“È sempre l’ora del tè, e negli intervalli non abbiamo il tempo di lavare le tazze.” (Lewis Carroll)

E’ tempo da lupi e da cani, e Skip ha scovato con me una carrellata di aforismi e modi di dire, per ammazzare un po’ il tempo prima che  ammazzi noi, e arrivare in tempo alla quarta edizione del Carnevale della Letteratura curato da Leonardo Petrillo.

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T-e-m-p-o… “Che cosa è allora il tempo? Se nessuno me lo chiede, lo so; se dovessi spiegarlo a chi  
me ne chiede, non lo so.” (Sant’Agostino) e non è l’unico, visto che spesso si parla di una dimensione relativa del tempo. “Il tempo non esiste, è solo una dimensione dell’anima. Il passato non esiste in quanto non è più, il futuro non esiste in quanto deve ancora essere, e il presente è solo un istante inesistente di separazione tra passato e futuro.” (Sant’Agostino) . Inoltre  fluisce , inesorabile, e “L’acqua che tocchi de’ fiumi è l’ultima di quelle che andò e la prima di quella che viene. Così il tempo presente.” (Leonardo da Vinci)

Un famigerato avventuriero cioè Giuseppe Giovanni Battista Vincenzo Pietro Antonio Matteo Balsamo, noto con il nome di Alessandro Conte di Cagliostro, per gli amici semplicemente Cagliostro,   asseriva “Io non sono di nessuna epoca e di nessun luogo: al di fuori del tempo e dello spazio, il mio essere spirituale vive la sua eterna esistenza. (Cagliostro)” …nelle sue molteplici , se non poco limpide, identità e forse in una confusa personalità. Al di fuori di tempo e spazio potrei allocare l’impasse italiana, ma questo è un discorso molto più prosaico.  Culliamoci con un fantastico volo pindarico perché “ La fantasia non è altro che un aspetto della memoria svincolato dall’ordine del tempo e dello spazio.” (Samuel Taylor Coleridge). Del resto “   Gli esseri umani sono anfibi per metà spirito e per metà animali. Come spirito aspirano al mondo eterno, ma come animali vivono nel tempo finito” (Clive Staples Lewis) . Per cui sapeviamolo tutti  che siamo an- fi-bi succubi dell’orologio biologico.

 “Il tempo è un grande insegnante, ma sfortunatamente uccide tutti i suoi alunni.” Alla faccia dei cosiddetti tempi morti.  “L’anima di certa gente ricorda le lavagne di scuola sulle quali il tempo traccia segni, regole ed esempi che una spugna bagnata subito cancella.” (Kahlil Gibran). Insomma è una sorta di gesso per cui  attenzione alle allergie, al gesso, alla scuola e all’invecchiamento fisico. 

“Che strano, tutti parlano del tempo ma nessuno fa niente per cambiarlo. “(Mark Twain) , al massimo si prende tempo o si ricavano parentesi in una giornata o in una settimana .”Il tempo è l’artefice fra gli artefici.” (Francesco Bacone) aggiungerei di grandi artifici  e ama ricamare rughe e lasciare impronte  e potrebbe anche offendersi perché “Il tempo non rispetta quel che si è fatto senza di lui.” (Bruno Barilli) e “Poiché il tempo non è una persona che potremo raggiungere sulla strada quando se ne sarà andata, onoriamolo con letizia e allegrezza di spirito quando ci passa accanto.” (Goethe), sfiorandoci con un tocco leggero.

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 In fondo un’ora trascorsa piacevolmente pare che duri meno di un’ora triste, forse perché l’infelicità o comunque gli stati d’animo negativi sono più difficili da rimuovere. “L’esserci, l’essere umano, compreso nella sua estrema possibilità d’essere, è il tempo stesso, e non è nel tempo. (Martin Heidegger) ecco perché “Quando due inglesi si incontrano il loro primo argomento di conversazione è il tempo.”  (Samuel Johnson)  che equivale al nostro “Buongiorno, mi chiamo Gennaro…” “piacere, Assuntina”… 

Caposaldo dei detti è “il tempo è prezioso” e forse per questo si prova a rubarlo, a ritagliarlo, a non perderlo, a guadagnarlo.“Quando il tempo è denaro, sembra morale risparmiare tempo, specialmente il proprio. “(Theodor W. Adorno) “Il tempo è moneta. Non sciupiamolo in esitazioni.” (Thomas Mann)  e fatene buon uso perché “ Ho sciupato il tempo, e ora il tempo sciupa me.” (William Shakespeare). Si suol dire anche che  il mattino ha l’oro in bocca, e non si tratta di denti dorati bensì di detti sempre validi per gli stakanovisti del lavoro e per chi asserisce che “chi ha tempo non aspetti tempo”, da impiegare magari al servizio degli altri come hanno ben pensato le banche del tempo.

In fondo  il Mahatma Gandhi predicava  “Dobbiamo fare il miglior uso possibile del tempo libero”. e Goethe “Si ha sempre tempo a sufficienza se lo si usa bene. “

“Troppo spesso togliamo tempo ai nostri amici per dedicarlo ai nostri nemici.” (Hermann Hesse) che ci arrovellano e logorano , ma  Abraham Lincoln  invita ad andare oltre  “Se un uomo è deciso a dare il massimo di se stesso, non ha tempo da perdere in liti personali e non può permettersi le eventuali conseguenze, come perdere la calma e l’autocontrollo.” Quindi se  l’animella vostra è dolentemente sconsolata, reagite con millemila cose da fare che sviino pessimistici stati d’animo    perché “Chi ha da fare non ha tempo per le lacrime. “(Albert Einstein) –verissimo- e   “Il segreto per essere infelici è di avere il tempo di chiedersi continuamente se si è felici o no.” (George Bernard Shaw). Uno squillo di tromba da un mito del nostro tempo , caro a tanti  “Il nostro tempo è limitato, per cui non lo dobbiamo sprecare vivendo la vita di qualcun altro. Non facciamoci intrappolare dai dogmi, che vuol dire vivere seguendo i risultati del pensiero di altre persone. Non lasciamo che il rumore delle opinioni altrui offuschi la nostra voce interiore. E, cosa più importante di tutte, dobbiamo avere il coraggio di seguire il nostro cuore e la nostra intuizione. In qualche modo, essi sanno che cosa vogliamo realmente diventare. Tutto il resto è secondario. (Steve Jobs) .” “Vivi per essere la meraviglia e l’ammirazione del tuo tempo.” (William Shakespeare) …e Jobs c’è riuscito in pieno.

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Il tempo scandisce anche  diverse forme di narrazione.

”Per essere poeti, bisogna avere molto tempo. (Pier Paolo Pasolini) – a volte,  pure per partecipare al Carnevale della Letteratura- per meditare, intuire, trovare l’ispirazione e le parole per tradurla. “La poesia non è un’espressione. E’ il tempo di notte, dormire nel letto, pensiero di quello che realmente pensi, rendere il mondo privato pubblico, ed è questo che il poeta fa. (Allen Ginsberg) perché “ Il grande poeta, nello scrivere se stesso, scrive il suo tempo”. (Thomas Stearns Eliot) 

“Le parole si muovono, la musica si muove solo nel tempo; ma ciò che soltanto vive può soltanto morire. Le parole, dopo il discorso giungono al silenzio.” (Thomas Stearns Eliot)”  e “Ogni grande lavoro artistico… riaccende e riadatta il tempo e lo spazio, e la misura del suo successo è l’estensione per la quale si viene portati ad essere abitanti di quel mondo – l’estensione per la quale si viene invitati e si lascia che si respiri la sua strana, speciale aria.” (Leonard Bernstein)

“Ero pittore e il mio unico interesse era lo spazio; soprattutto paesaggi e città. Sono diventato cineasta perché sentivo che – come pittore – mi trovavo ad un punto morto. Ai dipinti mancava qualcosa e mancava nel lavoro del pittore; personalmente pensavo che mancasse una nozione del tempo. Così quando ho cominciato a fare film, all’inizio, mi consideravo un pittore di spazio in cerca del tempo. Non mi è mai accaduto di chiamare ciò “narrare”. Ho dovuto rendermi conto col tempo che lo è. Credo di essere stato molto ingenuo.” (Wim Wenders)

 Il tempo incalza, ma non necessariamente danneggia anzi a volte, quando non se ne ha, induce a dare il meglio di sé “Il giornalista è stimolato dalla scadenza. Scrive peggio se ha tempo.” (Karl Kraus) “Niente ci fa perdere più tempo della fretta. (Roberto Gervaso) , mala consigliera .  Chissà come, poi  la corsa rallenta e “ Il tempo, a volte, sembra che non passi, è come una rondine che fa il nido sulla grondaia, esce ed entra, va e viene, ma sempre sotto i nostri occhi. “(José Saramago)

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“Più perdiamo tempo, più ci accorciamo la vita.” (Roberto Gervaso)  e quanto tempo si perde nel cercare di recuperare il tempo perduto che mai più ritornerààà…e lo sanno bene i diplomatici che  “sono stati inventati soltanto per perdere tempo.” (David Lloyd-George) . Non disperiamo però perché “La bellezza è l’unica cosa contro cui la forza del tempo sia vana. Ciò che è bello è una gioia per tutte le stagioni, ed è un possesso per tutta l’eternità.” (Oscar Wilde) Attention,  please,  che “ Il tempo passato di fronte a un libro aperto non è mai tempo perso. “(Fabio Fazio)  e “Se vivi nel tuo tempo certi libri li respiri nell’aria.” (Federico Fellini) Uhmm, forse per questo non ho mai capito mio figlio che, a quanto pare, non legge bensì  respira libri… 

A volte è questione di tempismo perché “In un minuto c’è il tempo per decisioni e scelte” – anche se il minuto successivo le rovescerà. (Thomas Stearns Eliot) . Se ogni cosa ha il suo tempo, come diceva nonna Gioconda per frenare l’impulsività giovanile dei nipoti “Anche per il pensiero c’è un tempo per arare e un tempo per mietere.” (Ludwig Wittgenstein) 

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Il tempo ha proprietà lenitive perché “Il tempo raffredda, il tempo chiarifica; nessuno stato d’animo si può mantenere del tutto inalterato nello scorrere delle ore. “(Thomas Mann)  e favorisce il metabolismo della convivenza  in quanto “I pregiudizi e tutte le brutture della vita sono utili perché col tempo si trasformano in qualcosa di utile, come il letame in humus.” (Anton Cechov) .E se le corse contro il tempo sono il logorio della vita moderna , invece di un Cynar  “C’è un solo modo di dimenticare il tempo: impiegarlo. (Charles Baudelaire) e non stressarsi troppo in quanto “La puntualità è il ladro del tempo.” (Oscar Wilde) , da scrivere a lettere cubitali  dietro la porta di casa e leggere ogni qualvolta ci si senta in ritardo sull’anticipo  😉

Come si può rappresentare il tempo? Ai piccoli si prospetta una linea del tempo forse scala del Bernini-santa Maria Maggiore RomaperchéIl tempo umano non ruota in cerchio ma avanza veloce in linea retta. E’ per questo che l’uomo non può essere felice, perché la felicità è desiderio di ripetizione.” (Milan Kundera) , e allora per scappare dalla valle di lacrime  direi che ha un andamento spiraliforme, perché in fondo esiste una ciclicità nel tempo, che ci avvolge  e coinvolge,  pur cambiando le variabili spazio temporali…ma se “Il tempo si muove in una direzione, i ricordi vanno in un’altra. (William Gibson) “

Se “Una bugia fa in tempo a viaggiare per mezzo mondo  e  la verità si sta ancora mettendo le scarpe.” (Mark Twain), è anche vero che il  tempo è un  galantuomo  “Pazienta per un poco: le calunnie non vivono a lungo. La verità è figlia del tempo: tra non molto essa apparirà per vendicare i tuoi torti.” (Immanuel Kant)  rafforzato da “  La verità è figlia del tempo.” (Francesco Bacone) e  George Orwell ha anticipato i nostri tempi con una frase attualissima, cioè   “Nel tempo dell’inganno universale dire la verità è un atto rivoluzionario.” (George Orwell) 

alice-jackson2-nonsensePrecipitevolissimevolmente viviamo tempi moderni, non del film di Chaplin, perché  “ Un tempo esistevano domande per le quali non c’erano risposte. Oggi, all’epoca dei computer, ci sono molte risposte per le quali non abbiamo ancora pensato alle domande. “(Peter Ustinov) “Tutto nel mondo sta dando risposte, quel che tarda è il tempo delle domande.” (José Saramago) insomma il pensiero si sta velocizzando talmente che le risposte anticipano le domande o sono riflessioni che maturano per caso e ben si addicono a sottintese domande? Della serie: “tagliatele la testa” , come direbbe la regina di picche ad Alice. 

 

Tempo per esistere e vivere. Un istante per concepire, a volte per andarsene. Tempo stabilito  per venire al mondo, istruirsi e costruire. Tempo troppo breve per il piacere e una perdita improvvisa o di un’attesa troppo lunga e insopportabile. Tempo da negoziare, a volte con la sorte, per avere giustizia, un lavoro, una pensione, un po’di dignità. Tempo non negoziabile per un  perdono,  un’assoluzione, una preghiera, una vendetta.

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“Il mio tempo non è ancora venuto; alcuni nascono postumi.” (Nietzsche)  perché a volte  “Ci si mette molto tempo per diventare giovani.” (Pablo Picasso) , sempre che si riesca a recuperare il tempo rubato, più difficile l’infanzia negata per la quale ci vorrebbe un bel viaggio con Peter Pan nell’Isola che non c’è, almeno però  “Perduto è tutto il tempo che in amor non si  spende.” (Torquato Tasso) , onde per cui si viva l’attimo fuggente. L’avevano ben capito gli antichi saggi: Gaio Svetonio Tranquillo, il cui nome è già tutto un programma,  consigliava  Festina lente cioè “Affrettati lentamente” non come il placido bradipo, ma  riflettendo con calma . Il poeta Orazio, invece, è famoso per “ Carpe diem quam minimum credula postero” (Cogli l’attimo fuggente confidando il meno possibile nel futuro) e Dona praesentis cape laetus horae  (Cogli felice i doni di questo momento).

 E per finire,   vi ringrazio per essere arrivati fin qui e vi saluto con l’aforisma che mi piace di più “È sempre l’ora del tè, e negli intervalli non abbiamo il tempo di lavare le tazze.” (Lewis Carroll)  😉

 

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immagini dal web

La signorina Rosa

Con questo post partecipo alla quarta edizione del  Carnevale della Letteratura avente come tema il tempo e  curato da Leonardo Petrillo  su Scienza e Musica.  Propongo una passeggiata nel tempo che fu per raccontare la vita di una donna con lo sguardo su altri tempi.

  Quando penso alla signorina Rosa, concludo che riuscì sempre ad essere protagonista della sua vita, senza finzioni, né guida, né protezione. Penso a quei semi che volano via per germogliare altrove. Lei aveva in sé i semi del secolo successivo.

 Rosa nacque nel 1899. Ancora adolescente, perse entrambi i genitori a poca distanza l’uno dall’ altra. Suo fratello, di due anni più grande,  prese quindi  la via del mare per provvedere alle due sorelle minori e fu esonerato dal primo conflitto mondiale, proprio perché sostegno di famiglia. Finite le scuole tecniche, Rosa aspettò di compiere diciotto anni per lasciare  il paese e andare a vivere in città con la sorella, di un anno più giovane, alla quale era molto legata. Pare che all’inizio entrambe lavorassero in un laboratorio di cucito. Nel 1919 la sorella Lucia morì di febbre spagnola, che all’epoca fece molte vittime.

 Rosa decise di proseguire gli studi , diventò ostetrica e lavorò sempre all’ospedale Ascalesi nel cuore caldo  di Napoli. A lei si deve la nascita, in casa, di tutti i nipoti, pronipoti e figli di conoscenti finché fu costruita la prima clinica ostetrica in penisola sorrentina alla fine degli anni ‘50. Rosa era minuta e di statura piccola, ma aveva un passo sicuro e deciso. Arrivava nella casa della partoriente e istruiva sul da farsi le donne presenti, zittendole con fermezza per mantenere la calma e concentrarsi sull’evento. Non si può dire fosse una bellezza.  Aveva però un paio di occhi  vispi da furetto, di colore castano verde, eredità trasmessa alle nipoti e pronipoti.

  Nel ’43 aiutò la nipote maggiore a trasferirsi in città per lavorare e contribuire al mantenimento agli studi dei tre fratelli minori. Questo perché suo padre ( il fratello di Rosa) era disperso. In verità proprio durante l’ultimo viaggio, che prevedeva il suo sbarco a Genova, arrivò un contrordine. La sua motonave fu dirottata  ad Alessandria d’Egitto e l’equipaggio sbarcò  in un campo di prigionia inglese. Lì suo fratello vi rimase per otto anni e ne svelò il segreto  parlando in arabo contro fantasmi immaginari, quando in tarda età la sua mente vacillava tra sprazzi di memoria del passato e vuoti del presente.  Durante la sua assenza Rosa seguì i  cinque nipoti conciliando, come poteva,  gli impegni di lavoro col tempo libero. La seconda guerra si fece sentire, in tutti i sensi: nelle separazioni forzate, nei bombardamenti, negli stenti, nella trepida attesa di notizie. Ogni tanto tornava al paese e  rimproverava la cognata perché i ragazzini parlavano il dialetto. Rosa ci teneva all’Italiano. Ormai aveva assunto l’aria della città e credeva che un diploma e la  padronanza della lingua italiana potevano essere un buon biglietto di presentazione per un’occupazione futura. Nel dopoguerra incoraggiò i tre nipoti ad intraprendere la carriera del mare. Rosa invece iniziò a viaggiare, prima da sola poi, in età avanzata, coinvolse nelle sue peregrinazioni anche alcune amiche. Non c’erano confini di spazio e tempo alla sua voglia di scoprire l’Italia , l’Europa e poi oltre. Investiva così i suoi risparmi, allontanandosi sempre più,  come i cerchi concentrici si allargano nell’acqua. La sua meta preferita fu Parigi ma è rimasta memorabile nella storia della famiglia la sua partenza per la Terra Santa in un itinerario “fai da te” negli anni ’50.

 La ricordo anziana quando per un giorno si fermava a casa nostra e l’indomani ripartiva per proseguire uno dei tanti viaggi. Quando arrivava era una festa. I miei genitori la aspettavano e si premuravano di accoglierla secondo il rituale riservato agli ospiti di riguardo. A tavola parlava ininterrottamente, descriveva e raccontava le sue peripezie, e sorrideva. Mio padre la ossequiava dandole del Voi, nutriva per lei un’ammirazione, che ho capito in seguito, e una tacita gratitudine per avere assistito mia madre nel lungo parto di mio fratello che fece tribolare per due giorni non solo lei, ma anche  tutto il parentado.  Tra Rosa e mamma c’era una solidarietà femminile, riguardosa da ambo le parti, forse  perché la vita le aveva portate lontano a condividere la tradizione del mare in  una fatale ciclicità. Alla fine degli anni ‘60 Rosa venne a farci visita  per congratularsi con papà, fugando  ogni perplessità dei miei a trasferirsi altrove. Era sempre più piccola, con tante rughe ricamate dal tempo e dalla vita sul viso e sulle mani. Il passo era incerto, ma costante. Mi pareva una testuggine, con gli occhi di sempre, cangianti a seconda della luce, curiosi, attenti, precocemente spalancati sulla libertà, forza  e determinazione di essere. Quando la ricordiamo, tutti pensiamo a una donna intraprendente ed indipendente, discreta e tenace che vedeva altri tempi . Poco formale nei festeggiamenti, mai invadente, lontana eppure presente nei momenti critici.

 Certe vite  sono opere, rese grandiose da una quotidianità percorsa a piccoli passi per gestire difficoltà  e costruire pian piano, credendo in qualcosa. Qualcosa di silenziosamente autentico che va al di là di se stessi, degli affetti, delle coordinate di spazio e tempo, della contingenza del reale. A distanza di tanti anni Zia Rosa riesce ancora a trasmettermi un esempio che orienta. Una riservata, piccola- grande donna che, inizialmente per necessità e poi per scelta, interpretò la vita senza il bisogno di ricevere conferme affettive o consensi, seguendo priorità che aveva selezionato con intelligente perspicacia. Precorse i tempi con la curiosità di aprirsi al mondo, riuscendo a superare ogni distacco e a colmare ogni lontananza. Quando penso a Zia Rosa vedo una moderna  ragazza del 1899.

Dedicato a Zia Rosa

 

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Orsù, animella mia!

Quando sono giù di giri, mi trascino con l’animella sotto i piedi e mi pare che da un momento all’altro il cielo mi cada sulla testa come ad Abraracourcix.

Allora provo a distrarmi in vario modo.

 

Mi dedico ad attività di puro autolesionismo, cioè alle grandi pulizie, così  le pessimistiche energie mentali servono a qualcosa. Ben arroccata sulla scala, a tre metri sopra …il pavimento di casa, smonto le tende bisticciando a braccia alzate con gli odiosi gancetti, poi le lavo e le rimonto continuando a imprecare contro gli irriducibili cosi tondi. In fondo però mi sento soddisfatta soprattutto se non mi sono arroccolata sui pioli della scala. Oppure sudo sette camicie, anzi sette camici, per sfoderare e rivestire i divani in tre manovre, che il più delle volte diventano trenta. Ma chi la dura, la vince. Il non plus ultra è quando decido di riordinare librerie, armadi e mobili della cucina. Allora i miei familiari si preoccupano davvero e richiedono l’ urgente intervento di uno specialista.

Penso se sia il caso di uscire con gli amici, rimasti in zona. Sì, sentire parlare delle loro diatribe familiari,di politica e assistere alle non sempre pacifiche schermaglie tra partner in crisi, potrebbe giovarmi e rafforzare la mia autostima. Potrei sentirmi come la spada nella roccia. Di solito però rinuncio, per evitare incidenti poco diplomatici da parte mia, presa e compresa dalla mia animella in pena.

 

Pratico un po’ di nuoto, che perlomeno fa bene alla salute. Il tutto sta nel decidermi a duellare contro l’indolenza di fine estate e non disertare i buoni propositi. Spesso deambulo nel mio pacifico regno con tappe obbligate dinanzi al frigo perché mi dimentico di bere, e bisogna bere tanto per liberarsi dalle tossine, di varia natura, gonfiando la pancia come la gobba di un cammello.

 

Guardo un bel film. Confesso che mi predispongo con tanta buona volontà per riuscire a vedere un po’ di televisione e finisco sempre col zappingare tra film, telefilm, documentari ove imperversano “ammazzamienti” di ogni genere. Umani, subumani, extraumani, animali, erbivori, onnivori, carnivori che scappano, strepitano, scalpitano, si dilaniano. È tutto un sanguinolento giacimento (si può dire?) di prede in fuga disperata , corse al galoppo di predatori e inseguimenti di agguerriti investigatori. Come variante c’è il filone medico sanitario ospedaliero, altrettanto consolante. Medici e forze dell’ordine sono sempre di un’intelligenza sorprendente, degna di premio Nobel. Alla fine l’altra sera mi sono immedesimata nel ruolo di investigatrice per rintracciare Gri Gri, che dopo avere osato sfacciatamente in mia presenza artigliarsi sul trolley, si è data a una pronta fuga. Durante la gimkana domestica ho cacciato pure Tigro, che di recente crede di essere uno scalatore dell’Himalaya e si sdraia su tavoli e cristalliere in cerca di frescura. Dopo un breve parapiglia, sono crollata sul divano. Però è stato bello perlomeno accendere il televisore, se non altro per gustare poi in santa pace una coppa super di gelato artigianale.

 

Mi dedico alla pet terapy, che non è una cosa scandalosa e funziona sempre. Le belve umane di casa  ormai sono cresciute e hanno perlopiù vita e uscite a sé. Negli animaletti stanziali di casa, quelli dell’associazione felina a delinquere- di cui sopra- che interloquiscono a modo loro, rivedo un po’ della mia animella infantile, curiosa, impertinente. Non so perché, ma  ovunque io mi stenda, mi ritrovo accanto o ai piedi i due peluche moventi. I gatti sono autonomi sì, ma cercano un contatto e trasmettono un caldo affetto, soprattutto alle mie zampe distese. Se oso sgranchire le dita dei piedi, Gri Gri  pensa bene di giocarci finché io, rapita da un fervido ammmore universale, scalcio al vento e faccio decollare pellicce tigrate e ciuffi di peli per riacquistare la mia libera astenia.

 

Leggo. Mi piace leggere romanzi, ma d’un fiato perché altrimenti perdo il filo della narrazione e rischio di librarmi in un volo pindarico inventandomi un finale a piacere. Così poi di quel libro faccio un bel collage ove confondo la trama vera con quella immaginata. Leggo a pancia in su e fatico a leggere da seduta. Solo che , a qualunque ora del giorno, mi capita di cascare  tra le braccia di Morfeo dopo circa una trentina di pagine. Non ho capito se sia la posizione rilassata o il meccanismo della lettura a farmi cadere in letargo. Sta di fatto che fatico a finire un libro, se non è ben scritto e ha un contenuto o trama interessanti. In caso contrario, finirà tra quelli da  portare al mare, ove mi imporrò di leggerlo  e mi riparerà il viso dai raggi UVA.

 

Entro in sintonia col consorte. Impresa non da poco, primo perché è un peripatetico del mondo, secondo perché in fatto di dialogo è uno scoglio che non fa patelle, preso e compreso da altri pensieri. Ci manca pure che ascolti i miei complessi o meglio la mia orchestra sinfonica. Di recente siamo un po’ stanchi, al punto tale che stanotte ci siamo spaventati in due (leggasi bene due). Questo episodio, prova della nostra furbizia e collaudata simbiosi, passerà alla storia della famiglia. Svegliandomi gli ho chiesto se fosse rientrato nostro figlio; lui è andato nella camera e non l’ha trovato. Erano oltre le 3 di notte. Allarme rosso da defibrillazione. Uno di qua e l’altro di là abbiamo cercato di rintracciarlo. Il suo cellulare era irraggiungibile. Già pensavo al peggio perché, quando sono giù, penso sempre di bene in meglio. Un incidente, un galante imprevisto, un salto in discoteca e, a ogni possibile causa del ritardo, fermentavano sempre più i miei succhi gastrici. Chissà come, dopo un’ora circa di nostre girate e rigirate nel letto, intervallate da periodici controlli sul display del cell e affacciate alla finestra, lui ha riguardato e ha scoperto che lui dormiva seraficamente nella sua camera.

No- dico- mio figlio è molto ben visibile, è un armadietto in carne e ossa. Che sintonia! Dio ci fa e ci accoppia nella buona e nella cattiva sorte. Dopo quest’episodio notturno ho avuto una radiosa illuminazione. È il caso di  schiodarsi, riprendere le redini e spronare  la patetica animella… 

Un giorno di fine estate

Piano di Sorrento

Piano di Sorrento

 

Nelle località di mare il fine settimana è tanto atteso, quanto temuto, per le orde di bagnanti che sciamano dalla stazione ferroviaria riversandosi sulle spiagge più accessibili. Vacanzieri in pellegrinaggio, in cerca di un po’ di refrigerio, trascinano in borsoni e borse termiche l’ansia di trascorrere una giornata diversa, una  vacanza al mare. Gli indigeni li guardano con un po’ di diffidenza perché invadono con risa e passi rumorosi il loro territorio. I bambini, tenuti per mano,stanchi e incuriositi avanzano con passetti ravvicinati, i più piccoli sono sballottati in passeggini stracarichi e abilmente manovrati sui basoli sconnessi, i più grandi anticipano festosi la carovana dei familiari. I giovanotti in canotta e calzoncini baldanzosi annunciano il loro arrivo, tenendo per mano ragazzine graziose, acerbe miss dall’aria un po’ vissuta. Una folla chiassosa riempie le stradine che portano al mare finché al belvedere il cielo turchese sconfinante nelle acque, di una sfumatura più scura al largo, riempie gli occhi come un miraggio. Lo stupore di fronte a quella visione fa calare un religioso silenzio che dà voce soltanto a un paesaggio naturale che leva il fiato, anche se solo per qualche breve minuto.

 

Viste dall’ alto le asciugamani disseminate in modo disordinato sulla spiaggia pubblica contrastano con le file di sdraio e ombrelloni ben allineati e tutti uguali dello stabilimento vicino. Sulla battigia pullulano bambini e ragazzi intenti a giocare, con l’entusiasmo di chi ha desiderato a lungo il mare o non ne ha dimestichezza ed è riuscito a lasciare lontani, nell’ afa e nell’ aria polverosa dell’entroterra, la miseria, il degrado, la mancanza di svago. Il divertimento, tanto atteso e spontaneo, li riscatta da una sorta di relegazione forzata in quell’ unico lembo sabbioso di spiaggia pubblica, brulicante di trilli di gioia e richiami urlati da matrone.

Dall’ altra parte musica diffusa dall’impianto stereo dello stabilimento fa da sottofondo ad analoghi strepiti di bambini capricciosi, intenti a divertirsi con giochi a pagamento, come se stessero al luna park, e alle animate conversazioni di dame in costumi impietosi o in parei griffati sotto l’ombrellone. Uomini rilassati passeggiano sul bagnasciuga o cercano di riposare sulle sdraio e sui lettini, fingendo di dormire e sbirciando dietro occhiali da sole.

A quanto pare, c’è meno gente rispetto agli anni scorsi, ma a me sembra tanta e sorridente, oltre che più serena ed abbronzata. Un generale viavai sulla riva, più gente in acqua, più venditori ambulanti ai quali la solita signora, all’ennesimo tentativo di offerta di monili, fasce e fermagli per capelli, scaccia fantasmi di vetro, pareo e ventagli, animaletti di legno e giocattoli da spiaggia, declina prontamente l’invito ad osservare la mercanzia con un garbato quanto cinico “No grazie, non mi serve nulla, non li uso. Sto ‘nguaiata” ( nei guai, malmessa).

Piano di Sorrento

Piano di Sorrento

 

Un caldo torrido è l’ideale per bere e sudare, sudare e bere e rinfrescarsi più spesso. La piccola scogliera è la postazione privilegiata delle donne che, appollaiate, mettono le gambe a mollo nell’ acqua e nel frattempo chiacchierano e tengono d’occhio qualche pargolo nello specchio d’acqua antistante. I ragazzini giocano a tuffarsi dalla parte esterna o sperano di pescare qualcosa. A stento trovo un varco per accedere al mare, cercando di non dare fastidio ai bagnanti schierati in pole position per guadagnarsi un refolo di brezza e un’ottima visuale. A nuoto mi allontano dalla folla,dalla ressa, dagli amici. Al largo osservo quel brulichio di bagnanti immersi a mezzo busto nell’ acqua quasi per sacre abluzioni, come nel Gange. Altri sembrano granchietti che si rincorrono sul lido.

 

Forse è il caldo afoso o il rilassamento delle vacanze, sta di fatto che, mentre mi riavvicino alla riva e guardo in su l’alto costone roccioso a picco sul mare, sguazzando pigramente a mo’ di papera, provo un senso di pace, un’insolita calma in una movimentata giornata di fine estate.

Forse è la magia di questi luoghi e delle acque limpide, o la malinconia che precede il distacco e la fine dell’estate. Lo ammetto: non risalirei più… e non solo dalle acque.

 

Torta caprese

È una torta molto semplice che si puó fare nella variante al limone sostituendo al cioccolato scuro quello bianco,  la buccia grattugiata di 3 limoni oppure la buccia di 2 limoni e un po’di limoncello (4 cucchiai)

 

  Ingredienti

 250 g di zucchero

 

250 g di mandorle

 

250g di cioccolato fondente

 

200 g di burro

 

5 uova

 

20 biscotti “Maria” (biscotti semplici tipo Novellini, poco dolci)

 

1 bustina di lievito per dolci

 

 Esecuzione

 1. Tritare e mescolare le mandorle spellate, i biscotti e il cioccolato fondente.

 

2.  Sbattere a parte le uova ,versarle sui precedenti ingredienti e mescolare.

 

3.  Amalgamare a parte lo zucchero e il  burro ammorbidito e aggiungere al composto.

 

4. Versare la bustina di lievito.

 

5 .Imburrare e infarinare una teglia

 

6. Infornare a 180 ° per 40 minuti circa.

 

Controllare la cottura con uno stuzzicadenti che dovrebbe risultare  asciutto una volta estratto dalla torta.

 

7. Lasciare raffreddare la torta.

 

8. Rovesciare la torta su un piatto per estrarla dalla teglia e spolverizzare con zucchero a velo.

 

L’acquazzone-Corrado Govoni

L’acquazzone

Di nubi grigie a un tratto il ciel fu sporco;

e il tuono brontolò con voce d’orco.

Si cacciò avanti, lungo lo stradone,
carta foglie ed uccelli. il polverone.
Si udirono richiami disperati, 
tonfi d’imposte e d’usci sbatacchiati.
Si videro donne lottare in un prato
con gli angeli impauriti del bucato.
Poi seminò la pioggia a piene mani
tetti e vie di danzanti tulipani;
tagliò il paesaggio, illividì ogni cosa 
in un polverio d’acqua luminosa.

Quando si stava inebetiti e fissi
come sull’orlo d’infuocati abissi
dove il mondo pareva andar sommerso:
il cielo sulle case era già terso,
e nei vetri appannati del tinello
risorrise il paese ad acquarello:
sulla campagna dolcemente crespa
ronzò la chiesa d’oro come vespa.

Non rimaneva dell’orrendo schianto
che il gocciare di musicale pianto
della gronda, già buono già tranquillo:
lo raccolse morente il bruno grillo.
Coi tamburini gracili di pelle
le rane lo portarono alle stelle.

Corrado Govoni

Villa Pollio Felice

villa pollio felice

 

Il Capo di Sorrento, che chiude a ovest la baia di Sorrento, è sede di uno dei siti archeologici più importanti dell’intera penisola sorrentina. Qui  sono ben visibili i resti di un’antica villa romana, detta di Pollio Felice, appartenente ad una nobile famiglia di Pozzuoli. Infatti anticamente i patrizi romani amavano villeggiare lungo la costa, ove sono evidenti le tracce del loro soggiorno e delle loro abitazioni che non a caso sorgevano nei luoghi più panoramici e belli .

La villa, risalente al I sec a. C. raggiungibile attraverso un sentiero pedonale o via mare, in effetti sarebbe la villa marittima. Domus e villa  a mare coprivano circa trentamila metri quadri di estensione. La domus vera e propria si troverebbe nella parte alta del promontorio  in località Puolo, da quanto emerso dagli studi più recenti dell’archeologo Mario Russo  (“La villa romana del Capo di Sorrento con i fondi agricoli acquistati dal Comune” della collana “Sud – Immagini e Memoria).. Probabilmente la villa era strutturata su due piani su una pianta di 20m  per 10m, da come la descrive anche il poeta Publio Papinio Stazio in due carmi delle Silvae. Comprendeva  sale di ricevimento, alloggi patronali, per gli ospiti e la servitù, bagni termali, magazzini, cucine e ninfei. Di questa domus non è rimasto quasi nulla se non resti di muri di sostegno e capienti cisterne che servivano ad irrigare le coltivazioni circostanti, perlopiù vigneti, dislocate su terrazzamenti.

Pare che le stesse ninfe marine di notte salissero dal mare per rubare dolci grappoli d’uva.

regina giovanna sorrento

La villa marittima invece sorgeva sulla punta del promontorio ed era collegata alla domus da scale e terrazze. Aveva il suo approdo a mare, peschiere dove si allevava pesce per i banchetti e un ninfeo che si trovava in una conca d’acqua marina interna cui si accede da una fenditura della roccia che forma un arco naturale e oggi noto come bagni della regina Giovanna.

Si narra che qui la regina Giovanna II d’Angiò Durazzo ,che governò Napoli tra il XIV e XV sec, fosse solita immergersi  e uccidere  gli amanti.

 Chissà se i bagnanti della foto sono al corrente che sulla scogliera ove lucertolano d’estate, nelle notti di plenilunio compaiono due spettri, di una donna di bianco vestita che corre  inseguita da un tenebroso cavaliere, su cavallo nero, che però non riesce a raggiungerla.

 

Carnevale della Letteratura #3 – La notte

notte

 

E voilà è arrivato settembre con quell’inconfondibile luce che rende più brillante il verde e  trasparenti le acque e nella prima fresca aria notturna è arrivata a buon fine   la terza edizione del Carnevale della Letteratura avente come  tema  la Notte.

La notte, che da sempre incanta, affascina, appassiona e spaventa. Nel silenzio della notte sembrano emergere in maniera accentuata, più sentita e vissuta,  l’anima razionale ed irrazionale dell’uomo, a volte assorto e concentrato nei propri pensieri, a volte  libero di rincorrere sogni e passioni. La buia notte distoglie dal superfluo, induce  a scrutare e a esplorare  sentieri invisibili, a volte imperscrutabili, e nella sua silenziosa presenza ascolta, custodisce, ispira, guida, rivela indistintamente a tutti ad ogni età e nelle varie fasi della vita.

Tutti i partecipanti a questo Carnevale ci regalano frammenti delle loro notti, a volte tenere e nostalgiche, a volte briose e frizzanti, affascinanti e consolatorie, magiche e misteriose…

Io e Skip vi accompagniamo in punta di piedi nelle tante notti svelate dai nostri amici che  vogliamo ringraziare per avere reso così varia e  luminosa questa iniziativa.

 

Carnevale della Letteratura –terza Edizione

“Non si può toccare l’alba se non si sono percorsi i sentieri della notte.”

(Kahlil Gibran)

Mediterraneo

Iniziamo con   Marisa Bergamasco, che dall’Argentina  cura il blog Cocina y Letras ove riesce abilmente a fondere letteratura e arte culinaria, mescolando  la  nostalgia per l’Italia con i sapori  della buona cucina. Ci propone La notte e le donne più belle d’Italia, un racconto originale e spontaneo come gli affetti più cari associati a notti diverse che, nella loro luce e vicinanza, riescono ad annullare ogni distanza di spazio e di tempo.

“Pochi anni fa, quando telefonavo a mia madre da uno dei tanti posti in cui mi sono trasferita, le chiedevo che guardasse di notte “le tre Marie” (le tre stelle della cintura di Orione, quelle che nel mondo boreale vengono chiamate “I tre re”). A casa di mia madre se ne trovano sopra il serbatoio dell’acqua potabile che a sua volta si trova sopra il tetto della sua camera. Io le cercavo ovunque ci sia stato il mio cielo, e a quel punto, pensare l’una all’altra era il nostro modo casereccio per esorcizzare la lontananza.”

Un mix poetico, delicatamente genuino come la sorpresa finale, molto gradita da Skip e ancor più da me.  😉

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“La notte illuminata dal chiaro di luna è una delle ambientazioni più comuni e suggestive che si possono ritrovare in ambito sia letterario che musicale” è l’incipit del  post “Il chiaro di luna tra musica e letteratura” del giovane  Leonardo Petrillo, esperto di musica e scienze, che sul Tamburo Riparato ci delizia con un’ armonia  di composizioni musicali e letterarie.

“Sempre nell’atto V, Shakespeare immette un’emblematica riflessione relativamente alla musica: L’uomo, nel cui cuore la musica è senza eco, o l’uomo, che non si commuove ad  un bell’ accordo di suoni, è capace di tutto: di tradire, di ferire, di rubare e i moti del suo spirito sono foschi quanto la notte e le sue passioni nere quanto l’inferno. Non ti fidar di lui, ascolta la musica.”

E noi accogliamo volentieri l’invito leggendo e ascoltando il post di Leonardo, magari durante  una notte romantica, e il futurista Marinetti ci scuserà se non abbiamo ancora ucciso il chiaro di luna   😉

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E ora destiamoci  e spalanchiamo bene gli occhi, lasciandoci guidare dall’eclettica  Annarita Ruberto, la professoressa del web, esperta di matematica, fisica,  scienze e astronomia di cui scrive su Scientificando e Matem@ticamente, oltre che pubblicista di articoli scientifici sulla rivista  “Scuola & Didattica”.  Questa volta  sul blog Web 2.0 and Something  ci offre due componimenti poetici.

 Immersa  nella volta celeste contempla la Notte che

 “Pietosa signora

doni ali a pensieri.

Offri asilo ai desideri

Che vagano stranieri”

Una notte che, inquieta, ispira e nutre talenti.

 Annarita però non può non subire il fascino degli astri  e lo traduce in versi in   “ Le stelle” che  rischiarano le strade del cielo, dell’uomo  e delle varie civiltà e da sempre racchiudono nella loro magica polvere il mistero dell’universo.

 

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“Quella notte” , lettori,  che notte! Una notte tutta  da scoprire su Il Gloglottatore  , che lascia ampio spazio all’immaginazione e alla libera interpretazione.  Bernardo R., l’autore, è anche uno degli ideatori  del Carnevale della Letteratura  e  gloglotta convinto  che il mondo umanistico può amalgamarsi con quello scientifico o di altre arti e campi dell’ingegno umano. Infatti ci ha contagiati e convinti,  speriamo di esserlo sempre in  più.  Qui trovate i temi delle varie edizioni del Carnevale.

 

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Seguiamo adesso  Margherita Spanedda  che cura i blog  Un po’ di chimica e Il gatto a righe.  Nelle “Stelle”  racconta  una di quelle notti  pungenti che riescono a parlare  all’anima tra presente e passato, tra le  luci e  le ombre della vita di Maria. “…le  ombre dei suoi pensieri, dei suoi desideri, diventate improvvisamente solide , palpabili” riemergono da uno spazio vissuto e divenuto  troppo stretto e respirano in quello della memoria  e nell’ infinito  universo ove ricongiungersi alla luce di quelle stelle che attraversano la nostra vita come comete…

Altro contributo  di Margherita è il post  “La Dea” che nel suo splendore   affascina   gli uomini sin dalla notte dei tempi, incanta regalando un senso di infantile stupore a una nostra lontana progenitrice   che non può ancora intuirne  i misteri  nel ritmo del tempo e nella ciclicità della natura.

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“La luna spuntando dietro la cresta dei Ronchi, fece la sua comparsa nel cielo stellato e limpido e si mise all’opera per completare l’impresa iniziata dall’acqua. Con la sua straordinaria forza di gravità capace di alzare e abbassare le acque dei mari e degli oceani, come una misteriosa alchimia, mescolò le molecole dell’acqua con le vitamine della cornola dando così origine a una nuova forma di vita sconosciuta sulla terra.” Chi nacque? Il Sanguanello, un folletto dispettoso e burlone che è ricomparso  dalle leggende delle valli dell’Altopiano di Asiago  nei racconti di Fiorella Lorenzi insieme a “L’Anguana del Cion” .Tra suggestive descrizioni e un’apparente semplicità narrativa personaggi reali ed immaginari dei monti e dei boschi fanno decollare la fantasia nella semplice, quasi fiabesca,  atmosfera di un mondo rurale di altri tempi. Io e Skip ringraziamo anche Silvano Bottaro, alias Novalis, che ha pubblicato il post di Fiorella nel blog Novalismi  e invitiamo la cara Fio a scrivere, scrivere e farsi leggere. Ecco l’abbiamo detto ufficialmente!

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Ora passiamo a uno dei promotori e assiduo sostenitore del Carnevale della letteratura, cioè Spartaco Mencaroni di Il Coniglio Mannaro. Chi è il Coniglio? “Il Coniglio Mannaro è quella parte di ognuno di noi che si è persa in un posto magico e guarda da lontano il nostro mondo e la sua luna. Continua a raccontare storie fantastiche e frammenti di sogni, a volte fingendo di voler tornare indietro.” Un biglietto di presentazione per un giovane scrittore, di grande creatività e sensibilità, che riesce sempre a produrre racconti suggestivi, ora  teneri e delicati, ora misteriosi e avvincenti. Spartaco ha contribuito a questa rassegna con ben tre post.

In quella pallida estate, durante una lunga notte, accadono cose per noi viventi quasi incomprensibili. “Noi ricordiamo poco. I nostri pensieri si sciolgono nella luce e, nel buio, rimangono oscuri. Il giorno è chiarissimo dolore, la notte dolcissima stempera ogni memoria e ci conforta con la sua vaga tristezza.

Ma alcune cose restano, fissate come la trama di una ragnatela su cui splendono gemme argentate e gocce di pioggia inzuppate di luna.

Avvenne quell’estate, sotto un pallido cielo, che un’improvvisa bruma assai densa ci avvolgesse subito prima dell’alba.”

Due mondi si sfiorano nell’alba, momento di passaggio  dalle tenebre alla luce, dove la dolcezza e l’amarezza insite in ogni perdita si uniscono .

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Neve sull’argine grande è invece un racconto poetico che prende spunto dall’ “Autoritratto con paesaggio”  di Matteo Pedrali e accarezza le varie sfumature dell’amore nell’alternanza di giorno e notte, delle luci e delle ombre dell’umano sentire. Questo  post è un bell’esercizio di scrittura  di  Spartaco Mencaroni  che riesce a  dipingere con descrizioni accurate e incisive.

 

Di notte accadono cose che non si possono capire, ma solo intuire. “Ma quest’inverno è 37diverso. C’è uno strano freddo, che entra nell’anima. Le giornate non sono mai del tutto luminose ed è come se la notte assediasse le ore di luce. Posso sentire le ombre, si spingono ai margini del giorno, in attesa del buio.”   Nelle Notti d’inverno si snoda una storia  avvincente che sconfina dal mondo  reale a quello immaginario  negli inesplorati meandri della mente umana,  popolati da inquietanti presenze.

E infine veniamo  a noi.  Io e Skip ci siamo un po’ persi tra notti, stelle , lune e sensazioni. 

 

bambina con gatto“Caro lettore accingiti a seguirmi  e a percorrere con calma lunghe strade  di polvere e  germogli  tracciate nella memoria dei cuori e delle menti di chi narra storie e leggende, ora nascoste  dalle  tenebre della superstizione  e della vendetta, ora illuminate dalla  dolcezza dell’amore  e dalla magia della natura.” È l’incipit di  “Non avevo mai visto occhi così verdi”. Di chi? Provate a  scoprirlo nella storia di Cecilia, presunta o vera strega bambina, Tommaso e il Gatto, personaggi reali e fantastici in una storia un po’ misteriosa.

 

“L’anima è piena di stelle cadenti (Victor Hugo) “e anche la notte di San Lorenzo che ha ispirato semplici riflessioni e una grande meraviglia di fronte a uno spettacolo che si ripete e non stanca mai.

 

“Pompei, maledetta dalla natura e benedetta dagli dei, suggestiona chiunque nei suoidomus pompei chiaroscuri, nell’eco remota che risuona dentro, nella sua  immensità costellata da vibranti fiammelle che segnano il percorso, quasi a ricordo del percorso esistenziale dell’umanità. “Qui siamo felici” è l’epitaffio più bello in memoria di una città che ha ancora tanto da dire indistintamente a tutti.”

Hic sumus felices – Le magiche Lune di Pompei è un post ove dalla storia di Pompei , esplorata in visite notturne, si approda a riflessioni che accomunano l’umanità del passato e del presente .  

In una notte d’autunno è un  breve sguardo dentro di sé per ritrovare “ l’anima bambina. La stessa che tace parole non scritte per pudore e per timore di annoiare e di ferirsi. La stessa che ora si lascia decantare e si placa  nell’ abbraccio  di una morbida notte  d’autunno.” 

serena notte

Siamo quasi  arrivati alla conclusione del Carnevale  e io e Skip ringraziamo tutti i partecipanti e i lettori per avere seguito questa luuuuuuuuuunga rassegna.Ricordiamo che la quarta edizione del Carnevale della Letteratura sarà ospitato su Scienza e Musica di Leonardo Petrillo che ha scelto come  tema “ il tempo”. Potrete segnalare i link di vostri  post inerenti il tempo entro la fine di settembre .

 

Ora ci congediamo  lentamente e vi regaliamo un ultimo e splendido omaggio di Fernando Pessoa alla Signora  che, nelle sue mille sfumature ,  ci ha ispirati e guidati perché “La notte non è meno meravigliosa del giorno, non è meno divina; di notte risplendono luminose le stelle, e si hanno rivelazioni che il giorno ignora.” ( Nikolaj Berdjaev)

tutteleluneOde alla notte

Vieni, Notte antichissima e identica,
Notte Regina nata detronizzata,
Notte internamente uguale al silenzio, Notte
con le stelle, lustrini rapidi
sul tuo vestito frangiato di Infinito.
Vieni vagamente,
vieni lievemente,
vieni sola, solenne, con le mani cadute
lungo i fianchi, vieni
e porta i lontani monti a ridosso degli alberi vicini,
fondi in un campo tuo tutti i campi che vedo,
fai della montagna un solo blocco del tuo corpo,
cancella in essa tutte le differenze che vedo da lontano di giorno,
tutte le strade che la salgono,
tutti i vari alberi che la fanno verde scuro in lontananza,
tutte le case bianche che fumano fra gli alberi
e lascia solo una luce, un’altra luce e un’altra ancora,
nella distanza imprecisa e vagamente perturbatrice,
nella distanza subitamente impossibile da percorrere.
Nostra Signora
delle cose impossibili che cerchiamo invano,
dei sogni che ci visitano al crepuscolo, alla finestra,
dei propositi che ci accarezzano
sulle ampie terrazze degli alberghi cosmopoliti sul mare,
al suono europeo delle musiche e delle voci lontane e vicine,
e che ci dolgono perché sappiamo che mai li realizzeremo.
Vieni e cullaci,
vieni e consolaci,
baciaci silenziosamente sulla fronte,
cosi lievemente sulla fronte che non ci accorgiamo d’essere baciati
se non per una differenza nell’anima
e un vago singulto che parte misericordiosamente
dall’antichissimo di noi
laddove hanno radici quegli alberi di meraviglia
i cui frutti sono i sogni che culliamo e amiamo,
perché li sappiamo senza relazione con ciò che ci può
essere nella vita.
Vieni solennissima,
solennissima e colma
di una nascosta voglia di singhiozzare,
forse perché grande è l’anima e piccola è la vita,
e non tutti i gesti possono uscire dal nostro corpo,
e arriviamo solo fin dove arriva il nostro braccio
e vediamo solo fin dove vede il nostro sguardo.
Vieni, dolorosa,
Mater Dolorosa delle Angosce dei Timidi,
Turris Eburnea delle Tristezze dei Disprezzati,
fresca mano sulla fronte febbricitante degli Umili,
sapore d’acqua di fonte sulle labbra riarse degli Stanchi.
Vieni, dal fondo
dell’orizzonte livido,
vieni e strappami
dal suolo dell’angustia in cui io vegeto,
dal suolo di inquietudine e vita-di-troppo e false sensazioni
dal quale naturalmente sono spuntato.
Coglimi dal mio suolo, margherita trascurata,
e fra erbe alte margherita ombreggiata,
petalo per petalo leggi in me non so quale destino
e sfogliami per il tuo piacere,
per il tuo piacere silenzioso e fresco.
Un petalo di me lancialo verso il Nord,
dove sorgono le città di oggi il cui rumore ho amato come un corpo.
Un altro petalo di me lancialo verso il Sud
dove sono i mari e le avventure che si sognano.
Un altro petalo verso Occidente,
dove brucia incandescente tutto ciò che forse è il futuro,
e ci sono rumori di grandi macchine e grandi deserti rocciosi
dove le anime inselvatichiscono e la morale non arriva.
E l’altro, gli altri, tutti gli altri petali
– oh occulto rintocco di campane a martello nella mia anima! –
affidali all’Oriente,
l’Oriente da cui viene tutto, il giorno e la fede,
l’Oriente pomposo e fanatico e caldo,
l’Oriente eccessivo che io non vedrò mai,
l’Oriente buddhista, bramanico, scintoista,
l’Oriente che è tutto quanto noi non abbiamo,
tutto quanto noi non siamo,
l’Oriente dove – chissà – forse ancor oggi vive Cristo,
dove forse Dio esiste corporalmente imperando su tutto…
Vieni sopra i mari,
sopra i mari maggiori,
sopra il mare dagli orizzonti incerti,
vieni e passa la mano sul suo dorso ferino,
e calmalo misteriosamente,
o domatrice ipnotica delle cose brulicanti!
Vieni, premurosa,
vieni, materna,
in punta di piedi, infermiera antichissima che ti sedesti
al capezzale degli dei delle fedi ormai perdute,
e che vedesti nascere Geova e Giove,
e sorridesti perché per te tutto è falso, salvo la tenebra e il silenzio,
e il grande Spazio Misterioso al di la di essi… Vieni, Notte silenziosa ed estatica,
avvolgi nel tuo mantello leggero
il mio cuore… Serenamente, come una brezza nella sera lenta,
tranquillamente, come un gesto materno che rassicura,
con le stelle che brillano (o Travestita dell’Oltre!),
polvere di oro sui tuoi capelli neri,
e la luna calante, maschera misteriosa sul tuo volto.
Tutti i suoni suonano in un altro modo quando tu giungi
Quando tu entri ogni voce si abbassa
Nessuno ti vede entrare
Nessuno si accorge di quando sei entrata,
se non all’improvviso, nel vedere che tutto si raccoglie,
che tutto perde i contorni e i colori,
e che nel cielo alto, ancora chiaramente azzurro e bianco all’orizzonte,
già falce nitida, o circolo giallastro, o mero diffuso biancore, la luna comincia il suo giorno.

Fernando Pessoa

 

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