Carnevale della Letteratura #3 – La notte

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E voilà è arrivato settembre con quell’inconfondibile luce che rende più brillante il verde e  trasparenti le acque e nella prima fresca aria notturna è arrivata a buon fine   la terza edizione del Carnevale della Letteratura avente come  tema  la Notte.

La notte, che da sempre incanta, affascina, appassiona e spaventa. Nel silenzio della notte sembrano emergere in maniera accentuata, più sentita e vissuta,  l’anima razionale ed irrazionale dell’uomo, a volte assorto e concentrato nei propri pensieri, a volte  libero di rincorrere sogni e passioni. La buia notte distoglie dal superfluo, induce  a scrutare e a esplorare  sentieri invisibili, a volte imperscrutabili, e nella sua silenziosa presenza ascolta, custodisce, ispira, guida, rivela indistintamente a tutti ad ogni età e nelle varie fasi della vita.

Tutti i partecipanti a questo Carnevale ci regalano frammenti delle loro notti, a volte tenere e nostalgiche, a volte briose e frizzanti, affascinanti e consolatorie, magiche e misteriose…

Io e Skip vi accompagniamo in punta di piedi nelle tante notti svelate dai nostri amici che  vogliamo ringraziare per avere reso così varia e  luminosa questa iniziativa.

 

Carnevale della Letteratura –terza Edizione

“Non si può toccare l’alba se non si sono percorsi i sentieri della notte.”

(Kahlil Gibran)

Mediterraneo

Iniziamo con   Marisa Bergamasco, che dall’Argentina  cura il blog Cocina y Letras ove riesce abilmente a fondere letteratura e arte culinaria, mescolando  la  nostalgia per l’Italia con i sapori  della buona cucina. Ci propone La notte e le donne più belle d’Italia, un racconto originale e spontaneo come gli affetti più cari associati a notti diverse che, nella loro luce e vicinanza, riescono ad annullare ogni distanza di spazio e di tempo.

“Pochi anni fa, quando telefonavo a mia madre da uno dei tanti posti in cui mi sono trasferita, le chiedevo che guardasse di notte “le tre Marie” (le tre stelle della cintura di Orione, quelle che nel mondo boreale vengono chiamate “I tre re”). A casa di mia madre se ne trovano sopra il serbatoio dell’acqua potabile che a sua volta si trova sopra il tetto della sua camera. Io le cercavo ovunque ci sia stato il mio cielo, e a quel punto, pensare l’una all’altra era il nostro modo casereccio per esorcizzare la lontananza.”

Un mix poetico, delicatamente genuino come la sorpresa finale, molto gradita da Skip e ancor più da me.  😉

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“La notte illuminata dal chiaro di luna è una delle ambientazioni più comuni e suggestive che si possono ritrovare in ambito sia letterario che musicale” è l’incipit del  post “Il chiaro di luna tra musica e letteratura” del giovane  Leonardo Petrillo, esperto di musica e scienze, che sul Tamburo Riparato ci delizia con un’ armonia  di composizioni musicali e letterarie.

“Sempre nell’atto V, Shakespeare immette un’emblematica riflessione relativamente alla musica: L’uomo, nel cui cuore la musica è senza eco, o l’uomo, che non si commuove ad  un bell’ accordo di suoni, è capace di tutto: di tradire, di ferire, di rubare e i moti del suo spirito sono foschi quanto la notte e le sue passioni nere quanto l’inferno. Non ti fidar di lui, ascolta la musica.”

E noi accogliamo volentieri l’invito leggendo e ascoltando il post di Leonardo, magari durante  una notte romantica, e il futurista Marinetti ci scuserà se non abbiamo ancora ucciso il chiaro di luna   😉

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E ora destiamoci  e spalanchiamo bene gli occhi, lasciandoci guidare dall’eclettica  Annarita Ruberto, la professoressa del web, esperta di matematica, fisica,  scienze e astronomia di cui scrive su Scientificando e Matem@ticamente, oltre che pubblicista di articoli scientifici sulla rivista  “Scuola & Didattica”.  Questa volta  sul blog Web 2.0 and Something  ci offre due componimenti poetici.

 Immersa  nella volta celeste contempla la Notte che

 “Pietosa signora

doni ali a pensieri.

Offri asilo ai desideri

Che vagano stranieri”

Una notte che, inquieta, ispira e nutre talenti.

 Annarita però non può non subire il fascino degli astri  e lo traduce in versi in   “ Le stelle” che  rischiarano le strade del cielo, dell’uomo  e delle varie civiltà e da sempre racchiudono nella loro magica polvere il mistero dell’universo.

 

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“Quella notte” , lettori,  che notte! Una notte tutta  da scoprire su Il Gloglottatore  , che lascia ampio spazio all’immaginazione e alla libera interpretazione.  Bernardo R., l’autore, è anche uno degli ideatori  del Carnevale della Letteratura  e  gloglotta convinto  che il mondo umanistico può amalgamarsi con quello scientifico o di altre arti e campi dell’ingegno umano. Infatti ci ha contagiati e convinti,  speriamo di esserlo sempre in  più.  Qui trovate i temi delle varie edizioni del Carnevale.

 

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Seguiamo adesso  Margherita Spanedda  che cura i blog  Un po’ di chimica e Il gatto a righe.  Nelle “Stelle”  racconta  una di quelle notti  pungenti che riescono a parlare  all’anima tra presente e passato, tra le  luci e  le ombre della vita di Maria. “…le  ombre dei suoi pensieri, dei suoi desideri, diventate improvvisamente solide , palpabili” riemergono da uno spazio vissuto e divenuto  troppo stretto e respirano in quello della memoria  e nell’ infinito  universo ove ricongiungersi alla luce di quelle stelle che attraversano la nostra vita come comete…

Altro contributo  di Margherita è il post  “La Dea” che nel suo splendore   affascina   gli uomini sin dalla notte dei tempi, incanta regalando un senso di infantile stupore a una nostra lontana progenitrice   che non può ancora intuirne  i misteri  nel ritmo del tempo e nella ciclicità della natura.

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“La luna spuntando dietro la cresta dei Ronchi, fece la sua comparsa nel cielo stellato e limpido e si mise all’opera per completare l’impresa iniziata dall’acqua. Con la sua straordinaria forza di gravità capace di alzare e abbassare le acque dei mari e degli oceani, come una misteriosa alchimia, mescolò le molecole dell’acqua con le vitamine della cornola dando così origine a una nuova forma di vita sconosciuta sulla terra.” Chi nacque? Il Sanguanello, un folletto dispettoso e burlone che è ricomparso  dalle leggende delle valli dell’Altopiano di Asiago  nei racconti di Fiorella Lorenzi insieme a “L’Anguana del Cion” .Tra suggestive descrizioni e un’apparente semplicità narrativa personaggi reali ed immaginari dei monti e dei boschi fanno decollare la fantasia nella semplice, quasi fiabesca,  atmosfera di un mondo rurale di altri tempi. Io e Skip ringraziamo anche Silvano Bottaro, alias Novalis, che ha pubblicato il post di Fiorella nel blog Novalismi  e invitiamo la cara Fio a scrivere, scrivere e farsi leggere. Ecco l’abbiamo detto ufficialmente!

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Ora passiamo a uno dei promotori e assiduo sostenitore del Carnevale della letteratura, cioè Spartaco Mencaroni di Il Coniglio Mannaro. Chi è il Coniglio? “Il Coniglio Mannaro è quella parte di ognuno di noi che si è persa in un posto magico e guarda da lontano il nostro mondo e la sua luna. Continua a raccontare storie fantastiche e frammenti di sogni, a volte fingendo di voler tornare indietro.” Un biglietto di presentazione per un giovane scrittore, di grande creatività e sensibilità, che riesce sempre a produrre racconti suggestivi, ora  teneri e delicati, ora misteriosi e avvincenti. Spartaco ha contribuito a questa rassegna con ben tre post.

In quella pallida estate, durante una lunga notte, accadono cose per noi viventi quasi incomprensibili. “Noi ricordiamo poco. I nostri pensieri si sciolgono nella luce e, nel buio, rimangono oscuri. Il giorno è chiarissimo dolore, la notte dolcissima stempera ogni memoria e ci conforta con la sua vaga tristezza.

Ma alcune cose restano, fissate come la trama di una ragnatela su cui splendono gemme argentate e gocce di pioggia inzuppate di luna.

Avvenne quell’estate, sotto un pallido cielo, che un’improvvisa bruma assai densa ci avvolgesse subito prima dell’alba.”

Due mondi si sfiorano nell’alba, momento di passaggio  dalle tenebre alla luce, dove la dolcezza e l’amarezza insite in ogni perdita si uniscono .

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Neve sull’argine grande è invece un racconto poetico che prende spunto dall’ “Autoritratto con paesaggio”  di Matteo Pedrali e accarezza le varie sfumature dell’amore nell’alternanza di giorno e notte, delle luci e delle ombre dell’umano sentire. Questo  post è un bell’esercizio di scrittura  di  Spartaco Mencaroni  che riesce a  dipingere con descrizioni accurate e incisive.

 

Di notte accadono cose che non si possono capire, ma solo intuire. “Ma quest’inverno è 37diverso. C’è uno strano freddo, che entra nell’anima. Le giornate non sono mai del tutto luminose ed è come se la notte assediasse le ore di luce. Posso sentire le ombre, si spingono ai margini del giorno, in attesa del buio.”   Nelle Notti d’inverno si snoda una storia  avvincente che sconfina dal mondo  reale a quello immaginario  negli inesplorati meandri della mente umana,  popolati da inquietanti presenze.

E infine veniamo  a noi.  Io e Skip ci siamo un po’ persi tra notti, stelle , lune e sensazioni. 

 

bambina con gatto“Caro lettore accingiti a seguirmi  e a percorrere con calma lunghe strade  di polvere e  germogli  tracciate nella memoria dei cuori e delle menti di chi narra storie e leggende, ora nascoste  dalle  tenebre della superstizione  e della vendetta, ora illuminate dalla  dolcezza dell’amore  e dalla magia della natura.” È l’incipit di  “Non avevo mai visto occhi così verdi”. Di chi? Provate a  scoprirlo nella storia di Cecilia, presunta o vera strega bambina, Tommaso e il Gatto, personaggi reali e fantastici in una storia un po’ misteriosa.

 

“L’anima è piena di stelle cadenti (Victor Hugo) “e anche la notte di San Lorenzo che ha ispirato semplici riflessioni e una grande meraviglia di fronte a uno spettacolo che si ripete e non stanca mai.

 

“Pompei, maledetta dalla natura e benedetta dagli dei, suggestiona chiunque nei suoidomus pompei chiaroscuri, nell’eco remota che risuona dentro, nella sua  immensità costellata da vibranti fiammelle che segnano il percorso, quasi a ricordo del percorso esistenziale dell’umanità. “Qui siamo felici” è l’epitaffio più bello in memoria di una città che ha ancora tanto da dire indistintamente a tutti.”

Hic sumus felices – Le magiche Lune di Pompei è un post ove dalla storia di Pompei , esplorata in visite notturne, si approda a riflessioni che accomunano l’umanità del passato e del presente .  

In una notte d’autunno è un  breve sguardo dentro di sé per ritrovare “ l’anima bambina. La stessa che tace parole non scritte per pudore e per timore di annoiare e di ferirsi. La stessa che ora si lascia decantare e si placa  nell’ abbraccio  di una morbida notte  d’autunno.” 

serena notte

Siamo quasi  arrivati alla conclusione del Carnevale  e io e Skip ringraziamo tutti i partecipanti e i lettori per avere seguito questa luuuuuuuuuunga rassegna.Ricordiamo che la quarta edizione del Carnevale della Letteratura sarà ospitato su Scienza e Musica di Leonardo Petrillo che ha scelto come  tema “ il tempo”. Potrete segnalare i link di vostri  post inerenti il tempo entro la fine di settembre .

 

Ora ci congediamo  lentamente e vi regaliamo un ultimo e splendido omaggio di Fernando Pessoa alla Signora  che, nelle sue mille sfumature ,  ci ha ispirati e guidati perché “La notte non è meno meravigliosa del giorno, non è meno divina; di notte risplendono luminose le stelle, e si hanno rivelazioni che il giorno ignora.” ( Nikolaj Berdjaev)

tutteleluneOde alla notte

Vieni, Notte antichissima e identica,
Notte Regina nata detronizzata,
Notte internamente uguale al silenzio, Notte
con le stelle, lustrini rapidi
sul tuo vestito frangiato di Infinito.
Vieni vagamente,
vieni lievemente,
vieni sola, solenne, con le mani cadute
lungo i fianchi, vieni
e porta i lontani monti a ridosso degli alberi vicini,
fondi in un campo tuo tutti i campi che vedo,
fai della montagna un solo blocco del tuo corpo,
cancella in essa tutte le differenze che vedo da lontano di giorno,
tutte le strade che la salgono,
tutti i vari alberi che la fanno verde scuro in lontananza,
tutte le case bianche che fumano fra gli alberi
e lascia solo una luce, un’altra luce e un’altra ancora,
nella distanza imprecisa e vagamente perturbatrice,
nella distanza subitamente impossibile da percorrere.
Nostra Signora
delle cose impossibili che cerchiamo invano,
dei sogni che ci visitano al crepuscolo, alla finestra,
dei propositi che ci accarezzano
sulle ampie terrazze degli alberghi cosmopoliti sul mare,
al suono europeo delle musiche e delle voci lontane e vicine,
e che ci dolgono perché sappiamo che mai li realizzeremo.
Vieni e cullaci,
vieni e consolaci,
baciaci silenziosamente sulla fronte,
cosi lievemente sulla fronte che non ci accorgiamo d’essere baciati
se non per una differenza nell’anima
e un vago singulto che parte misericordiosamente
dall’antichissimo di noi
laddove hanno radici quegli alberi di meraviglia
i cui frutti sono i sogni che culliamo e amiamo,
perché li sappiamo senza relazione con ciò che ci può
essere nella vita.
Vieni solennissima,
solennissima e colma
di una nascosta voglia di singhiozzare,
forse perché grande è l’anima e piccola è la vita,
e non tutti i gesti possono uscire dal nostro corpo,
e arriviamo solo fin dove arriva il nostro braccio
e vediamo solo fin dove vede il nostro sguardo.
Vieni, dolorosa,
Mater Dolorosa delle Angosce dei Timidi,
Turris Eburnea delle Tristezze dei Disprezzati,
fresca mano sulla fronte febbricitante degli Umili,
sapore d’acqua di fonte sulle labbra riarse degli Stanchi.
Vieni, dal fondo
dell’orizzonte livido,
vieni e strappami
dal suolo dell’angustia in cui io vegeto,
dal suolo di inquietudine e vita-di-troppo e false sensazioni
dal quale naturalmente sono spuntato.
Coglimi dal mio suolo, margherita trascurata,
e fra erbe alte margherita ombreggiata,
petalo per petalo leggi in me non so quale destino
e sfogliami per il tuo piacere,
per il tuo piacere silenzioso e fresco.
Un petalo di me lancialo verso il Nord,
dove sorgono le città di oggi il cui rumore ho amato come un corpo.
Un altro petalo di me lancialo verso il Sud
dove sono i mari e le avventure che si sognano.
Un altro petalo verso Occidente,
dove brucia incandescente tutto ciò che forse è il futuro,
e ci sono rumori di grandi macchine e grandi deserti rocciosi
dove le anime inselvatichiscono e la morale non arriva.
E l’altro, gli altri, tutti gli altri petali
– oh occulto rintocco di campane a martello nella mia anima! –
affidali all’Oriente,
l’Oriente da cui viene tutto, il giorno e la fede,
l’Oriente pomposo e fanatico e caldo,
l’Oriente eccessivo che io non vedrò mai,
l’Oriente buddhista, bramanico, scintoista,
l’Oriente che è tutto quanto noi non abbiamo,
tutto quanto noi non siamo,
l’Oriente dove – chissà – forse ancor oggi vive Cristo,
dove forse Dio esiste corporalmente imperando su tutto…
Vieni sopra i mari,
sopra i mari maggiori,
sopra il mare dagli orizzonti incerti,
vieni e passa la mano sul suo dorso ferino,
e calmalo misteriosamente,
o domatrice ipnotica delle cose brulicanti!
Vieni, premurosa,
vieni, materna,
in punta di piedi, infermiera antichissima che ti sedesti
al capezzale degli dei delle fedi ormai perdute,
e che vedesti nascere Geova e Giove,
e sorridesti perché per te tutto è falso, salvo la tenebra e il silenzio,
e il grande Spazio Misterioso al di la di essi… Vieni, Notte silenziosa ed estatica,
avvolgi nel tuo mantello leggero
il mio cuore… Serenamente, come una brezza nella sera lenta,
tranquillamente, come un gesto materno che rassicura,
con le stelle che brillano (o Travestita dell’Oltre!),
polvere di oro sui tuoi capelli neri,
e la luna calante, maschera misteriosa sul tuo volto.
Tutti i suoni suonano in un altro modo quando tu giungi
Quando tu entri ogni voce si abbassa
Nessuno ti vede entrare
Nessuno si accorge di quando sei entrata,
se non all’improvviso, nel vedere che tutto si raccoglie,
che tutto perde i contorni e i colori,
e che nel cielo alto, ancora chiaramente azzurro e bianco all’orizzonte,
già falce nitida, o circolo giallastro, o mero diffuso biancore, la luna comincia il suo giorno.

Fernando Pessoa

 

immagini dal web
 

Hic sumus felices – Le magiche Lune di Pompei

Da maggio a ottobre  del 2010 e 2011  il Parco Archeologico degli Scavi di  Pompei ospitò l’edizione di “ Le  Lune di Pompei”, consistente in  visite notturne del sito archeologico. Per la terza edizione del Carnevale della Letteratura  ricordo quelle notti del 2010 e 2011 che per me sono state tra le  più magiche e suggestive finora vissute.

domus pompei

 

Nel chiarore magico e  misterioso delle Lune Eterne ( la Luna di Morte, la Luna della Speranza, la Luna Virtuale, la Luna della Vita, la Luna che non c’è, la Luna che si Diverte) l’antica città sepolta  racconta i misteri non svelati, che mai hanno abbandonato Pompei .

necropoli lune di pompei

Il percorso parte dalla necropoli di Porta Nocera,  prosegue nell’Orto dei Fuggiaschi, continua verso la Casa del Giardino d’Ercole, in via dell’Abbondanza, soffermandosi nella casa del profumiere, di Octavius Quartius,erroneamente  chiamata in un primo tempo domus di Loreius Tiburtinus, di Venere in Conchiglia e infine si conclude con suggestivi ed onirici giochi di luce nell’Anfiteatro. La voce dell’attore Luca Ward e alcune proiezioni guidano il pubblico in una suggestiva ed eterna realtà parallela per fare vivere e rivivere  Pompei.

L’eruzione del Vesuvio, per l’esattezza  del monte Somma,  nel 79 d. C. fermò la vita di orti dei fuggitivi pompeiPompei sotto una coltre di cenere e lapilli spessa 6-7 metri. La maggior parte degli  abitanti, fuggiti dalle case, trovarono la morte  sul litorale. I pochi rimasti, sperando di salvarsi nei sotterranei  delle abitazioni, morirono asfissiati. Toccanti testimonianze della tragedia sono  i calchi dei Fuggiaschi, ricostruiti  dall’archeologo Giuseppe Fiorelli nel 1863  versando gesso liquido nelle cavità lasciate dai corpi nello strato di cenere.

Camminare per le vie di uno dei siti archeologici più suggestivi  e famosi del mondo, è sempre emozionante. È come viaggiare a ritroso nel tempo. Passeggiare di notte  in una Pompei  illuminata da splendenti Lune piene, seguendo un itinerario tracciato da fiammelle, è un’esperienza unica ed affascinante.

via dell'abbondanza pompeiPassare in punta di piedi sulla strada , esterna alla cinta  della città e conducente  a Nocera, fiancheggiata da numerosi sepolcri monumentali dà l’impressione di violare e consacrare allo stesso tempo la profonda  intimità della morte in una città apparentemente muta e  deserta. Qui si coglie la ciclicità di vita e morte, ove la morte non è frattura o interruzione ma è una delle incombenze dell’uomo, un continuum  della vita e la vita è commistione di otia e negotia , di sacro e profano confluenti nel mito. “Si tenevano in casa le ceneri o le immagini dei propri avi; li si salutava entrando, i vivi restavano in contatto con loro; all’entrata della città, le loro tombe allineate ai due lati della strada,  somigliavano a una prima città, quella dei fondatori”(H.Taine – “Viaggio in Italia”)

Qui però stranamente si continua a respirare la vita quotidiana dell’antichità nelle abitazioni e nelle botteghe, il fermento dei luoghi pubblici, la devozione per gli dei e la pietas per i defunti, il gusto raffinato per l’arte e i piaceri della vita, il valore del talento, dell’ingegno e dell’operosità.

Le Lune di Pompei splendono in alto riversando un’aura di bianca quiete su luoghi che raccontano a tutti per essere ascoltati da alcuni.

 

Gli orti, arricchiti di filari  e di ulivi dalla chiome argentate, nel 1961 restituirono alla storiacalchi vittime pompei 2  tredici vittime dell’eruzione, asfissiate dal gas e dalle ceneri durante la fuga. Nei cosiddetti Orti dei Fuggiaschi il destino di Pompei parla a chiunque. La pietas erompe alla vista di  sagome contorte e sofferenti. L’immaginazione assume una dimensione tristemente più concreta, ma proprio quei calchi fanno rivivere la città. I vuoti dei corpi si riempiono di  tutta la vita narrata sui muri e sui basoli sconnessi, nelle domus, tabernae, terme, teatri e foro dando una dimensione umana ad una civiltà grandiosa.

 

tabernaeOgni  muro, colonna, cubiculum, peristilio, cespuglio di rosmarino, giardino interno  respira ancora e l’immaginazione restituisce gli affreschi, i mosaici, le suppellettili e le statue che arricchivano gli spazi, ora deserti, dove ti senti un intruso in uno scenario fuori dal tempo e percepisci  un invadente senso di solitudine che ti riempie di riverente stupore ed ammirazione  per un  qualcosa di irraggiungibile e grande.

 Come il bello che traspare dalla domus più raffinate. E ti pare di sentire le fragranze della casa del profumiere, di vedere scorrere l’acqua nella lunga vasca di marmo ombreggiata da una pergola nella casa di Octavius Quartius. Ti pare di vedere brillare al sole i personaggi mitici e leggendari  di altri tempi e civiltà.

venere in conchiglia pompei

E ti chiedi chi possa avere calpestato quella strada, chi si sia fermato sull’uscio di quella locanda, chi sia l’autore di questi graffiti che,in questi casi, non informavano nè provocavano ma comunicavano per davvero un modus vivendi.

hic sumus felices graffiti pompei

“ HIC SUMUS FELICES” cioè “QUI  SIAMO FELICI”.

Una solenne proclamazione  di gioia e vitalità collettiva che associo a tutte le genti che vivevano Pompei. Uno squillo per i secoli a venire , una speranza di buon augurio per noi,  provenienti dal futuro, incapaci soltanto di definire la felicità se non per difetto e tanto meno di scrivere una cosa del genere sui muri di una qualsiasi città. “Qui siamo felici.” E sarà una delle magiche  lune di Pompei  o il fascino acuito dalle ombre di una dolce notte d’estate, sarà il mistero di queste strade percorse da chissà chi  e di questi muri  che raccontano più di mille parole, ma in questa scritta graffiata c’è tutta la vita, la forza  prorompente e la grandezza di una civiltà. Qui siamo felici. E non provo invidia ma commozione e un senso di compiaciuta appartenenza a un patrimonio universale, a una sorta di  Eden nascosto, carpito attraverso le fonti storiche. 

Pompei, maledetta dalla natura e benedetta dagli dei, suggestiona chiunque nei suoi chiaroscuri, nell’eco remota che risuona dentro, nella sua  immensità costellata da vibranti fiammelle che segnano il percorso, quasi a ricordo del percorso esistenziale dell’umanità.“Qui siamo felici” è l’epitaffio più bello in memoria di una città che ha ancora tanto da dire indistintamente a tutti.

 Scontenti e perennemente incontentabili, riusciremo mai ad annunciare ai posteri “Qui siamo felici” non per effetto di una momentanea scarica di adrenalina o senza cedere ad una qualsiasi forma di finzione?

 casa del profumiere 1casa profumiere pompeinecropoli porta nocera pompeigraffiti pompei 2graffiti pompei 3affreschi pompei

Non avevo mai visto occhi così verdi

Un racconto per la terza edizione del Carnevale della Letteratura che  si snoda tra le tante notti e le vicissitudini di Cecilia, Tommaso e il Gatto. 

Caro lettore accingiti a seguirmi  e a percorrere con calma lunghe strade  di polvere e  germogli  tracciate nella memoria dei cuori e delle menti di chi narra storie e leggende, ora nascoste  dalle  tenebre della superstizione  e della vendetta, ora illuminate dalla  dolcezza dell’amore  e dalla magia della natura.

bambina con gatto

 

Il tutto inizia in una notte più buia e cupa del solito, in cui  la luna è tenuta in ostaggio da nubi minacciose e pare  avvolta in nere gramaglie. Anche l’aria è ferma, calda e immobile fa presagire l’arrivo di un qualcosa che allerta i sensi.  Nella misera casetta il cui stato di abbandono conferisce un’aria di decadenza e  lascia immaginare uno stato migliore in altri tempi, la fiamma del camino brilla lasciando trapelare all’esterno un’intimità raccolta e intinta nei  colori della brace. L’anziana Maria  è impegnata a selezionare erbe, fiori e verdure sul tavolo della cucina, e di tanto in tanto se ne allontana per mescolare attentamente nel paiolo  con un cucchiaio di legno.

“Svegliati, presto”. Cecilia  dorme  già un sonno profondo in cui esplora  i  sogni con un dolce sorriso. La carnagione levigata, anche se sporca, e i capelli arruffati non la privano della delicatezza dei lineamenti, regalando  allo sguardo  un’aria innocente  mista  a una bellezza un po’ selvatica.

“Cecilia svegliati, fai presto” le grido nella mente miagolando quel tanto che basta a farmi sentire . La bimba si tocca la guancia per la sensazione di qualcosa di leggermente ruvido e poi di vellutato sulla fronte. Apre gli occhi e si scioglie in un sorriso. “Gatto sei tu!” e mi abbraccia  con il solito trasporto. “Presto, andiamo…”

 Io sono Gatto, non ho un nome particolare e sono già fortunato ad essere chiamato Gatto da Cecilia e da  quei pochi che mi sopportano. Non so che mi ha preso questa notte, ma ho sentito  di dovere andare dalla mia beniamina che  mi ha salvato da morte certa;  forse mi meritavo il nome di Mosè salvato dalle acque, ma credo che di questi tempi non si possa troppo scherzare su sacro e profano. Anche se il più delle volte il profano è spacciato per  sacro e alla fine gli umani ascoltano ciò che vogliono  ascoltare e credono in ciò che trovano più rispondente alle  loro intime  paure e convinzioni.

 

gatto nero

Spicco  un salto verso la finestra socchiusa  e svicolo fuori,  seguito dalla mia compagna di  furtive scorribande nel grande prato. Mi lascio  accarezzare e poi inizio  a correre verso il ponte e Cecilia, credendo che sia un nuovo gioco, mi insegue   ridendo e guardando bene a non inciampare nell’erba bagnata dalla notte. L’umidità dell’aria le scivola sulla pelle con perle di sudore sulla fronte, una strana quiete  nell’aria  preannuncia un temporale estivo. Si ferma al ruscello sotto il ponte  per lasciare decantare l’affanno.  La luna continua a stare nascosta e i miei  occhi fosforescenti la guidano nel buio e le fanno compagnia. La notte pare svegliarsi di colpo: un’aria fresca  inizia a danzare tra le  spighe di avena  e i papaveri. Le stelle brillano in lontananza nella  cupola velata di seta nera e la signora dei cieli  inizia senza pudore a denudarsi dei neri drappi  per rischiarare e vegliare dall’alto la collina. Cecilia ha un fremito, un brivido di freddo. Di notte accadono cose che a volte si fatica a comprendere. Si sentono. Accadono cose che Cecilia non può capire, ma ha solo un brutto presagio.

D’un tratto sentiamo  voci sommesse di uomini. Passano sul ponte  con un carro tre incappucciati, silenziosi  come le ombre che lentamente li precedono. Sentiamo poi un grosso colpo, un grido di donna e un gran fracasso di stoviglie rotte e di legni spezzati .Vigile drizzo le orecchie e spalanco gli occhi,  la piccola si appiattisce sotto un’arcata del ponte. I tre briganti escono in gran fretta dalla casa di Cecilia con un fagotto sulle spalle che viene  spinto in malo modo sul carro e se ne vanno in silenzio così come sono venuti, avvolti da ampi  mantelli colore del buio.

La bambina   è  tutta bagnata, questa volta non di sudore, ma di paura. Si sciacqua le gambette nel rio, prende in mano gli zoccoli e si accovaccia tremante. La conforto facendo le fusa  e ci allontaniamo di nascosto, ancora in preda allo spavento . Lei mi stringe a sé, affonda il suo viso nella mia morbida pelliccia nera e  ci addormentiamo abbracciati in una piccola grotta al confine con il bosco. 

“Tu sei figlia dell’acqua e del vento” diceva la nonna quando  Cecilia chiedeva dei suoi genitori. Sua madre era un a giovane vedova, così pare, di un uomo partito per una guerra non sua e mai più tornato. Dalla bellezza materna  Cecilia aveva ereditato i grandi occhi verdi e i capelli ramati. In quegli occhi più di un uomo, scapolo o ammogliato, si era perso e se lei era additata come una svergognata lavandaia , tuttavia era tollerata perché viveva ai margini del borgo oltre che della comunità. Ogni tanto la si vedeva uscire dal bosco con un sorriso e una baldanza che le facevano godere della vita. Si sa che il paese è piccolo e pieno di devozione. Non riuscireste a immaginare  quanta ne ispirassero la gelosia e l’invidia non solo di  donne e di ragazze da marito, ma anche di vecchi  ormai esclusi per vigore  tra i pretendenti alla sua freschezza. Le chiacchiere infestano come la mala erba, ma sono  più che convinto che un uomo l’abbia amata davvero e continui ad amarla. Ci sono segreti  nei cuori degli uomini sepolti  con cura  dalla rassegnazione, dagli obblighi  familiari e dalle apparenze. E credo che Anna , depredata troppo presto delle gioie coniugali da un  destino ingrato, avesse deciso di non privarsi dei piaceri della vita, di quelle pause spensierate che le consentivano di andare avanti tra rinunce e sogni infranti.

“La provvidenza vede e provvede.”  Così tuonò il prevosto, quando finalmente cessò quella fastidiosa presenza, sigillando le chiacchiere del paese con  una tacita pietas. In un’afosa  notte di  agosto, di quelle abbaglianti di stelle che avvicinano la cupola celeste ai sogni di tanti  e   lasciano ben intravedere le costellazioni  e le vie del cielo ai poeti, ai  naviganti e agli  amanti, in una notte che protegge e avvolge  con  la  complice tenerezza di una madre affettuosa che gioca con il figlio,  il destino volle portare  con sé  l’ultimo respiro di Anna e regalare al mondo   il primo respiro di Cecilia.

 Tra persiane e porte socchiuse ogni comunità racchiude da generazioni segreti, fondati o  abilmente partoriti dai malpensanti,  e la piccola Cecilia veniva semplicemente tollerata come figlia di un peccato, di certo  non suo, provato dagli inconfondibili occhi di foglia. Del padre non si vociferava nulla, perché da sempre  all’uomo era consentito soddisfare le voglie in una generale ipocrisia ora avallata con nonchalance, ora sfacciatamente  ostentata.

Io giro spesso solitario tra i vicoli del borgo, di soppiatto cerco qualcosa da mangiare e sto allerta per timore che mi lancino pietre e insulti. Sono troppo nero e incuto paura , a volte suscito grida e fughe, come una creatura malefica. Solo Cecilia non mi ha mai temuto , anzi  mi ha accolto nella sua ingenuità infantile. Strano a  dirsi ma non comprende  né avverte la solitudine, forse perché non ha la percezione della vita in comune avendo sempre vissuto fuori dal paese, conscia di una sola dimensione fatta di spontaneità e istinto e ritmata dal sole e dalla luna, dai colori e dalla ciclicità delle stagioni e della natura. Io appartengo al mondo di Cecilia popolato da insetti, lepri, rane, volpi, uccelli notturni e diurni, animali domestici e selvatici. Ecco forse lei  appartiene a questi ultimi in quanto leggermente addomesticata dalle parole, ma di sicuro  non dalle regole dell’ umana convivenza.

 Questa mattina andando di buon’ora a pescare nel ruscello, all’altezza del ponte,  sono passato davanti alla casa di Cecilia. Ho con me  una pagnotta e un po’ di latte fresco che spesso mio padre Pietro  mi fa consegnare a Maria, per pietà di quella vecchia che cresce  la piccola come può. Mi aspetto di vederla  accovacciata tra i cespugli di lavanda e rosmarino a giocare con i sassolini o venirmi  incontro, privilegiandomi della sua attenzione. C’è un muro di dubbi e sospetti  su quella casa  ma io,  che di san Tommaso porto il nome, non credo se non vedo , scrollo le spalle, non capisco  né voglio capire le incomprensibili questioni degli adulti.  Mentre accelero il passo, noto la porta sfondata. Non sento  i soliti  rumori  del risveglio di ogni casa. Ho un buon intuito e d’istinto torno indietro  da mio padre che  lascia tutto e si precipita  con  il vicino di casa Elio e Oreste, suo figlio. Arrivati di corsa, tutti insieme  con  sguardi indagatori e  preoccupati contempliamo attoniti   la violazione della casa, sempre più manifesta man mano che ci addentriamo. Oreste corre  verso il borgo a dare l’allarme e i due uomini si dirigono verso il  bosco con la speranza di trovare qualche indizio, se non addirittura le malcapitate. Mio padre è triste e preoccupato, mi sembra di colpo molto vecchio.  Li seguo con lo sguardo e mi fermo stanco nel grande prato guardando dall’alto il ponte e la casa di Donna Lucrezia con tutte le persiane e le finestre spalancate. Sulla terrazza scorgo controluce una sagoma che mi fa cenno di avvicinarmi e scendo verso la villa. Angelina mi apre il portone  e mi conduce dalla signora Lucrezia, una stimata nobildonna  di città, molto colta e ricca, arrivata non si sa se per scelta o per confino, la quale  conduce una vita riservata ma, chissà come, riesce a sapere sempre tutto della vita del borgo. Con timore quasi riverenziale misto a timidezza mi presento al suo cospetto tenendo gli occhi bassi . Lei mi incarica di cercarla nei pressi del bosco perché, a suo dire,  alle prime luci dell’alba ha intravisto Cecilia che camminava nel prato con il suo inseparabile Gatto nero.

Mi nascondo ai piedi del ponte da cui posso osservare il prato che confina con il bosco, la casa di Cecilia e di Donna Lucrezia. In cuor mio spero di trovare la mia amica anche se non capisco cosa possa essere successo alla nonna. Girano voci su  briganti che a volte di notte rapiscono le donne come è  già successo altrove, in base a  notizie giunte tramite donna Lucrezia che ha amici influenti e bene informati in città. Di queste donne,  giovani e anziane, nessuna è più tornata . Una subdola ansia mi prende con il timore che sia successo qualcosa di grave a Cecilia. D’un tratto vedo  mio padre uscire dalla selva con un’aria sconsolata e afflitta, mi pare  che pianga. Non è da lui  che è sempre poco incline a manifestare  i propri sentimenti con atteggiamenti di distacco, pacati, saggi e meditati .

Quando la noia e la stanchezza stanno avendo il sopravvento e il cielo si tinge  delle sfumature violacee del crepuscolo,  inizio a ingannare il tempo cercando  rane finché sento un fruscio in un cespuglio poco distante. Con calma prendo un sasso in attesa che compaia una biscia o chissà che altro, ma d’un tratto mi appare  il baldanzoso Gatto nero. Dopo qualche istante vedo brillare gli  occhi verdi di Cecilia che, spalancati di paura più che di sorpresa, tradiscono la  diffidenza che i bambini hanno verso gli sconosciuti. Bagna   i piedini con circospezione,  mi sembra  ancor più piccola dei suoi cinque anni nella tunichetta  sporca e un po’ corta, non ha più l’aria sfrontata o  incurante di sempre. Ho quasi paura di chiamarla e che scappi via, la guardo  quasi commosso cogliendo  in quegli occhi i pensieri  di una bambina più grande. Non ho mai visto occhi così verdi, e resto  immobile tra lo stupore e il timore di spaventarla. “Cecilia”, riesco  a dirle quasi sottovoce, scandendo dolcemente le sillabe, e la bimba mi sorride.

 

 “Madonna santa”, esclama Angelina quando apre il portone. “Anima innocente, chi ti ha ridotto così?” e subito ci lascia entrare accompagnandoci nella grande cucina. In fretta si premura di sfamarci  con pane fresco, latte e miele. Sulla porta compare Donna Lucrezia alla quale non sfugge nulla e questa volta deve  fare sentire ancor più e di persona  la sua presenza. “Sei la nipote di Maria, vero?” La bimba assente con la testolina  ingrovigliata  di erba secca e terra. La signora si sdebita con me, come promesso, e dà disposizioni ad Angelina per ripulire e rifocillare la bimba annunciando  che da quel dì vivrà in quella casa con loro. La fidata  serva  è ben felice di accogliere la  creaturella, finalmente avrà un aiuto e una compagnia. Così Cecilia trova   un tetto-  e che tetto!-,  tante premure e tra lenzuola  fresche e profumate il sonno ristoratore  la ritempra  dagli stenti patiti fino ad ora così che un bel giorno si scopre allo specchio  come non avrebbe mai immaginato. 

il gatto e la lunaMi manca Cecilia, mi  mancano le scorribande notturne nel grande prato tra lucciole e grilli d’estate, e i nebbiosi sbuffi dell’ alito d’inverno. Spesso mi ritrovo solo sul ponte, costretto a vagare indomito padrone  della notte e perlopiù, esule senza patria, a dormire nascosto di giorno. Durante una notte placida ma  fredda, me ne sto sul ponte a  guardare i  colori caldi dell’autunno, quando mi sento osservato, mi volto di scatto già pronto a difendermi da eventuali attacchi ma mi  incanto dinanzi a una  gatta, nera come me, dolcemente  elegante e sinuosa  nei movimenti. Nerina, nel mio semplice immaginario di gatto, si chiama Nerina. Stiamo per un po’ sul muretto del ponte a studiarci reciprocamente finché  ci inseguiamo nel prato, mi cimento in prodezze acrobatiche e fusa pur di  conquistarla, ma all’improvviso non la trovo più.

 

L’ho trovata finalmente, se no che Gatto sarei. Ho ritrovato  Cecilia che  è in carne, serena, davvero bella, non l’avrei riconosciuta  se non per quegli occhi ipnotici che ti leggono dentro e poi vispi vagano intorno, spinti dal  pensiero veloce  e dall’innata  curiosità.  

Angelina è una brava donna, generosa e affettuosa:  di sera mi lascia entrare in cucina servendomi un po’ degli  avanzi  e finge di non sapere che la bambina  apre la finestra  per farmi  dormire ai piedi del suo letto nelle fredde notti invernali. La solitudine  accomuna e Angelina sa bene quanto  sia prezioso amare e sentirsi amati , anche se da un gatto. Intanto  il mondo di Cecilia si popola di nuove abitudini, consuetudini, precetti di vita civile e religiosa, nella conquista di un sempre più esteso consenso sociale grazie anche alla  protezione di Donna Lucrezia. Le origini della bimba sono appena bisbigliate dalle donne di una certa età alle figlie e alle nipoti nubili , poco ambite dai giovani del paese, ai cui occhi Cecilia   risulta essere una potenziale rivale troppo aggraziata.

 Gli anni passano e non ho più tempo per giocare con la mia amica. L’affetto  di compagni d’infanzia si sta sciogliendo  nell’attrazione dei sensi e mio padre cerca di impegnarmi  tutto il giorno, secondo me, per timore che la  frequenti troppo . Ogni tanto sbrigo piccole commissioni per Angelina e Donna Lucrezia  e la scorgo in cucina impegnata ad aiutare in faccende domestiche, o mentre  si esercita a leggere con la signora  e a ricamare. Vorrei invitarla a ballare al Calendimaggio, alla festa della primavera e della fertilità intorno all’albero fiorito, per  celebrare l’arrivo della bella stagione. Sono sicuro che Cecilia sarà prescelta come reginetta della festa.

 

Le notti si susseguono tra trine di  nubi  e stelle di diamanti e la vita pulsa sempre più forte nella  natura, anche in quella umana. Sto invecchiando e non ho più l’agilità di una volta. Devo essere prudente, poco tempo fa quell’Oreste mi ha colpito con un grosso sasso e mi ha azzoppato, sono scappato nei vicoli del borgo ma il dolore era insopportabile e, quando credevo di non avere via di scampo, ho incontrato Nerina che mi ha condotto in salvo in una cantina. Quell’Oreste non mi piace. È  inquieto in un corpo troppo forte, è diventato un ragazzone spavaldo e prepotente con i ragazzi, smargiasso con le ragazze che seduce nel  bosco.  Ho l’impressione che abbia messo  gli occhi su Cecilia perché si aggira sempre nei paraggi della villa. Non devo farmi scorgere, se no sono guai.

 Il gran giorno è arrivato,  la natura inizia a  rinascere e con lei la speranza di un buon raccolto. Le ragazze hanno colto fiori di campo e intrecciato ghirlande, si sono  di bianco vestite per festeggiare  con canti e danze l’arrivo della primavera. Anch’io sono  lì e ballo volentieri, sotto lo sguardo fiero dei miei  e della mia dama di turno. Oggi pare che regni l’armonia, c’è voglia di gioire, di vivere la giovinezza  e il presente  senza rivalità e  rancori.  Angelina contempla compiaciuta la sua Cecilia, proprio lei, che madre  non è mai stata, ha ricevuto una figlia più bella del sole. La danza scioglie ogni inibizione nei sorrisi e nelle movenze, la fanciulla rincorre la sua musica interiore e con disinvoltura riesce a cimentarsi in quella sua prima occasione di vita, in quel rito di iniziazione all’adolescenza.

Le voglie di amorosi sensi pungono in corpo, soprattutto ad Oreste che si è dichiarato senza successo a Cecilia. Il diniego amoroso a volte può ferire  più di un’offesa  verbale e Oreste non è il tipo che dimentica e perdona facilmente, anche perché deriso dagli altri ragazzi in quanto  la più giovane e  bella ha osato ridimensionarlo. In buona fede però, perché i primi approcci e le  schermaglie  amorose  non sono note a Cecilia, ancora infantile nella sua timidezza e inconsapevole di suscitare le attenzioni dei maschietti ruspanti.

 

Un’altra notte, silenziosa e calma, tanta quiete stranamente mi innervosisce. Ho  già gatto-e-lunasentito una notte del genere, quest’umidità mi appiattisce il pelo. C’è uno strano silenzio, i grilli e le rane tacciono. Eccoli  di nuovo,  gli  incappucciati, ma che fanno? Aprono la finestra e afferrano Cecilia e la portano via su un carro avvolta in un sacco,proprio come la nonna. Il giorno dopo  le grida di Angelina risvegliano  il borgo e le coscienze  in tristi ricordi che si volevano dimenticare, mentre  la signora Lucrezia  ha mandato  a chiamare d’urgenza Tommaso per  consegnare una lettera in città. Ovunque, in ogni casa, bottega, piazza non si fa altro che parlare del rapimento di Cecilia. La gente ha paura, si è ripetuto un dramma  già vissuto, questa volta si teme che i briganti approfittino della ragazza. Si insinuano dubbi e sospetti, le maldicenze riemergono  e volano velocissime  di bocca in bocca offuscando i  giorni sereni appena trascorsi.

 Donna   Lucrezia e Angelina partono , in fretta e furia portano  quanto più possono in grandi bauli. Troppi bagagli fanno presagire  che faranno un lungo viaggio o che comunque non ritorneranno presto o mai più nella bella villa sul ponte. C’è chi dice che la signora raggiungerà  suoi lontani parenti in Francia o    un suo potente amante con la speranza di  trovare la sua figlioccia, mentre la buona  Angelina si ritirerà  in un convento per trovare conforto nella fede per  un dolore così devastante. Povera Angelina! Non sa che proprio quella fede ottenebra il ben dell’intelletto in un delirio collettivo che si accanisce cercando un capro espiatorio per ogni carestia, epidemia, moria di animali, morte di parto, scontento, tempesta , irregolare soffio di vento o marea e un tribunale di ecclesiastici, detto santo ma  che di santo non ha proprio nulla , senza alcuna compassione, né umanità e tanto meno obiettività indaga, inquisisce,  individua una vittima da sacrificare sull’altare dei secoli bui.

  Io lavoro, lavoro tanto e, quando i  cattivi pensieri mi sbattono ossessivamente nella testa, bevo, bevo troppo fino a stordirmi. Vorrei annegare  nella bottiglia per non immaginarla più, vorrei annegarci per colmare questo vuoto. Che darei per averla ancora qui, rinuncerei anche a vederla pur di saperla sana e salva . La rivedo ancora ,  bocciolo non ancora sbocciato, durante la festa del Calendimaggio. L’altra notte, mentre  una luna piena  inargentava ogni spiga  e ogni foglia  e si specchiava in ogni goccia d’acqua, ho visto uno stormo di uccelli con volti umani  diretti verso il bosco. Ero brillo, confuso, ho intravisto  la signora Lucrezia, Anna, Maria  e altre donne, giovani e vecchie, bellissime  e orrende…avevo caldo, mi sentivo in preda ai fumi dell’alcol  e al rimorso di non aver protetto abbastanza Cecilia.  Che scherzi fa il vino!

Ad un tratto tutta l’acqua è ribollita, come se dal fondo delle viscere della terra  ci fosse stata un’esplosione che facesse sobbalzare e gorgogliare ogni polla e corso d’acqua e un forte vento ha scatenato le chiome in un vortice sempre più vasto e furioso di  foglie,  di fiori,  di frutti, di polvere, pietre, rami  ed erbe  che come in un’ invisibile cornucopia si sono levati verso il cielo e l’ho vista, l’ho vista , era lei  che dava le mani al Gatto e rideva  danzando un girotondo con Gatto in un turbinio di scintille luminose e fiamme. Credo poi di essermi addormentato.

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E’ stata una notte tremenda, infernale. Strani prodigi stanno accadendo, la gente ha paura e non si sente sicura nemmeno in casa propria. Durante quella tromba d’aria che ha sollevato tegole e scoperchiato tetti, sradicato alberi  e  terrorizzato gli animali nelle stalle e nel bosco, sconvolto gli uomini  e  fatto piangere le donne e i bambini ,  d’un tratto si è sentito l’Oreste che urlava .È uscito sull’uscio di casa, con la faccia sfregiata da graffi  e la camicia insanguinata. Si dice  che due gatti neri  siano passati  rasenti al muro di casa sua, uno dietro l’altro,  e il più grosso  è stato trovato morto poco distante con il cranio sfondato. Il tetto del campanile si è sgretolato ed è precipitato giù sul sagrato della chiesa. Il campanile si erge ora solitario, incredulo quanto noi di questa furia che si è scatenata all’improvviso.

Le voci corrono, soprattutto queste. Mio padre sta perdendo la ragione, in preda a sensi di colpa per un’ignavia che probabilmente non riesce a perdonarsi. Cecilia , sorella che non ho mai potuto abbracciare come tale,  sei durata poco come tutte le cose troppo delicate e preziose. Sono andato in città per avere conferma di quanto ho capito e sentito, e sono solo riuscito a  scorgere i tuoi piedi bluastri e allungati che uscivano da un carro tra sacchi insanguinati  mentre ti portavano via. Non ho osato soffermarmi, voglio ricordarti come eri. Non meritavi tutto questo, sei nata sola e te ne sei andata ancora più sola, affidando al vento e all’acqua il tuo strazio.

 

“Vieni Notte, madre amabile che mi hai  finora protetta dal male degli uomini. Accoglimi pietosa, regala i tuoi respiri a me che hanno tolto l’aria.  Mi hanno invidiato come ragazza quando a stento ho vissuto da bambina, mi hanno  desiderato  come femmina quando non ero ancora una donna, mi hanno reso sterile prima ancora che divenissi fertile. Raccogli  i miei sogni e i miei sospiri, cullami, nascondimi più in alto che puoi nell’oscurità e poi nelle vie del cielo. Indicami la strada, dea del silenzio e della compassione, strappami da questa sofferenza  che  dilania  le membra  e l’anima. Non ho più parole, né lacrime, né forze, né battiti per questo mondo. Notte, saggia e incorruttibile, salvami ora e per sempre dalla follia dell’uomo , dalla cecità  della superstizione e dall’ottusità della fede. Scendi Notte pudica , lascia riecheggiare la calma del silenzio anche dentro di me, cala un velo su quel che sono ora e avrei voluto diventare, frutto di un peccato che non mi appartiene come i demoni  che scalpitano nelle loro menti malate , perverse e malvagie. Portami via, sventrata di ogni dignità e vitalità, Signora del cielo diffondi ovunque quel  mio istinto  a comprendere le voci della natura, mai compreso, che  seduce , conquista, affascina  quando la natura è benevola,  ma provoca terrore e vendetta   quando è  maligna.”

 

Non so se si possa impazzire di dolore. La violenza su Cecilia, additata come  strega bambina, mi ha sconvolto. Sono partito, il mare ridimensiona ogni cosa  e cambia  prospettiva,  nell’infinito del  cielo notturno che sconfina nel  buio silenzioso e fermo dell’oceano ho ritrovato un po’ me stesso e sto imparando a cicatrizzare le mie ferite.  In fondo le  persone della nostra vita sono un po’ come le stelle.
Tutte comunque lasciano una scia indelebile dentro, lasciano una traccia che nulla potrà oscurare e spegnere: una luce fatta di polvere di stelle, che scalda, rischiara, anima e dà un senso al nostro passaggio nell’universo, al nostro sentirci sospesi tra due infiniti. A volte siamo come un orizzonte, linea di demarcazione irraggiungibile e indefinibile eppure esistente, protratti verso un infinito che va oltre ogni confine e ogni tempo. Cecilia continua a brillare, ovunque tu sia.

Durante l’ultima  tempesta  le onde hanno invaso  il ponte , spezzato le sartie,  abbattuto  l’albero  maestro. La natura fa il suo corso, divinità indomabile e imprevedibile ha il vero potere di vita e di morte. I marinai dicono di avere  visto un gatto nero nella stiva e poco dopo il vento si è placato e con lui i marosi. Io credo invece che la paura suggestioni un po’ tutti e che fosse uno dei soliti  topi che sale  a bordo nei porti. La paura però innesca il coraggio di vivere, è tempo di non sfuggire a me stesso e alla mia memoria, è tempo di  tornare alla mia terra, alla vita dei campi, a casa.

 Quante donne, tutte  qui a dispensare rassicuranti litanie, a preparare acqua calda e pezze sterili e calde. Una processione di donne devote e io sono qui che aspetto. Non sopporto più le sue grida. Notte, che accogli le confidenze di chi ama e di chi soffre, assisti e proteggi mia  moglie …

 Mi sento impotente di fronte ai suoi lamenti e guardo fuori dalla finestra. Una notte come la magiatante, quante ne ho scrutate per diventare uomo. Mentre osservo la mia ombra  che si allunga sul muro di fronte casa, ho la leggera percezione di un’ altra ombra  che corre furtiva , forse di un ratto. Alzando lo sguardo  li capto, sono due grandi occhi verdi brillanti nel buio. Un gatto nero, snello ed elegante è lì seduto di fronte a me, sul muro, mimetizzato nelle tenebre. Pare mi fissi e penso a Gatto, ma è più piccolo, come lui però è maestosamente regale e misterioso. Ci fissiamo immobili, non sento più le voci, gli strilli, l’ansia dell’attesa. Penso all’istante in cui da bambino colsi  l’intensità di  quegli occhi così verdi che non avevo mai visto prima.

Mi toccano la spalla, mi volto. Mia madre mi porge mia figlia. È nata, finalmente! Guardo per un attimo il cielo che forse  mi ha ascoltato, o semplicemente era destino che andasse così.

 Sorrido alla mia donna, osservo con attenzione la mia bambina, nata in una notte di inquieta attesa, frutto del desiderio e dell’istinto alla vita e le sussurro “Benvenuta tra noi, piccola Cecilia”.

 

immagini dal web

L’anima è piena di stelle cadenti (Victor Hugo)

stelle-cadenti-notte-San-Lorenzo

 

Un piccolo omaggio alla notte più magica dell’anno  nella terza edizione del Carnevale della Letteratura.

 Nella notte di San Lorenzo tra il 10 e l’11 agosto, e anche in quelle successive, sono particolarmente visibili le stelle cadenti dei desideri, note anche come lacrime di San Lorenzo che, donate dal santo al cielo durante il supplizio, ogni anno ricadono sulla Terra.

 E’ una notte magica in cui  provo a  scrutare nella morbida oscurità  in attesa di una scia luminosa che ricami il cielo. Di solito per  pochi secondi  il mio  sguardo accompagna la stellina in caduta libera e un senso di infantile stupore mi incanta. Quando mi ricordo di esprimere il desiderio, la lucina argentata è già sparita. Provo ugualmente  a formularlo, ma in fin dei conti mi basta averla salutata nel suo fugace passaggio.

Quest’anno no. È un anno diverso. Non sarà nemmeno necessario fissare il cielo. Sento che la mia stella è lì che aspetta. Si mostrerà cogliendomi di sorpresa.  Per qualche attimo ci incontreremo; lei danzerà al ritmo delle note che riecheggiano dentro di me. Ha già ascoltato altre volte il mio desiderio, ben nascosto nella notte della  mente e del cuore. Non sarà necessario ricordarglielo.

Ci scambieremo intimamente due faville: una scintilla dei miei occhi perché  possa brillare più a lungo e darmi il tempo di raccogliere una sua impalpabile stilla di speranza.

 

Carnevale della letteratura #3 – Prima chiamata

E voilà, amici e lettori,  vi annuncio  che è on line la seconda edizione del Carnevale della Letteratura  ospitata da Il Coniglio Mannarodi Spartaco Mencaroni. Lasciatevi accompagnare dal signor Coniglio nella  magica atmosfera  dei  luoghi di confine creata  con l’  inconfondibile verve narrativa da Spartaco  e  dai brani musicali scelti da Leonardo Petrillo.

notte

L’iniziativa prosegue su Skipblog  che ha l’onore e l’onere di ospitare  la terza edizione del Carnevale della Letteratura  del mese di settembre . Io e Skip vi proponiamo un  tema  ampiamente  interpretabile

“Non si può toccare l’alba se non si sono percorsi i sentieri della notte.” (Kahlil Gibran)

William-Adolphe_Bouguereau_(1825-1905)_-_La_Nuit_(1883)

 

Da sempre la notte,  la Madre, la dea accende desideri e fantasie , soffia su tenerezze e nostalgie, inquietudini  e  paure,  ispira pensieri e poesie, culla sonni e sogni, alimenta leggende e magie,  anima personaggi fantastici e reali.

Notte  dall’ anima carnale e  spirituale, che svela e nasconde  proiettando  luci e ombre nella vita e nell’uomo,  orienta e disorienta,  affascina, appassiona,  spaventa. Notte in cui si sono persi e ritrovati persone comuni, letterati, artisti e  scienziati.

 

Orsù dunque ascoltiamo i fremiti e i respiri della notte, ad Agosto ricorre anche la magica notte  delle stelle.

Lasciate brillare la vostra creatività narrativa e poetica scrivendo  un post nei vostri blog, dei quali potrete segnalarmi il link  entro il  31 agosto   all’indirizzo unicaskip at gmail.com .

Pubblicherò con piacere  tutti i vostri preziosi contributi il 3 settembre.

Qui, nel blog de il Gloglottatore, qualche semplice indicazione  per partecipare.

 

Io, Skip e il Carnevale vi aspettiamo! Regaliamoci un frammento di notte, vista attraverso i nostri sensi e la nostra immaginazione, e anche un po’ del piacere della lettura.

 

Maria