Qui siamo felici.” E sarà una delle magiche  lune di Pompei  o il fascino acuito dalle ombre di una dolce notte d’estate, sarà il mistero di queste strade percorse da chissà chi  e di questi muri  che raccontano più di mille parole, ma in questa scritta graffiata c’è tutta la vita, la forza  prorompente e la grandezza di una civiltà. Qui siamo felici. E non provo invidia ma commozione e un senso di compiaciuta appartenenza a un patrimonio universale, a una sorta di  Eden nascosto, carpito attraverso le fonti storiche. 

Pompei, maledetta dalla natura e benedetta dagli dei, suggestiona chiunque nei suoi chiaroscuri, nell’eco remota che risuona dentro, nella sua  immensità costellata da vibranti fiammelle che segnano il percorso, quasi a ricordo del percorso esistenziale dell’umanità.“Qui siamo felici” è l’epitaffio più bello in memoria di una città che ha ancora tanto da dire indistintamente a tutti.

 Scontenti e perennemente incontentabili, riusciremo mai ad annunciare ai posteri “Qui siamo felici” non per effetto di una momentanea scarica di adrenalina o senza cedere ad una qualsiasi forma di finzione?

 casa del profumiere 1casa profumiere pompeinecropoli porta nocera pompeigraffiti pompei 2graffiti pompei 3affreschi pompei

La sempre più emergente Street Art nel quartiere Ostiense (seconda parte)

Continua la passeggiata nel quartiere Ostiense di Roma alla scoperta dei murales.

I due sottopassi ferroviari del quartiere Ostiense regalano  opere di noti street artists che alleggeriscono pareti e piloni dal pesante grigiore del cemento, grazie a una iniziativa  promossa  dalla Provincia di Roma, ex Municipio XI, ex Municipio XV, dalla Fondazione Romaeuropa.

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Nel sottopasso di via Ostiense  si possono ammirare  i murales di  Moneyless, Martina Merlini, Andreco, 2501, Ozmo, Tellas e Gaia, tra i quali i ritratti di Shelley e Gramsci, le cui spoglie riposano nel vicino cimitero Acattolico al Testaccio ( di cui avevo raccontato qui).

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Nel  sottopasso di via delle Conce  ci si trova invece  immersi in  uno scenario naturalistico e fantastico popolato da draghi, uccelli, gatti e tralci  fioriti, realizzati da Lucamaleonte e Hitnes.

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Poco distante, sempre in via delle Conce, incuriosisce non poco  una lunga parete affrescata dal brasiliano Murale di Herbert Baglione, artista della biennale d’Arte di San Paolo che in occasione dell’Outdoor Festival  del 2011 ha dipinto il conflitto tra l’uomo e la città. 

murale herbert baglione

L’ho scoperto di notte, facendo quattro passi a piedi con marito e figli dopo avere cenato fuori,  e vi assicuro che le esili  figure bianche e nere erano  molto suggestive ( provate a cliccare sulle miniature sottostanti).

murale herbert baglione 1murale via delle conce -baglionemurale vvia delle conce 2

 

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Di fronte a questo murales, sempre in via delle Conce, si nota  il mega stencil di Lex & Sten sulla facciata del  “Rising Love”, uno spazio underground e di avanguardia musicale. Spero di riuscire ad andarci per vedere poster e graffiti sulle pareti interne.

Queste opere stanno valorizzando in modo originale  un’area che era industriale e che oggi offre ampi spazi alla creatività e al talento artistico degli street artist, trasformandola in una mostra a cielo aperto piacevole a vedersi.

 

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Il quartiere Ostiense di Roma si presta a una bella passeggiata a piedi per scoprire i numerosi murales, più o meno visibili, realizzati da artisti di fama internazionale.

fronte del porto blu

 

Qui ho parlato del mitico Blu che sta valorizzando l’ex caserma dell’aeronautica, detta  Fronte del Porto, e vi informo che, alquanto emozionata, sono riuscita a vederlo  all’opera mentre ne dipingeva il portone, bardato di occhiali da sole, cappuccio e  cappello. Posso solo dirvi che è giovane e longilineo, non l’ho immortalato per rispettare il suo anonimato. Nella foto sopra il murales è aggiornato da nuovi  personaggi, presenti sulla facciata del portone e  qui sotto da alcuni particolari coloratissimi. 

particolare fronte del porto 1particolare fronte del portoparticolare fronte del porto 2

 

via ostiense

 

Ho scoperto che anche queste auto incatenate  sono opera sua, da me fotografate  mesi fa  quando  avevo colto il talento artistico dell’autore, ignorandone però il nome. Questo palazzetto si trova in via Ostiense 122  e ospita il centro sociale Alexis, dedicato ad Alexis   Grigoropoulos, lo studente greco quindicenne ucciso nel quartiere Exarchia di Atene nel dicembre 2008. 

 

 

In via del Porto Fluviale, sulla pescheria Ostiense, domina il grande “Nuotatore” di Agostino Iacurci realizzato in occasione dell’Outdoor Festival nell’ottobre 2011.

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L’autore “cerca spazi che siano significanti oltre l’opera stessa”; la città è un acquario urbano ove “una figura nuota indisturbata in un vortice di pesci, in una sintonia perfetta che è metafora di pacifica convivenza.” Come è scritto in questa targa.

 

 

In Via dei Magazzini generali  non passa di certo inosservato the “Wall of fame” un muro rosso e lungo ben  60 metri, sul quale sono rappresentati personaggi famosi, gli idoli dell’artista JB Rock che li ha dipinti in ordine alfabetico da Dante Alighieri  a Zorro.  

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Di fronte invece spicca su fondo  blu una galleria di ritratti dal titolo “Black and White Power”,  opera permanente di Lex & Sten che si firmano alla fine nel logo di una donna pantera, simbolo della forza creativa controllata dalla mente. 

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Sono persone comuni, in verità a me una delle donne ritratte ricorda Grazia Deledda  😉

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Alla prossima passeggiata!

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