Cimitero Acattolico di Roma: quando la bellezza nobilita la morte

Il Testaccio è un colle che probabilmente deriva il suo nome dal latino “testa”, cioè anfora, perché si formò con l’accumulo dei cocci di anfore contenenti vino e olio e provenienti dal porto di Roma. Nel quartiere del Testaccio, vicino a Porta San Paolo, si trova un’oasi di pace eterna e serenità, cioè  il Cimitero acattolico ove riposano inglesi, tedeschi, americani, scandinavi, russi, greci, orientali, africani  ma anche italiani.  

Tanti sono i nomi che lo designarono: cimitero inglese, protestante, poi  dal 1921 in senso lato degli acattolici, ma anche degli artisti e dei poeti.
È “una mescolanza di lacrime e sorrisi, di pietre e di fiori, di cipressi in lutto e di cielo luminoso, che ci dà l’impressione di volgere uno sguardo alla morte dal lato più felice della tomba…”

(Henry James,1873)

 

Lunga è la storia di questo cimitero. Secondo le leggi ecclesiastiche  dello Stato pontificio nessun acattolico poteva essere sepolto in una chiesa cattolica  o in terra benedetta; inoltre le inumazioni erano consentite solo di notte per garantire l’incolumità dei partecipanti al rito funebre  ed evitare  il furore dell’ intollerante e fanatico popolino.

L’area dell’odierno cimitero faceva parte dell’Agro romano ed era detta “ i Prati del popolo romano” che  era una zona di bagordi da osterie e di feste campestri.

 Si sa con certezza che nel 1738 vi fu sepolto uno studente venticinquenne di Oxford, di nome Langton, la cui tomba fu scoperta nei pressi della Piramide Cestia.  Circa trent’anni più tardi  anche uno studente di Hannover vi trovò sepoltura perché, come riferito al papa, amava Roma e aveva espresso il desiderio di riposare presso la suggestiva Piramide di Caio Cestio. Così il papa fondò il cimitero.

Agli inizi dell’800 il ministro di Prussia presso la Santa Sede, Guglielmo Von Humboldt, ottenne la proprietà di un pezzo di terra ove seppellire due figli morti prematuramente. A inizio ‘800 però le tombe sorgevano in piena campagna tra greggi, agrifogli, fiori di campo, ed erano esposte al rischio di profanazione da parte di ubriachi e fanatici che così vendicavano l’espropriazione dei Prati romani. Ciò indusse  nel 1817 i diplomatici della Prussia, dell’Hannover e della Russia  a rivolgersi al cardinale Consalvi, segretario dello Stato pontificio, per poter recingere a proprie spese il cimitero. Soltanto quattro anni più tardi, dopo ulteriori sollecitazioni anche da parte di un principe danese e del Parlamento inglese, il cardinale provvide e concesse quella parte, detta zona antica, vicina alla piramide Cestia, ma vietò di piantare nuovi alberi. 

Nel 1894 l’Ambasciata di Germania acquistò 4300 mq in aggiunta all’area cimiteriale esistente, e la suddivise  in tre zone che si snodano in salita fino alle mura Aureliane tra cespugli, cipressi e tanti ciuffi di violette bianche e lilla che crescono spontaneamente. In  alto, lungo le mura, si scorgono iscrizioni di marmo con i nomi dei defunti perché fino al 1870 furono vietate epigrafi e croci con riferimenti alla beatitudine eterna in quanto per le autorità ecclesiastiche non poteva esserci salvezza per i non cattolici.

Dal 1822 il cimitero fu curato dal guardiano della Piramide, più tardi dai suoi discendenti e si iniziò ad inumare i defunti nella zona nuova. Il cimitero resistette ai combattimenti del 1849, alle cannonate del 1857 e ai bombardamenti della II Guerra Mondiale. 

Circa quattromila persone di tutte il mondo riposano in questo giardino; di alcuni non si conosce l’identità in quanto è andato perso l’Archivio in tempo di guerra. Vi sono  intellettuali, artisti, letterati, diplomatici, principi e nobili di varia provenienza e di fede diversa dalla cattolica o atei. Basti ricordare Keats e Shilley  le cui tombe sono meta di tantissimi turisti inglesi. 

Keats morì a Roma all’età di 26 anni e riposa accanto all’amico pittore Joseph Severn. Sulla lapide si legge:

“ Questa tomba contiene i resti mortali di un GIOVANE POETA INGLESE che, sul letto di morte, nell’amarezza del suo cuore, di fronte al potere maligno dei suoi nemici, volle che fossero incise queste parole sulla sua lapide: “Qui giace uno il cui nome fu scritto sull’acqua” Poco distante, una lastra marmorea, in risposta a questa frase mostra l’acronimo: Keats! Se il tuo caro nome fu scritto sull’acqua, ogni goccia è caduta dal volto di chi ti piange.”

 

 Shelley, morto a 29 anni  in un naufragio al largo della costa toscana, è in alto, sotto un torrione delle mura Aureliane. Una lastra custodisce le ceneri con la scritta “Cor cordium”(cuore di tutti i cuori”) e i versi della Tempesta di Shakespeare. 

Un angelo accoglie  dalle acque del Tevere Rosa Bathurst, una ragazza di sedici anni, ammirata per la sua bellezza, intelligenza e fascino. Nel 1824 il fiume la trascinò via mentre cavalcava con amici. La sua tragica fine scioccò Roma, anche perché  suo padre, giovane diplomatico inglese, era già scomparso durante una missione a Vienna.

 

Tra i tanti , quali il figlio di Goethe, il poeta della Beat generation Gregory Corso, la stilista Irene Galitzine, l’attrice Belinda Lee, il commodoro ed esploratore americano Thomas Jefferson Page la cui tomba è opera di Ximenes,ecc… si ricordi anche Naghdi Mohammed Hossein diplomatico iraniano e leader della Resistenza, ucciso a Roma nel 1993.

 

Nel cimitero acattolico ci sono anche italiani: Antonio Labriola, Carlo Emilio Gadda, Dario Bellezza, Luce Eramo, Bruno Pontecorvo,  Amelia Rosselli, i figli di Marconi, l’eroe risorgimentale Gavazzi e Antonio Gramsci.

 

Di Gramsci, esiliato in vita e  in morte, Pasolini scrisse :

“Uno straccetto rosso, come quello

arrotolato al collo ai partigiani

e, presso l’urna, sul terreno cereo,

diversamente rossi, due gerani.

Lì tu stai, bandito e con dura eleganza

non cattolica, elencato tra estranei

morti: le ceneri di Gramsci…”

Qui la morte non opprime né spaventa, semmai  induce a riflettere  serenamente  mentre si passeggia tra cipressi, pini e mirti  con lo sfondo di una svettante, suggestiva e bianca Piramide. Tra ciuffi di violette bianche e lilla, che spontaneamente crescono per terra, capita di scorgere uno dei tanti gatti della Piramide che dorme sornione o che si stiracchia godendosi il sole primaverile. 

 

Quanti  sono cullati dalla Città eterna, per caso o per scelta, a volte troppo presto! Tanti sono vegliati da mute presenze che  custodiscono destini ineluttabili, segreti indicibili, innocenze cristallizzate e restano lì ad espiare il dolore o in attesa.

Uomini, donne, ragazzi e bambini di paesi e lingue diverse sono accomunati dallo stesso silenzio, lontani da ogni affanno, da ogni fama, da ogni strada. Tra gli illustri c’è anche l’ossario per i Romeni Ortodossi Apolidi e tombe comuni della chiesa Ortodossa russa destinate ai non abbienti o a coloro che ebbero una sepoltura provvisoria. Qui scompaiono i confini di età, di cultura e di origine ma si coglie una  sola, pietosa accoglienza per una comune cittadinanza .

Qui si può piangere di commozione dinanzi all’ armoniosa e struggente bellezza dell’Angelo del Dolore, scolpito dallo scultore statunitense William Wetmore Story che ha ispirato decine di copie nel mondo. Qui si può respirare un po’ di eternità alzando gli occhi verso l’Angelo  della Resurrezione che s’erge tra i cipressi  nella sua elegante solennità. Immortali emblemi della purezza del dolore  e del riscatto dalla vita terrena.