La casa

Scrissi questo post il 10 aprile 2009, nel giorno del mio compleanno, per i terremotati dell’Aquila pensando  tanto a una casa, punto di riferimento della mia vita tra le tante che ho abitato, strattonata dal  terremoto del 1980.

Oggi ripubblico questo post per tutti coloro che hanno vissuto e vivono ancora  gli effetti devastanti dei terremoti e delle alluvioni perché non siano dimenticati e trovino la forza di ricostruire, in tanti sensi.

 “Mai come quest’anno la Passione è tangibile negli sguardi che rivelano sgomento, muto dolore, disorientamento, fragilità emotiva, sofferenza dell’anima. Difficile recuperare quando si resta colpiti negli affetti e nelle radici più profonde, quando si perdono i punti di riferimento della propria storia personale, del senso di appartenenza collettiva, sia sociale che culturale. Tutto sembra ruotare intorno a quei feretri di pietre che svelano spudoratamente mobili rotti, piccole cose a ricordo di chi ha vissuto tra quelle mura, ormai violate e annientate.

Se i muri delle case potessero parlare, narrare saghe familiari,vicende personali, le tante passioni che vi hanno dato vita con amori, nascite, cambiamenti, abbandoni. La casa raccoglie il tempo vissuto. Nelle sue fondamenta e nei  muri portanti affondano le nostre radici. La casa non ruba mai. Nasconde nel perpetuarsi di generazioni la ciclicità delle stagioni della vita. Non importa se sia grande o piccola, modesta o lussuosa. È la casa. La casa che offre rifugio e sicurezza. Un punto di partenza e di approdo, quasi un padre adottivo che vincola, orienta, accoglie comunque. Si affaccia sulle strade di vite diverse, scalda cuori, culla sogni, speranze e riposi.

 Quando crolla una casa si perde parte di sè, di quel tempo trascorso, costato fatica, fede, gioia, entusiasmo e conquiste. È un lutto di radici, perdita di un qualcosa che appartiene più di quanto si creda e di cui ci si accorge quando non si possiede più. Con essa si perde una certezza, un testimone silenzioso della propria interiorità perché non è   solo un recinto di quattro mura, ma uno specchio dell’anima e della propria quotidianità,  visibili a chi ci si proietta dentro. Le sue voci e rumori accompagnano, la sua violazione ferisce come un’intima violenza, il suo danneggiamento è un’amputazione di parte di sè, la sua distruzione è uno strappo lancinante.

 Quando si cambia casa si ricomincia di nuovo. A volte dal niente, a volte recuperando un quadro, un mobile, oggetti utili o cari per mantenere un legame col passato e ció che rappresenta. A tutto c’ é rimedio tranne che alla morte. È vero. Una casa si ricostruisce, ma la precedente, quella che rappresenta l’infanzia o fasi della vita significative, non si dimentica. Mancano i suoi odori, le sue correnti d’aria, luci e ombre, silenzi e rumori, geometrie di leggere aperture e massicce chiusure, i suoi difetti e pregi che la rendevano unica e speciale, la spazialità delle piccole cose che le davano una dimensione e un ordine a volte illogico ma funzionale, un significato comprensibile a chi la viveva.

La casa cambia quando vengono a mancare le sue persone. Cessa quell’ empatia di passi, di discreta intesa, di intima dialettica. Perde la sua voce originaria per acquisirne e ricrearne una nuova.

 Una nuova casa svelerà arcani segreti in altro modo. Sprigionerà un’altra atmosfera, un altro calore,  un’ altra semplice e sicura certezza. Sì sicura certezza: perché la casa deve essere un tempio che custodisce la sacralitá della vita e degli  affetti che danno significato all’esistenza. Non dovrebbe mai essere una tomba di lacrime e sangue, come quelle macerie che hanno unito nel dolore tutta l’Italia.”

 

Epitaffio in memoria di un frigorifero

“Dopo avere dato prova di fedeltà e devozione, resistendo a ben quattro  traslochi e ai ripetuti assalti famelici  della mia tribù , è venuto precocemente a mancare, all’ età di diciannove anni,  a causa  della violenta ma  involontaria fuoriuscita di freon da parte del collaborativo consorte che cercava di sbrinarlo. 

Lascia una famiglia affranta di surgelati, scorta di gelati , latticini e  generi alimentari , reduci della spesa di fine settimana, che sono stati prontamente evacuati. I più fortunati hanno trovato refrigerante asilo nel più capiente zio congelatore a casa dei miei,  gli altri sono finiti in pentola e in padella. 

A lui un sentito grazie per i servigi resi  soprattutto alla vigilia di un Capodanno di otto anni fa  quando un tecnico gli diagnosticò, nel bel mezzo dei preparativi del cenone di fine anno, un grave stato di salute e una dipartita a breve termine.Sarà  sempre ricordato nella storia della mia cucina e chissà se il suo prossimo e indispensabile sostituto potrà mai eguagliarlo (finora il record è di un frigo Bosch a casa dei miei che ha più di 40 anni). 

Si dispensa il  servizievole consorte dai sensi di colpa , ma urge  rottamazione e immediato  nuovo acquisto.” 

Post ironico di anni fa . Come rimpiango il mio vecchio frigo e il suo sostituto e molto capiente frigo combinato. Comunque gli elettrodomestici di una volta duravano di più, forse si usavano anche meno. Chissà! Per esempio penso alla lavatrice. E voi vi ricordate qualche aneddoto a riguardo?