La Basilica di San Paolo fuori le Mura

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San Paolo fuori le Mura è la  chiesa più grande di Roma, dopo quella di  San Pietro, ed è una delle quattro basiliche patriarcali di Roma , eretta  fuori la città per commemorare il martirio di san Paolo laddove, secondo la tradizione, fu sepolto il santo.  Intorno al 67 d. C., alla fine del tempo di Nerone, l’Apostolo fu decapitato ad Aquas salvias e il suo corpo fu raccolto dai cristiani  che lo  portarono nella necropoli  vicina alla Via Ostiense, a 3 km di distanza dal luogo del martirio. Fu eretta sulla tomba una semplice cella memoriae che ben presto divenne una delle mete preferite  dei pellegrini del mondo occidentale.

Quando con l’editto di Costantino nel 313 d. C. terminarono le persecuzioni contro i cristiani, circa un terzo della popolazione romana aveva aderito al Cristianesimo. La Basilica di San Paolo fuori le Mura sorse quindi come cimitero per coloro che desideravano essere sepolti vicino al santo e allo stesso tempo, consacrata da Silvestro I nel 324, fu  luogo di culto e di venerazione dell’Apostolo delle genti. 

 dal web

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Ampliata nel IV secolo , divenne  un punto di riferimento per  tanti devoti,  fino a quando rimase  gravemente danneggiata  da un incendio nel 1823. Ricostruita sulle struttura preesistente  con l’utilizzo di materiali salvati dal fuoco, l’edificio è maestoso nelle tracce delle arti  paleocristiana, bizantina, gotica, rinascimentale, barocca e neoclassica. Qui si può visitare la tomba di San Paolo che con san Pietro fondò la chiesa  a Roma. Il sarcofago in  marmo grezzo dell’Apostolo è stato scoperto soltanto nel 2006 e si trova nello stesso punto in cui l’imperatore Costantino fece costruire il primo altare papale.

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Sin dai tempi di papa Gregorio II (715-731) si fa risalire la presenza di una comunità di benedettini nella basilica, che aveva l’incarico di pregare e mantenere una fiamma sempre accesa presso la tomba dell’Apostolo. L’ordine dei benedettini, riformato da Oddone di Cluny nel 936, si diffuse in tutta Europa tra il X e l’ XI secolo, fino ad avere 50000 monaci. L’abate di San Paolo fuori le Mura più famoso fu Ildebrando che , divenuto  papa col nome Gregorio VII (1073-10859),restaurò la basilica e diede origine alla riforma gregoriana. L’Abbazia esercitò un  grande potere feudale e una  grande influenza spirituale, finchè  nel 1870 subì la confisca dei beni. I monaci però non interruppero mai il loro servizio sulla tomba di san Paolo  e ritrovarono una nuova buona sorte alla fine del  XIX secolo. Oggi il chiostro e l’area museale  dell’Abbazia sono aperti al pubblico; l’antica biblioteca,  con più di 10000 volumi del XV- XVII secolo, e la moderna biblioteca, con oltre 100000 volumi, sono  accessibili soltanto a  studiosi.

san paolo

 Dopo l’incendio del luglio 1823 il papa Leone XII si rivolse al mondo intero per la ricostruzione dell’edificio, che durò circa un secolo e   impegnò principalmente l’architettò Poletti. Nel 1854 Pio IX consacrò l’insieme della basilica; più tardi ,su rielaborazione del  progetto iniziale ad opera di Virginio Vespignani, il complesso  si arricchì dell’immenso quadriportico formato da centocinquanta colonne.

 Dentro e fuori  la basilica si coglie  la solenne imponenza  della Chiesa ma allo stesso tempo la forza della fede  di San Paolo, che impugna una spada, arma del suo martirio e arma dello spirito, cioè della parola di Dio  che egli servì come  primo teologo e dottore del cristianesimo.

finestra san paolo fuori le mura

  L’interno è grandioso: misura 65 m di larghezza e circa 132 m di lunghezza, si articola in cinque navate ed è  pervaso da una luce particolare che filtra da finestre chiuse da fini placche di alabastro, dono del re Fuad I d’ Egitto. In  alto si possono ammirare i ritratti di tutti i papi della storia della Chiesa e risulta illuminato quello dell’attuale pontefice. 

mosaico abside san paolo fuori le mura

 Gli sguardi convergono verso l’enorme e sovrastante mosaico dell’abside , eseguito da maestri veneziani  che lavoravano a S. Marco a Venezia e ripresero l’iconografia della tradizione bizantina: Al centro un  Cristo benedicente, alla sua destra Paolo e Luca e alla sua sinistra Pietro e Andrea, vicino al suo piede destro un piccolo papa Onorio III, committente del mosaico, che pare quasi avvolto in un bozzolo bianco.

 Sull’altare maggiore domina il ciborio (1284)di Arnolfo di Cambio e non si può non vedere il grande candelabro pasquale , espressione dell’arte dei marmorari romani. 

acquasantiera- san paolo fuori le mura

Interessanti le cappelle laterali di Carlo Maderno; davanti a quella di San Benedetto  c’è questa, a mio parere,   splendida acquasantiera  di Galli (metà del XIX sec.) ove un diavolaccio tenta un bambino che si salva toccando l’acqua benedetta. 

All’esterno mosaici , realizzati su disegno di Filippo Agricola e Nicola Consoni (1854- 1874), decorano la parte alta della facciata:  Cristo è affiancato da Pietro e Paolo, più  sotto dall’Agnello mistico discendono quattro fiumi, cioè i quattro vangeli, che dissetano gli uomini dei quattro punti cardinali; in basso i quattro profeti Isaia, Geremia, Ezechiele e Daniele. 

particolare mosaico esterno san paolo fuori le mura

 

La porta centrale  di bronzo, incrostato d’argento e lapislazzuli, ha scene della vita di Pietro e Paolo. Sulla  destra  la Porta Santa in bronzo dorato, scolpita da Manfrini per l’Anno Santo del 2000,viene aperta solo in occasione del Giubileo.

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 Il chiostro offre ben altro respiro: opera raffinata dei marmorari romani del XII- XIII secolo è attribuito in gran parte a Nicolò di Angelo e a Pietro Vassalletto : è ornato da leggiadre colonne di marmo bianco, lisce, a spirale , a sezione ottagonale, alcune con mosaici a tessere colorate e dorate.

Dal 1980 questa basilica è stata riconosciuta dall’ UNESCO patrimonio dell’umanità . 

chiostro san paolo fuori le mura

 

statua san Paolo“Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli…Se conoscessi tutti i misteri e la scienza…E se avessi la fede così da trasportare le montagne, ma non avessi l’amore, non sono nulla”

 

San Paolo 1a Lettera ai Corinzi,13

La cosa più importante è che si continui ad agire perché i poveri contino. Ci incontreremo ancora. Ci incontreremo sempre. Ci incontreremo in tutto il mondo, in tutte le chiese, le case, le osterie. Ovunque ci siano uomini che vogliono verità e giustizia (Don Andrea Gallo)

 

È stato per cinquant’anni un prete di strada e da quaranta ha fondato la Comunità di San Benedetto al Porto di Genova. È stato un salesiano, un  missionario in Brasile, cappellano  alla nave scuola della Garaventa , riformatorio di minori. Più tardi diventò agli occhi della Curia un prete scomodo che per decenni  ha operato in Italia, soprattutto a Genova, sempre vicino ai poveri, alle prostitute, ai tossicodipendenti, agli emarginati di quelle zone ghetto dove si annidano tristi storie di degrado ma a volte può germogliare un’umana solidarietà.

Chi riesce per tutta la vita a praticare in concreto il messaggio del più grande rivoluzionario della storia , cioè Cristo, e anche a ergersi contro corrente è un uomo di  straordinario spessore e  di grande umanità , di fede e giustizia . Uomini di tal fatta sono rari, sono  un esempio di vita per tutti, per chi crede e chi non crede. Don Andrea Gallo credeva in Dio ma soprattutto nell’uomo, e ha dato una mano,  una speranza e voce agli invisibili, cioè a  uomini, donne e ragazzi, di ogni età e provenienza, spesso ignorati .

Lo ricordo con un brano tratto dal suo libro “Così in terra come in cielo”, tratto da qui .

Grazie, Don Gallo.

 

“Mi hanno rubato il prete”.

Fui rimosso dall’incarico nel 1963. La motivazione ufficiale non la conosco ancora, però sospetto abbia a che fare coi miei metodi “licenziosi”. Nel gennaio 1965 mi spedirono come viceparroco alla Chiesa del Carmine, in pieno centro storico, sotto l’Albergo dei poveri. Era un quartiere popolare, di portuali e operai, con abitazioni inagibili e un mercato rionale quasi indecente. Giravo nei vicoli, sostavo fra i banchi, passavo in edicola, discutevo col salumiere che era convinto che mi piacesse il prosciutto ma comprassi la mortadella perché ero tirchio e volevo spendere meno. La zona era anche frequentata da famiglie borghesi in quanto vicinissima all’Università e al Liceo Colombo, dove nel ’68 nacque il movimento studentesco. Fu un periodo di grandi stravolgimenti: con il Concilio Vaticano II la Chiesa decideva di leggere i segni dei tempi, i giovani si impegnavano nel sociale, dibattevano sulla riforma scolastica e la guerra in Vietnam, nascevano piccole comuni, cresceva la partecipazione civile. Fu un risveglio e un contagio di idee, una primavera a tutti gli effetti. La mia parrocchia diventò un punto di riferimento, l’agape, un luogo di forte comunione e sinergia. Alla messa di mezzogiorno trattavo i temi di attualità, ero nettamente schierato al fianco degli ultimi, cominciai a tenere due leggii: da una parte il Vangelo, dall’altra il giornale. Evidentemente qualche zelante non approvava le mie omelie e avvisò la Curia. L’episodio che scatenò l’indignazione dei benpensanti fu la mia predica alla scoperta di una fumeria di hashish nel quartiere. Invece di inveire contro chi rollava qualche spinello ricordai quanto fossero diffuse e pericolose altre droghe, per esempio quella del linguaggio, talmente fuorviante che poteva tramutare “il bombardamento di popolazioni inermi” in “un’azione a difesa della libertà”. Apriti cielo.

Il parroco Don Emilio Corsi per ordini superiori dovette registrare di nascosto le mie prediche, poi mi chiese scusa, dimostrandomi tutto il suo affetto, e si rifiutò di continuare. Ma ormai la Curia aveva stabilito che promuovevo la politica e non il Vangelo e nel 1970 mi inviò un provvedimento di espulsione.

Addirittura il vescovo Chiocca telefonò a mia madre chiedendole di fare pressioni su di me affinché scegliessi “obbedienza o catastrofe”. Optai per l’obbedienza e per loro fu una catastrofe. Prima della mia partenza ci fu una sollevazione popolare inaspettata. Tutta la città reagì, tanto che della storia di questo pretino si dovettero occupare anche i quotidiani, perfino Le Monde seguì la vicenda e scrisse che “avevo il torto di essere stato fedele al Concilio.”

Le gente del quartiere inviò una lettera di protesta con 2370 firme (a cui non seguì alcuna risposta), organizzò una veglia di preghiera, occupò la chiesa per esprimere totale disapprovazione al mio allontanamento. Il 1 luglio 1970, mentre io stavo barricato in una trattoria, venni chiamato in piazza e lì trovai oltre duemila persone a manifestare. Rimasi colpito. Avevo deciso di non contestare il provvedimento, invece capitai nel bel mezzo di una mobilitazione popolare, dove il professore universitario teneva a braccetto lo spedizioniere, il fabbro la vecchietta, i figli delle prostitute alzavano i cartelli insieme ai figli dei grandi professionisti. Che commozione. Mi diedero un megafono e questo fu il mio saluto: “E’ vero, esiste un profondo dissenso fra me e la Curia, ma un dissenso di amore e di profonda, convinta ricerca della verità. La cosa più importante è che si continui ad agire perché i poveri contino. Ci incontreremo ancora. Ci incontreremo sempre. In tutto il mondo, in tutte le chiese, le case, le osterie. Ovunque ci siano uomini che vogliono verità e giustizia.

” Il 1 luglio 1970 un bambino piangeva sugli scalini della mia chiesa e quando il vigile gli chiese perché, lui rispose: “Mi hanno rubato il prete”.