Come una poesia che non riesco a ricordare.

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Quelle profondità  così azzurre e avvolgenti catturano e ancorano a una scheggia di alghe e pietre, incastonata nel turchino. La vista da lassù ispira, come quel silenzio irreale, lo stesso che si rifugge fuori e si cerca spesso dentro di sé. Immobili presenze intorno, per  covare sogni senza memoria, per smarrirsi in  orizzonti irraggiungibili. Senza affanno. Una tregua, chissà dopo quale battaglia, e quale lunga attesa. Convivenza di fantasmi, senza storia, tra rocce arse d’estate e folate di vento d’inverno.

A volte la vita è immaginaria, a volte lo è la solitudine. In quel tuo mondo esclusivo, ti sei lasciata andare, con un cuore inciampato in  troppo amore, nel prenderti cura di lui, con  tenace fedeltà hai trovato pace, ma chissà se quella tua promessa interiore non abbia celato in fondo la paura di vivere, di accorciare distanze e conquistare miraggi. Forse eri stanca di aspettare, di fare parte della schiera dannata di coloro che invece aspettano, con co-stan-za, incessantemente in ogni ora di ogni giorno.Perché in verità ci vuole forza ad aspettare, senza sapere nemmeno cosa. In tutte le stagioni della vita. Meglio inventarsi un’aspettativa impossibile a  guardia del tuo tempo. Non sei un’eroina tragica. No. Sei riuscita a farti attesa, invertendo il ruolo. La tua cura per quell’alter ego inerte e immobile era forse un modo come un altro per prendere in carico te stessa, per trovare un destinatario del tuo bisogno di silenzio e di tregua. C’è disperazione in tutto questo? Che importa, adesso? Tenerezza sì, ci vedo tanta tenerezza in quel tuo bisogno, nella resistenza ad accorciare distanze con i tuoi simili, nella tua forza a dare concretezza a un miraggio. C’è chi muore lentamente nell’attesa, in quel tempo prezioso da pagare agli affetti, alla compagnia, alla cura. C’è vita e amore, al limite del ridicolo, in quell’attesa, in quello stillicidio di speranza, logorante sconforto e  benefica illusione. Tu no, Nigel ! Sei morta forse per troppo amore per te stessa, per quel tuo riflesso che con te scrutava uno dei tanti orizzonti turchini, sconfinato e irraggiungibile come tanti altri, sempre ugualmente indefiniti ovunque ti girassi e cercassi  di cambiare prospettiva. Eri però quieta in quel silenzio di dentro perché la solitudine non è triste, se voluta e cercata. È solo il fulcro di un equilibrio interiore, conquistato a volte con fatica, poi difeso con coraggio, lontano dalle battaglie della schiera che attende, annaspa, si consuma e invecchia lo stesso, forse di più, senza pace e tempo per sé.