Non avevo mai visto occhi così verdi

Un racconto per la terza edizione del Carnevale della Letteratura che  si snoda tra le tante notti e le vicissitudini di Cecilia, Tommaso e il Gatto. 

Caro lettore accingiti a seguirmi  e a percorrere con calma lunghe strade  di polvere e  germogli  tracciate nella memoria dei cuori e delle menti di chi narra storie e leggende, ora nascoste  dalle  tenebre della superstizione  e della vendetta, ora illuminate dalla  dolcezza dell’amore  e dalla magia della natura.

bambina con gatto

 

Il tutto inizia in una notte più buia e cupa del solito, in cui  la luna è tenuta in ostaggio da nubi minacciose e pare  avvolta in nere gramaglie. Anche l’aria è ferma, calda e immobile fa presagire l’arrivo di un qualcosa che allerta i sensi.  Nella misera casetta il cui stato di abbandono conferisce un’aria di decadenza e  lascia immaginare uno stato migliore in altri tempi, la fiamma del camino brilla lasciando trapelare all’esterno un’intimità raccolta e intinta nei  colori della brace. L’anziana Maria  è impegnata a selezionare erbe, fiori e verdure sul tavolo della cucina, e di tanto in tanto se ne allontana per mescolare attentamente nel paiolo  con un cucchiaio di legno.

“Svegliati, presto”. Cecilia  dorme  già un sonno profondo in cui esplora  i  sogni con un dolce sorriso. La carnagione levigata, anche se sporca, e i capelli arruffati non la privano della delicatezza dei lineamenti, regalando  allo sguardo  un’aria innocente  mista  a una bellezza un po’ selvatica.

“Cecilia svegliati, fai presto” le grido nella mente miagolando quel tanto che basta a farmi sentire . La bimba si tocca la guancia per la sensazione di qualcosa di leggermente ruvido e poi di vellutato sulla fronte. Apre gli occhi e si scioglie in un sorriso. “Gatto sei tu!” e mi abbraccia  con il solito trasporto. “Presto, andiamo…”

 Io sono Gatto, non ho un nome particolare e sono già fortunato ad essere chiamato Gatto da Cecilia e da  quei pochi che mi sopportano. Non so che mi ha preso questa notte, ma ho sentito  di dovere andare dalla mia beniamina che  mi ha salvato da morte certa;  forse mi meritavo il nome di Mosè salvato dalle acque, ma credo che di questi tempi non si possa troppo scherzare su sacro e profano. Anche se il più delle volte il profano è spacciato per  sacro e alla fine gli umani ascoltano ciò che vogliono  ascoltare e credono in ciò che trovano più rispondente alle  loro intime  paure e convinzioni.

 

gatto nero

Spicco  un salto verso la finestra socchiusa  e svicolo fuori,  seguito dalla mia compagna di  furtive scorribande nel grande prato. Mi lascio  accarezzare e poi inizio  a correre verso il ponte e Cecilia, credendo che sia un nuovo gioco, mi insegue   ridendo e guardando bene a non inciampare nell’erba bagnata dalla notte. L’umidità dell’aria le scivola sulla pelle con perle di sudore sulla fronte, una strana quiete  nell’aria  preannuncia un temporale estivo. Si ferma al ruscello sotto il ponte  per lasciare decantare l’affanno.  La luna continua a stare nascosta e i miei  occhi fosforescenti la guidano nel buio e le fanno compagnia. La notte pare svegliarsi di colpo: un’aria fresca  inizia a danzare tra le  spighe di avena  e i papaveri. Le stelle brillano in lontananza nella  cupola velata di seta nera e la signora dei cieli  inizia senza pudore a denudarsi dei neri drappi  per rischiarare e vegliare dall’alto la collina. Cecilia ha un fremito, un brivido di freddo. Di notte accadono cose che a volte si fatica a comprendere. Si sentono. Accadono cose che Cecilia non può capire, ma ha solo un brutto presagio.

D’un tratto sentiamo  voci sommesse di uomini. Passano sul ponte  con un carro tre incappucciati, silenziosi  come le ombre che lentamente li precedono. Sentiamo poi un grosso colpo, un grido di donna e un gran fracasso di stoviglie rotte e di legni spezzati .Vigile drizzo le orecchie e spalanco gli occhi,  la piccola si appiattisce sotto un’arcata del ponte. I tre briganti escono in gran fretta dalla casa di Cecilia con un fagotto sulle spalle che viene  spinto in malo modo sul carro e se ne vanno in silenzio così come sono venuti, avvolti da ampi  mantelli colore del buio.

La bambina   è  tutta bagnata, questa volta non di sudore, ma di paura. Si sciacqua le gambette nel rio, prende in mano gli zoccoli e si accovaccia tremante. La conforto facendo le fusa  e ci allontaniamo di nascosto, ancora in preda allo spavento . Lei mi stringe a sé, affonda il suo viso nella mia morbida pelliccia nera e  ci addormentiamo abbracciati in una piccola grotta al confine con il bosco. 

“Tu sei figlia dell’acqua e del vento” diceva la nonna quando  Cecilia chiedeva dei suoi genitori. Sua madre era un a giovane vedova, così pare, di un uomo partito per una guerra non sua e mai più tornato. Dalla bellezza materna  Cecilia aveva ereditato i grandi occhi verdi e i capelli ramati. In quegli occhi più di un uomo, scapolo o ammogliato, si era perso e se lei era additata come una svergognata lavandaia , tuttavia era tollerata perché viveva ai margini del borgo oltre che della comunità. Ogni tanto la si vedeva uscire dal bosco con un sorriso e una baldanza che le facevano godere della vita. Si sa che il paese è piccolo e pieno di devozione. Non riuscireste a immaginare  quanta ne ispirassero la gelosia e l’invidia non solo di  donne e di ragazze da marito, ma anche di vecchi  ormai esclusi per vigore  tra i pretendenti alla sua freschezza. Le chiacchiere infestano come la mala erba, ma sono  più che convinto che un uomo l’abbia amata davvero e continui ad amarla. Ci sono segreti  nei cuori degli uomini sepolti  con cura  dalla rassegnazione, dagli obblighi  familiari e dalle apparenze. E credo che Anna , depredata troppo presto delle gioie coniugali da un  destino ingrato, avesse deciso di non privarsi dei piaceri della vita, di quelle pause spensierate che le consentivano di andare avanti tra rinunce e sogni infranti.

“La provvidenza vede e provvede.”  Così tuonò il prevosto, quando finalmente cessò quella fastidiosa presenza, sigillando le chiacchiere del paese con  una tacita pietas. In un’afosa  notte di  agosto, di quelle abbaglianti di stelle che avvicinano la cupola celeste ai sogni di tanti  e   lasciano ben intravedere le costellazioni  e le vie del cielo ai poeti, ai  naviganti e agli  amanti, in una notte che protegge e avvolge  con  la  complice tenerezza di una madre affettuosa che gioca con il figlio,  il destino volle portare  con sé  l’ultimo respiro di Anna e regalare al mondo   il primo respiro di Cecilia.

 Tra persiane e porte socchiuse ogni comunità racchiude da generazioni segreti, fondati o  abilmente partoriti dai malpensanti,  e la piccola Cecilia veniva semplicemente tollerata come figlia di un peccato, di certo  non suo, provato dagli inconfondibili occhi di foglia. Del padre non si vociferava nulla, perché da sempre  all’uomo era consentito soddisfare le voglie in una generale ipocrisia ora avallata con nonchalance, ora sfacciatamente  ostentata.

Io giro spesso solitario tra i vicoli del borgo, di soppiatto cerco qualcosa da mangiare e sto allerta per timore che mi lancino pietre e insulti. Sono troppo nero e incuto paura , a volte suscito grida e fughe, come una creatura malefica. Solo Cecilia non mi ha mai temuto , anzi  mi ha accolto nella sua ingenuità infantile. Strano a  dirsi ma non comprende  né avverte la solitudine, forse perché non ha la percezione della vita in comune avendo sempre vissuto fuori dal paese, conscia di una sola dimensione fatta di spontaneità e istinto e ritmata dal sole e dalla luna, dai colori e dalla ciclicità delle stagioni e della natura. Io appartengo al mondo di Cecilia popolato da insetti, lepri, rane, volpi, uccelli notturni e diurni, animali domestici e selvatici. Ecco forse lei  appartiene a questi ultimi in quanto leggermente addomesticata dalle parole, ma di sicuro  non dalle regole dell’ umana convivenza.

 Questa mattina andando di buon’ora a pescare nel ruscello, all’altezza del ponte,  sono passato davanti alla casa di Cecilia. Ho con me  una pagnotta e un po’ di latte fresco che spesso mio padre Pietro  mi fa consegnare a Maria, per pietà di quella vecchia che cresce  la piccola come può. Mi aspetto di vederla  accovacciata tra i cespugli di lavanda e rosmarino a giocare con i sassolini o venirmi  incontro, privilegiandomi della sua attenzione. C’è un muro di dubbi e sospetti  su quella casa  ma io,  che di san Tommaso porto il nome, non credo se non vedo , scrollo le spalle, non capisco  né voglio capire le incomprensibili questioni degli adulti.  Mentre accelero il passo, noto la porta sfondata. Non sento  i soliti  rumori  del risveglio di ogni casa. Ho un buon intuito e d’istinto torno indietro  da mio padre che  lascia tutto e si precipita  con  il vicino di casa Elio e Oreste, suo figlio. Arrivati di corsa, tutti insieme  con  sguardi indagatori e  preoccupati contempliamo attoniti   la violazione della casa, sempre più manifesta man mano che ci addentriamo. Oreste corre  verso il borgo a dare l’allarme e i due uomini si dirigono verso il  bosco con la speranza di trovare qualche indizio, se non addirittura le malcapitate. Mio padre è triste e preoccupato, mi sembra di colpo molto vecchio.  Li seguo con lo sguardo e mi fermo stanco nel grande prato guardando dall’alto il ponte e la casa di Donna Lucrezia con tutte le persiane e le finestre spalancate. Sulla terrazza scorgo controluce una sagoma che mi fa cenno di avvicinarmi e scendo verso la villa. Angelina mi apre il portone  e mi conduce dalla signora Lucrezia, una stimata nobildonna  di città, molto colta e ricca, arrivata non si sa se per scelta o per confino, la quale  conduce una vita riservata ma, chissà come, riesce a sapere sempre tutto della vita del borgo. Con timore quasi riverenziale misto a timidezza mi presento al suo cospetto tenendo gli occhi bassi . Lei mi incarica di cercarla nei pressi del bosco perché, a suo dire,  alle prime luci dell’alba ha intravisto Cecilia che camminava nel prato con il suo inseparabile Gatto nero.

Mi nascondo ai piedi del ponte da cui posso osservare il prato che confina con il bosco, la casa di Cecilia e di Donna Lucrezia. In cuor mio spero di trovare la mia amica anche se non capisco cosa possa essere successo alla nonna. Girano voci su  briganti che a volte di notte rapiscono le donne come è  già successo altrove, in base a  notizie giunte tramite donna Lucrezia che ha amici influenti e bene informati in città. Di queste donne,  giovani e anziane, nessuna è più tornata . Una subdola ansia mi prende con il timore che sia successo qualcosa di grave a Cecilia. D’un tratto vedo  mio padre uscire dalla selva con un’aria sconsolata e afflitta, mi pare  che pianga. Non è da lui  che è sempre poco incline a manifestare  i propri sentimenti con atteggiamenti di distacco, pacati, saggi e meditati .

Quando la noia e la stanchezza stanno avendo il sopravvento e il cielo si tinge  delle sfumature violacee del crepuscolo,  inizio a ingannare il tempo cercando  rane finché sento un fruscio in un cespuglio poco distante. Con calma prendo un sasso in attesa che compaia una biscia o chissà che altro, ma d’un tratto mi appare  il baldanzoso Gatto nero. Dopo qualche istante vedo brillare gli  occhi verdi di Cecilia che, spalancati di paura più che di sorpresa, tradiscono la  diffidenza che i bambini hanno verso gli sconosciuti. Bagna   i piedini con circospezione,  mi sembra  ancor più piccola dei suoi cinque anni nella tunichetta  sporca e un po’ corta, non ha più l’aria sfrontata o  incurante di sempre. Ho quasi paura di chiamarla e che scappi via, la guardo  quasi commosso cogliendo  in quegli occhi i pensieri  di una bambina più grande. Non ho mai visto occhi così verdi, e resto  immobile tra lo stupore e il timore di spaventarla. “Cecilia”, riesco  a dirle quasi sottovoce, scandendo dolcemente le sillabe, e la bimba mi sorride.

 

 “Madonna santa”, esclama Angelina quando apre il portone. “Anima innocente, chi ti ha ridotto così?” e subito ci lascia entrare accompagnandoci nella grande cucina. In fretta si premura di sfamarci  con pane fresco, latte e miele. Sulla porta compare Donna Lucrezia alla quale non sfugge nulla e questa volta deve  fare sentire ancor più e di persona  la sua presenza. “Sei la nipote di Maria, vero?” La bimba assente con la testolina  ingrovigliata  di erba secca e terra. La signora si sdebita con me, come promesso, e dà disposizioni ad Angelina per ripulire e rifocillare la bimba annunciando  che da quel dì vivrà in quella casa con loro. La fidata  serva  è ben felice di accogliere la  creaturella, finalmente avrà un aiuto e una compagnia. Così Cecilia trova   un tetto-  e che tetto!-,  tante premure e tra lenzuola  fresche e profumate il sonno ristoratore  la ritempra  dagli stenti patiti fino ad ora così che un bel giorno si scopre allo specchio  come non avrebbe mai immaginato. 

il gatto e la lunaMi manca Cecilia, mi  mancano le scorribande notturne nel grande prato tra lucciole e grilli d’estate, e i nebbiosi sbuffi dell’ alito d’inverno. Spesso mi ritrovo solo sul ponte, costretto a vagare indomito padrone  della notte e perlopiù, esule senza patria, a dormire nascosto di giorno. Durante una notte placida ma  fredda, me ne sto sul ponte a  guardare i  colori caldi dell’autunno, quando mi sento osservato, mi volto di scatto già pronto a difendermi da eventuali attacchi ma mi  incanto dinanzi a una  gatta, nera come me, dolcemente  elegante e sinuosa  nei movimenti. Nerina, nel mio semplice immaginario di gatto, si chiama Nerina. Stiamo per un po’ sul muretto del ponte a studiarci reciprocamente finché  ci inseguiamo nel prato, mi cimento in prodezze acrobatiche e fusa pur di  conquistarla, ma all’improvviso non la trovo più.

 

L’ho trovata finalmente, se no che Gatto sarei. Ho ritrovato  Cecilia che  è in carne, serena, davvero bella, non l’avrei riconosciuta  se non per quegli occhi ipnotici che ti leggono dentro e poi vispi vagano intorno, spinti dal  pensiero veloce  e dall’innata  curiosità.  

Angelina è una brava donna, generosa e affettuosa:  di sera mi lascia entrare in cucina servendomi un po’ degli  avanzi  e finge di non sapere che la bambina  apre la finestra  per farmi  dormire ai piedi del suo letto nelle fredde notti invernali. La solitudine  accomuna e Angelina sa bene quanto  sia prezioso amare e sentirsi amati , anche se da un gatto. Intanto  il mondo di Cecilia si popola di nuove abitudini, consuetudini, precetti di vita civile e religiosa, nella conquista di un sempre più esteso consenso sociale grazie anche alla  protezione di Donna Lucrezia. Le origini della bimba sono appena bisbigliate dalle donne di una certa età alle figlie e alle nipoti nubili , poco ambite dai giovani del paese, ai cui occhi Cecilia   risulta essere una potenziale rivale troppo aggraziata.

 Gli anni passano e non ho più tempo per giocare con la mia amica. L’affetto  di compagni d’infanzia si sta sciogliendo  nell’attrazione dei sensi e mio padre cerca di impegnarmi  tutto il giorno, secondo me, per timore che la  frequenti troppo . Ogni tanto sbrigo piccole commissioni per Angelina e Donna Lucrezia  e la scorgo in cucina impegnata ad aiutare in faccende domestiche, o mentre  si esercita a leggere con la signora  e a ricamare. Vorrei invitarla a ballare al Calendimaggio, alla festa della primavera e della fertilità intorno all’albero fiorito, per  celebrare l’arrivo della bella stagione. Sono sicuro che Cecilia sarà prescelta come reginetta della festa.

 

Le notti si susseguono tra trine di  nubi  e stelle di diamanti e la vita pulsa sempre più forte nella  natura, anche in quella umana. Sto invecchiando e non ho più l’agilità di una volta. Devo essere prudente, poco tempo fa quell’Oreste mi ha colpito con un grosso sasso e mi ha azzoppato, sono scappato nei vicoli del borgo ma il dolore era insopportabile e, quando credevo di non avere via di scampo, ho incontrato Nerina che mi ha condotto in salvo in una cantina. Quell’Oreste non mi piace. È  inquieto in un corpo troppo forte, è diventato un ragazzone spavaldo e prepotente con i ragazzi, smargiasso con le ragazze che seduce nel  bosco.  Ho l’impressione che abbia messo  gli occhi su Cecilia perché si aggira sempre nei paraggi della villa. Non devo farmi scorgere, se no sono guai.

 Il gran giorno è arrivato,  la natura inizia a  rinascere e con lei la speranza di un buon raccolto. Le ragazze hanno colto fiori di campo e intrecciato ghirlande, si sono  di bianco vestite per festeggiare  con canti e danze l’arrivo della primavera. Anch’io sono  lì e ballo volentieri, sotto lo sguardo fiero dei miei  e della mia dama di turno. Oggi pare che regni l’armonia, c’è voglia di gioire, di vivere la giovinezza  e il presente  senza rivalità e  rancori.  Angelina contempla compiaciuta la sua Cecilia, proprio lei, che madre  non è mai stata, ha ricevuto una figlia più bella del sole. La danza scioglie ogni inibizione nei sorrisi e nelle movenze, la fanciulla rincorre la sua musica interiore e con disinvoltura riesce a cimentarsi in quella sua prima occasione di vita, in quel rito di iniziazione all’adolescenza.

Le voglie di amorosi sensi pungono in corpo, soprattutto ad Oreste che si è dichiarato senza successo a Cecilia. Il diniego amoroso a volte può ferire  più di un’offesa  verbale e Oreste non è il tipo che dimentica e perdona facilmente, anche perché deriso dagli altri ragazzi in quanto  la più giovane e  bella ha osato ridimensionarlo. In buona fede però, perché i primi approcci e le  schermaglie  amorose  non sono note a Cecilia, ancora infantile nella sua timidezza e inconsapevole di suscitare le attenzioni dei maschietti ruspanti.

 

Un’altra notte, silenziosa e calma, tanta quiete stranamente mi innervosisce. Ho  già gatto-e-lunasentito una notte del genere, quest’umidità mi appiattisce il pelo. C’è uno strano silenzio, i grilli e le rane tacciono. Eccoli  di nuovo,  gli  incappucciati, ma che fanno? Aprono la finestra e afferrano Cecilia e la portano via su un carro avvolta in un sacco,proprio come la nonna. Il giorno dopo  le grida di Angelina risvegliano  il borgo e le coscienze  in tristi ricordi che si volevano dimenticare, mentre  la signora Lucrezia  ha mandato  a chiamare d’urgenza Tommaso per  consegnare una lettera in città. Ovunque, in ogni casa, bottega, piazza non si fa altro che parlare del rapimento di Cecilia. La gente ha paura, si è ripetuto un dramma  già vissuto, questa volta si teme che i briganti approfittino della ragazza. Si insinuano dubbi e sospetti, le maldicenze riemergono  e volano velocissime  di bocca in bocca offuscando i  giorni sereni appena trascorsi.

 Donna   Lucrezia e Angelina partono , in fretta e furia portano  quanto più possono in grandi bauli. Troppi bagagli fanno presagire  che faranno un lungo viaggio o che comunque non ritorneranno presto o mai più nella bella villa sul ponte. C’è chi dice che la signora raggiungerà  suoi lontani parenti in Francia o    un suo potente amante con la speranza di  trovare la sua figlioccia, mentre la buona  Angelina si ritirerà  in un convento per trovare conforto nella fede per  un dolore così devastante. Povera Angelina! Non sa che proprio quella fede ottenebra il ben dell’intelletto in un delirio collettivo che si accanisce cercando un capro espiatorio per ogni carestia, epidemia, moria di animali, morte di parto, scontento, tempesta , irregolare soffio di vento o marea e un tribunale di ecclesiastici, detto santo ma  che di santo non ha proprio nulla , senza alcuna compassione, né umanità e tanto meno obiettività indaga, inquisisce,  individua una vittima da sacrificare sull’altare dei secoli bui.

  Io lavoro, lavoro tanto e, quando i  cattivi pensieri mi sbattono ossessivamente nella testa, bevo, bevo troppo fino a stordirmi. Vorrei annegare  nella bottiglia per non immaginarla più, vorrei annegarci per colmare questo vuoto. Che darei per averla ancora qui, rinuncerei anche a vederla pur di saperla sana e salva . La rivedo ancora ,  bocciolo non ancora sbocciato, durante la festa del Calendimaggio. L’altra notte, mentre  una luna piena  inargentava ogni spiga  e ogni foglia  e si specchiava in ogni goccia d’acqua, ho visto uno stormo di uccelli con volti umani  diretti verso il bosco. Ero brillo, confuso, ho intravisto  la signora Lucrezia, Anna, Maria  e altre donne, giovani e vecchie, bellissime  e orrende…avevo caldo, mi sentivo in preda ai fumi dell’alcol  e al rimorso di non aver protetto abbastanza Cecilia.  Che scherzi fa il vino!

Ad un tratto tutta l’acqua è ribollita, come se dal fondo delle viscere della terra  ci fosse stata un’esplosione che facesse sobbalzare e gorgogliare ogni polla e corso d’acqua e un forte vento ha scatenato le chiome in un vortice sempre più vasto e furioso di  foglie,  di fiori,  di frutti, di polvere, pietre, rami  ed erbe  che come in un’ invisibile cornucopia si sono levati verso il cielo e l’ho vista, l’ho vista , era lei  che dava le mani al Gatto e rideva  danzando un girotondo con Gatto in un turbinio di scintille luminose e fiamme. Credo poi di essermi addormentato.

 gatti-occhi-verdi-bis

E’ stata una notte tremenda, infernale. Strani prodigi stanno accadendo, la gente ha paura e non si sente sicura nemmeno in casa propria. Durante quella tromba d’aria che ha sollevato tegole e scoperchiato tetti, sradicato alberi  e  terrorizzato gli animali nelle stalle e nel bosco, sconvolto gli uomini  e  fatto piangere le donne e i bambini ,  d’un tratto si è sentito l’Oreste che urlava .È uscito sull’uscio di casa, con la faccia sfregiata da graffi  e la camicia insanguinata. Si dice  che due gatti neri  siano passati  rasenti al muro di casa sua, uno dietro l’altro,  e il più grosso  è stato trovato morto poco distante con il cranio sfondato. Il tetto del campanile si è sgretolato ed è precipitato giù sul sagrato della chiesa. Il campanile si erge ora solitario, incredulo quanto noi di questa furia che si è scatenata all’improvviso.

Le voci corrono, soprattutto queste. Mio padre sta perdendo la ragione, in preda a sensi di colpa per un’ignavia che probabilmente non riesce a perdonarsi. Cecilia , sorella che non ho mai potuto abbracciare come tale,  sei durata poco come tutte le cose troppo delicate e preziose. Sono andato in città per avere conferma di quanto ho capito e sentito, e sono solo riuscito a  scorgere i tuoi piedi bluastri e allungati che uscivano da un carro tra sacchi insanguinati  mentre ti portavano via. Non ho osato soffermarmi, voglio ricordarti come eri. Non meritavi tutto questo, sei nata sola e te ne sei andata ancora più sola, affidando al vento e all’acqua il tuo strazio.

 

“Vieni Notte, madre amabile che mi hai  finora protetta dal male degli uomini. Accoglimi pietosa, regala i tuoi respiri a me che hanno tolto l’aria.  Mi hanno invidiato come ragazza quando a stento ho vissuto da bambina, mi hanno  desiderato  come femmina quando non ero ancora una donna, mi hanno reso sterile prima ancora che divenissi fertile. Raccogli  i miei sogni e i miei sospiri, cullami, nascondimi più in alto che puoi nell’oscurità e poi nelle vie del cielo. Indicami la strada, dea del silenzio e della compassione, strappami da questa sofferenza  che  dilania  le membra  e l’anima. Non ho più parole, né lacrime, né forze, né battiti per questo mondo. Notte, saggia e incorruttibile, salvami ora e per sempre dalla follia dell’uomo , dalla cecità  della superstizione e dall’ottusità della fede. Scendi Notte pudica , lascia riecheggiare la calma del silenzio anche dentro di me, cala un velo su quel che sono ora e avrei voluto diventare, frutto di un peccato che non mi appartiene come i demoni  che scalpitano nelle loro menti malate , perverse e malvagie. Portami via, sventrata di ogni dignità e vitalità, Signora del cielo diffondi ovunque quel  mio istinto  a comprendere le voci della natura, mai compreso, che  seduce , conquista, affascina  quando la natura è benevola,  ma provoca terrore e vendetta   quando è  maligna.”

 

Non so se si possa impazzire di dolore. La violenza su Cecilia, additata come  strega bambina, mi ha sconvolto. Sono partito, il mare ridimensiona ogni cosa  e cambia  prospettiva,  nell’infinito del  cielo notturno che sconfina nel  buio silenzioso e fermo dell’oceano ho ritrovato un po’ me stesso e sto imparando a cicatrizzare le mie ferite.  In fondo le  persone della nostra vita sono un po’ come le stelle.
Tutte comunque lasciano una scia indelebile dentro, lasciano una traccia che nulla potrà oscurare e spegnere: una luce fatta di polvere di stelle, che scalda, rischiara, anima e dà un senso al nostro passaggio nell’universo, al nostro sentirci sospesi tra due infiniti. A volte siamo come un orizzonte, linea di demarcazione irraggiungibile e indefinibile eppure esistente, protratti verso un infinito che va oltre ogni confine e ogni tempo. Cecilia continua a brillare, ovunque tu sia.

Durante l’ultima  tempesta  le onde hanno invaso  il ponte , spezzato le sartie,  abbattuto  l’albero  maestro. La natura fa il suo corso, divinità indomabile e imprevedibile ha il vero potere di vita e di morte. I marinai dicono di avere  visto un gatto nero nella stiva e poco dopo il vento si è placato e con lui i marosi. Io credo invece che la paura suggestioni un po’ tutti e che fosse uno dei soliti  topi che sale  a bordo nei porti. La paura però innesca il coraggio di vivere, è tempo di non sfuggire a me stesso e alla mia memoria, è tempo di  tornare alla mia terra, alla vita dei campi, a casa.

 Quante donne, tutte  qui a dispensare rassicuranti litanie, a preparare acqua calda e pezze sterili e calde. Una processione di donne devote e io sono qui che aspetto. Non sopporto più le sue grida. Notte, che accogli le confidenze di chi ama e di chi soffre, assisti e proteggi mia  moglie …

 Mi sento impotente di fronte ai suoi lamenti e guardo fuori dalla finestra. Una notte come la magiatante, quante ne ho scrutate per diventare uomo. Mentre osservo la mia ombra  che si allunga sul muro di fronte casa, ho la leggera percezione di un’ altra ombra  che corre furtiva , forse di un ratto. Alzando lo sguardo  li capto, sono due grandi occhi verdi brillanti nel buio. Un gatto nero, snello ed elegante è lì seduto di fronte a me, sul muro, mimetizzato nelle tenebre. Pare mi fissi e penso a Gatto, ma è più piccolo, come lui però è maestosamente regale e misterioso. Ci fissiamo immobili, non sento più le voci, gli strilli, l’ansia dell’attesa. Penso all’istante in cui da bambino colsi  l’intensità di  quegli occhi così verdi che non avevo mai visto prima.

Mi toccano la spalla, mi volto. Mia madre mi porge mia figlia. È nata, finalmente! Guardo per un attimo il cielo che forse  mi ha ascoltato, o semplicemente era destino che andasse così.

 Sorrido alla mia donna, osservo con attenzione la mia bambina, nata in una notte di inquieta attesa, frutto del desiderio e dell’istinto alla vita e le sussurro “Benvenuta tra noi, piccola Cecilia”.

 

immagini dal web

9 pensieri su “Non avevo mai visto occhi così verdi

    • @Adriano Maini: infatti la storia, compresa quella delle streghe bambine che realmente sono rimaste vittime dell’Inquisizione, ha diverse interpretazioni .

  1. Paure, superstizioni, violenze…. magari oggi non si parla più di streghe ma il resto è “attualità”.
    Togli il bosco e metti un’oscura periferia e la storia rimane uguale uguale! :-)

  2. Pingback: Carnevale della Letteratura #3 – La notte | SkipBlog

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