Al galoppo nella storia infinita del presepe napoletano.

Durante  la dominazione spagnola a Napoli  si affermò una scuola di presepistica che iniziò a definire le regole per costruire il pastore napoletano. Il corpo, alto circa  trentacinque centimetri , era di stoppa con un’anima di filo di ferro, le mani e i piedi di legno, gli occhi di vetro, la  testa e il collo di terracotta.

Nel ‘700 si verificò un processo di laicizzazione nell’ allestimento del  presepe napoletano che rappresentava realisticamente costumi,  personaggi, paesaggi e il gusto dell’epoca e quindi sconfinò sempre più dalle  chiese e dai salotti dei nobili nelle case dei borghesi e dei più umili .  

Re Carlo di Borbone fu un appassionato di presepi e, quando nel 1759 salì al trono di Spagna, portò con sé artigiani e artisti presepiali, promuovendo la diffusione del presepe in tutta Europa. Anche re Ferdinando di Borbone  incentivò l’arte presepiale  che diede un impulso al lavoro artigianale di sarti, falegnami, orefici, fabbri, stuccatori , ramai, ricamatori, armaioli .Grazie al grande scultore G. Sammartino il presepe napoletano conquistò il riconoscimento  di vera espressione artistica.

Nell’800  iniziò il declino del presepe napoletano .Con la fuga di re  Ferdinando a Palermo e poi con la fine della Repubblica  napoletana nel 1799, molti presepi privati furono smembrati in successioni ereditarie o in  vendite, o portati in Francia. Con il rientro dei Borbone  a  Napoli, dopo il periodo francese (1806-1815), riemerse la passione per il presepe e allestimenti importanti furono realizzati nella reggia di Portici e di Capodimonte. La crisi economica dal 1822 al 1840 e l’unità  d’Italia determinarono  cambiamenti sociali, politici ed economici così, per fare fronte a difficoltà economiche , i grandi allestimenti presepiali di nobili famiglie furono venduti a pezzi, parte di essi furono ricollocati su scogli di sughero (lo scoglio è la  base che ospita la Natività ) .Via via le collezioni private risultarono incomplete e ben presto si allestirono scogli monoscenici che rappresentavano solo il gruppo della Natività, della taverna, della fontana, di angoli di case e di strade. Il presepe dell’800 si caratterizzò per la fedele riproduzione di scene di vita quotidiana e allo stesso tempo di maggiore sacralità nell’uso di tinte forti nei gruppi della Natività e nell’adorazione di pastori con mani protese verso il Salvatore .Il presepe piacque alla borghesia che curò una scenografia popolare che rispecchiava la vita delle piazze, delle case, dei cortili e delle botteghe. Anche le statuine cambiarono: a differenza di  quelle del Settecento furono realizzate totalmente con la  terracotta, più facilmente riproducibili in serie e più piccole, fino ad un minimo di 4 cm, dette moschelle. Se in origine i piccoli pastori erano collocati in lontananza , nell’800 popolarono presepi in miniatura.

Nel ‘900 decadde l’arte presepiale:  in tempo di guerra gli antichi pastori spesso furono venduti per necessità o per disinteresse sia  da privati che da preti, finendo in collezioni private. Solo alla fine degli anni ’70 si ebbe una rinascita della cultura presepiale  grazie anche al recupero  delle tradizioni natalizie e degli antichi mestieri. Si riscoprirono i pastorari di San Gregorio Armeno che pian piano hanno suscitato interesse in giovani divenuti poi grandi artisti del presepe.

 

A Eduardo direi: “Sì, mi piace il presepe” .

Mio papà dedicava un intero fine settimana per allestire il  presepe in un camino, ovviamente non funzionante . Preparava  la colla con acqua e farina, che  cospargevamo su carta da pacchi marrone cui davamo la forma di montagne, dipinte poi  con le tempere. Mi dava indicazioni per  costruire casette di cartone di varie dimensioni: le più piccole erano le più lontane. Il cielo era stellato, di quelli già pronti invece. Le montagne ostili, rigorosamente innevate, erano cosparse di agglomerati urbani surreali, illuminate da lucine interne che papà, armeggiando a lungo, riusciva a posizionare.

Ogni anno creavamo la grotta in un punto diverso dello scenario…a volte era arroccata, a volte in pianura. Un anno quei poveri Re  Magi, che spostavamo giorno per giorno, dovettero inerpicarsi tra stretti sentieri montani per raggiungerla. Povero soprattutto il cammello al seguito, che a stento ci passava e il più delle volte precipitava facendo una strage di pastori. Nel muschio affondavano greggi immensi di pecorelle di varia grandezza. Il laghetto era uno specchietto sovrappopolato di paperelle tra le quali spiccava pure un cigno gigantesco, che vi aveva sconfinato emigrando da un’altra collezione di animaletti.

Un giorno mia madre portò a casa nuove statuine: una vecchina che filava, un ciabattino, un pescivendolo col banchetto del pesce e una statuina mai vista prima di allora. La più affascinante di tutte. In verità era una coppia di personaggi: un uomo che portava un orso legato ad una fune. Sembravano due compari. L’orso, massiccio ed enorme, era in piedi e stava a fianco dell’uomo. Non ci azzeccava nel presepe ma forse, libero, poteva ambientarsi tra le montagne. Ne fui conquistata. Divenne la mia statuina preferita, quella che mettevo in bella mostra suscitando la curiosità di chi si trovava a contemplare il mio presepe.

Perchè fare un presepe è un rituale divertente per grandi e piccoli…ma è rigorosamente d’obbligo ammirarlo ed esprimere giudizi positivi, anche se è poco artistico o non si rispettano le proporzioni, non per altro per riverire  la fatica sostenuta e il suo intrinseco significato. 

L’allestimento di un presepe è  una vera e propria arte, molto viva a Napoli.Ogni anno mi piace visitare quelli permanenti dei Musei  ( merita di essere visitata la sezione presepiale del museo di San Martino , oppure all’entrata della chiesa di  Santa Chiara) o allestiti temporaneamente nelle chiese o nelle varie mostre della città che espongono pezzi di collezioni private. Molto originali quelli in miniatura o di terracotta protetti da bacheche e campane di vetro, incisi  con abile e creativa maestria. Quando posso, visito la via dei presepi a San Gregorio Armeno, nel centro storico di Napoli. Qui ci sono solo  botteghe artigianali rinomate per l’assortimento di  statuine che  rappresentano sia i personaggi tradizionali, sia quelli profani( pare che quest’anno siano molto richiesti (Steve Jobs, Monti, il principe  William e la consorte Kate ). Mi incanto a vedere le sfaselle (ceste) in miniatura piene di ortaggi e frutta, i cesti ricolmi di uova o formaggi, le cassettine dei pesci, polpi, crostacei e frutti di mare,  le ‘nserte (trecce) di pomodorini e  cipolle, i meloni di Natale  in rete che adornano le facciate delle tipiche case napoletane riprodotte nei presepi, le botteghe del fruttivendolo, del fabbro, del  fornaio e del vinaio, le  stalle con armenti e pecore. 

Nel presepe napoletano, gli elementi fisici e antropici dei paesaggi hanno una collocazione talvolta non  casuale ed assumono un significato simbolico. Per esempio i venditori rappresentano i dodici mesi dell’anno (il macellaio o salumiere rappresentano gennaio, il venditore di ricotta e formaggio febbraio, il  pollivendolo marzo, il venditore di uova aprile, la venditrice di  ciliegie maggio, il panettiere giugno, il venditore di pomodori luglio e quello di cocomeri agosto, il contadino settembre, il vinaio ottobre, il venditore di castagne novembre, il pescivendolo dicembre).

Il presepe è un connubio di sacro e profano, espressione di rigorosa progettualità spaziale e creatività  nella celebrazione costante di vita e morte (l’acqua del fiume e del pozzo assumono duplici significato, il ponte), del regno dei cieli (pescatore), della terra (cacciatore) e degli inferi(fiume che ricorda il traghettamento dei dannati), di realtà e immaginazione ( fontana e Benino che sogna il presepe), di eternità e tempo (le pale del mulino indicano il fluire inesorabile del tempo, il cavallo bianco  dei Magi indica l’aurora, quello rosso il mezzogiorno,e il nero la sera e la notte). Spesso La Natività è sospesa su una piccola altura, tra le schiere degli angeli e  il livello sottostante ove si muove un’umanità di popolani dalle mille smorfie e nobili compassati finemente vestiti, di umili e potenti, di gaudenti peccatori (Meretrice, Cicci Bacco col fiasco in mano) e devoti fedeli ( Stefania che si finse madre avvolgendo  una pietra nelle fasce per arrivare dal bambin Gesù e il giorno dopo la pietra fu tramutata in bambino, Santo Stefano, festeggiato il 26  Dicembre), di animali esotici e domestici.

Un popolo che coralmente avanza  verso il nuovo sole, quel Bambino che rappresenta non solo una  volontà soprannaturale, ma anche  il trionfo naturale della vita. Una vita venuta al mondo senza nulla e nonostante tutto, adorna soltanto di amore e della luce delle stelle, accolto dalla mansuetudine di un bue e di un asino, riconosciuta nel suo valore assoluto e divenuta poi un punto di riferimento per tanti. Ogni anno si rivive un po’ la magia del Natale nel suo significato di rinascita interiore forse perché, a prescindere dalla condivisione di fede, il presepe è la sintesi dell’umanità di sempre che tra arti e mestieri, stagioni, scorci di case, mari, valli e montagne, gioia e dolore (zi’ Vicienzo e zì Pascale, simboli del Carnevale e della morte), piacere e spiritualità è tutta protratta al festeggiamento della vita, quella più semplice e innocente di un bambino, sospesa tra terra e cielo, prodigio della natura o magia divina. E’ difficile definire luce e amore. Ma quel bambino ne incarna il concetto. Suscita tenerezza ed evoca la fase iniziale di un percorso, dalla quale siamo partiti tutti. 

Natale è anche questo, forse soprattutto questo: riscoperta di una dimensione che ci appartiene comunque, un richiamo a  quell’originaria  purezza d’animo che si rivive con una gioia un po’ malinconica man mano che avanzano le nostre stagioni.

Auguri di luce e serenità a tutti. Buon Natale!