Donne del Risorgimento: Anita Garibaldi

Il Gianicolo è un parco pubblico molto suggestivo sia  perché offre dall’alto una splendida veduta di Roma, sia perché è un  luogo della memoria, che nei grandi monumenti equestri di  Giuseppe e di Anita Garibaldi, negli 84  busti e nelle quattro  stele dedicati ai combattenti garibaldini, provenienti da ogni parte d’Italia , ricorda la strenua difesa della breve Repubblica Romana tra l’ aprile e il luglio del 1849.

Il monumento celebrativo di Anita Garibaldi , realizzato da Mario Rutelli ed inaugurato nel 1932, custodisce le ceneri di Ana Maria de Jesus Ribeiro da Silva, universalmente  nota come Anita Garibaldi (Morrinhos, 30 agosto 1821- Mandriole di Ravenna 4 agosto 1849).

 Anita stringe tra le braccia un bambino, molto probabilmente Menotti, il figlio appena nato, portato in salvo dalla madre che di notte scappò a cavallo per sottrarsi alle violente  truppe imperiali giunte a  San Simon nel 1840 .Garibaldi, che l’aveva lasciata a casa di amici per cercare vesti per lei e il piccolo, la ritrovò nella foresta mentre allattava il primogenito.  

Anita, l’unica donna veramente amata da Garibaldi, a diciotto  anni divenne la sua inseparabile compagna , condividendo fino alla fine una vita avventurosa e difficile tra stenti, rinunce e sacrifici, ideali e battaglie per terra e per mare, sia in Sud America che in Italia. È passata  meritoriamente alla storia come l’Eroina dei due mondi, emblema della donna combattente e leggenda vivente del Risorgimento Italiano.   

Da Garibaldi ebbe quattro figli:  Menotti (1840), Rosita (1843) morta all’età di due anni, Teresita (1845) e Ricciotti (1847) . Di umili origini, sin da ragazzina mostrò un carattere indomito, forte e determinato. Alta, fiera, dai grandi occhi scuri conobbe e  conquistò il cuore di Garibaldi nel1839 a Laguna, piccola città a sud del Brasile durante le lotte sudamericane per l’indipendenza repubblicana. Una giovane donna  “ il cui coraggio io mi sarei desiderato tante volte”- come scrisse di lei il marito  nelle Memorie autobiografiche- e che Anita mostrò   nella strenua difesa della breve Repubblica Romana. 

Dopo la resa di Roma  Garibaldi , con l’inseparabile Anita  e i suoi compagni, compì un disperato viaggio verso Venezia che ancora resisteva agli Austriaci. Sperava di  accendere l’insurrezione nell’Italia centrale ma, inseguito da truppe francesi, pontificie e poi austriache, nel luglio del 1849  si diresse verso la repubblica di San Marino.

 

Nelle sue “ Memorie” descrisse con   un’analisi umanamente schietta la criticità  del momento, le condizioni disperate di Anita, incinta di sei mesi,  e  la viltà dei  disertori “ codardi nell’ abbandonare vilmente la causa santa del loro paese, essi naturalmente scendevano ad atti osceni e crudeli cogli abitanti. Ciò sommamente mi straziava, peggiorava ed umiliava non poco la già sventurata posizione nostra! Come potevo io mandare dietro a quelle scellerate masnade, attorniato come mi trovavo dai nemici! Alcuni colti in flagrante erano fucilati;ma ciò poco rimediava,andando la maggior parte impuniti. La situazione divenuta disperata, io cercai d’arrivare a S. Marino.Avvicinatomi alla sede di quelli eccellenti Repubblicani, giunsemi una loro deputazione, ed avvendone avuto notizie, mi avvicinai per conferire con essa. E mentre io mi trovavo conferendo colla deputazione di S. Marino, un corpo di Austriaci comparì alla nostra retroguardia e vi cagionò confusione tale, che tutti presero a fuggire quasi senza veder nemici, almeno la maggior parte.Avvertito di tal contrattempo, retrocessi, trovai la gente fuggendo, e la mia valorosa Anita, che col colonnello Forbes facevano ogni sforzo per trattenere i fuggenti. Quella incomparabile donna incapace di qualunque timore aveva lo sdegno dipinto sul volto e non poteva darsi pace di tanto spavento in uomini che poco prima s’eran battuti valorosamente….”Giunti a S. Marino Garibaldi  scrisse su un gradino d’una chiesa al di fuori della città l’ordine del giorno:“ Militi, io vi sciolgo dall’ impegno d’accompagnarmi. Tornate alle vostre case;ma ricordatevi che l’Italia non deve rimanere nel servaggio, e nella vergogna!”  Dei circa 4000 uomini, partiti da Roma, rimasero solo 200 seguaci  coi quali  giunse a Cesenatico per poi imbarcarsi  su barche da pesca ( bragozzi)  alla volta di  Venezia. “Per parte mia, però, non avendo idea di depor le armi, con un pugno di compagni, io sapevo non impossibile aprirsi strada e guadagnar Venezia. E così s’era deciso. Un carissimo e ben doloroso impiccio era la mia Anita, avanzata in gravidanza, ed inferma. Io la supplicavo di rimanere in quella terra di rifugio( San Marino) , ove un asil almeno per lei poteva credersi assicurato, ed ove gli abitanti ci avevan mostrato molta amorevolezza. Invano! Quel cuore virile e generoso si sdegnava a qualunque delle mie ammonizioni su tale assunto, e m’imponeva silenzio, colle parole: “ tu vuoi lasciarmi”.   Gli Austriaci scorsero i  garibaldini e iniziarono a sparare da lontano cannonate e razzi.

“Io lascio pensare qual era la mia posizione in quei sciagurati momenti. La donna mia infelice, moribonda! Il nemico perseguendo dal mare, con quella alacrità che dà una vittoria facile. Aprodando ad una costa, ove tutte le probabilità di trovarvi altri, e numerosi nemici, non solamente Austriaci, ma papalini, allora in fiera reazione. Comunque fosse, noi aprodammo. Io presi la mia preziosa compagna nelle braccia, sbarcai e la deposi  sulla sponda. Dissi ai miei compagni, che collo sguardo mi chiedevano ciocchè dovevano fare:d’incamminarsi alla spicciolata, e di cercar rifugio, ove potrebbero trovarlo. In ogni modo d’allontanarsi dal punto ove ci trovavamo, essendo imminente l’arrivo dei palischermi nemici. Per [me] esser impossibile seguitar oltre, non potendo abbandonare mia moglie moribonda… 

Io rimasi nella vicinanza del mare in un campo di melica, colla mia Anita, e col tenente Leggiero, indivisibile mio compagno….Le ultime parole della donna del mio cuore erano state per i suoi figli! Ch’essa presentì di non poter più rivedere!” 

 Il tenente Leggero  andò in cerca di aiuto e tornò col colonnello Nino Bonnet, uno degli ufficiali più valorosi che, ferito a Roma nell’assedio, si era ritirato a casa, in quel di Comacchio, per curarsi. Egli propose di avvicinarsi ad una casupola  nelle vicinanze .Qui povera gente offrì acqua e primo soccorso ad Anita. Poi Garibaldi e i compagni trasportarono la donna in casa della sorella di Bonnet ed infine alla Mandriola per trovare un medico. “Guardate di salvare questa donna”!-  raccomandò al dottore ma “Nel posare la mia donna in letto, mi sembrò di scoprire sul suo volto, la fisionomia della morte. Le presi il polzo…più non batteva! Avevo davanti a me la madre de’ miei figli, ch’io tanto amava! Cadavere!…Io piansi amaramente la perdita  della mia Anita! Di colei che mi fu compagna inseparabile nelle più avventurose circostanze della mia vita!”

 A fatica il fedelissimo Leggero convinse il generale a riprendere la fuga per salvarsi  dalle truppe pontificie e dai soldati austriaci. “Generale, dovete farlo. Per i vostri figli, per l’Italia…”. Garibaldi raccomandò alla buona gente che lo circondava di seppellire Anita  e s’allontanò.

“Io, conobbi il gran male che feci, il dì, in cui sperando ancora di rivederla in vita io, stringeva il polso d’un cadavere: e piangevo il pianto della disperazione! Io, errai grandemente ed errai solo!”. 

Queste parole  sigillano un profondo rimorso, non spiegato, forse per avere cambiato la vita di quell’intrepida ragazza dai grandi occhi scuri, che a 28 anni è entrata a fare parte della storia come figura esemplare dell’amore romantico e del nostro Risorgimento.

 

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