“La casa de li spasse, lo puorto de li guste” nel presepe napoletano

 La taverna è uno dei tre quadri fondamentali del presepe napoletano, insieme  alla Nascita e all’Annuncio ai pastori, che per la prima volta  nel 1507 fu  introdotta dal bergamasco Pietro Belverte in un presepe per i frati di San Domenico Maggiore. Dal 1600 in poi la taverna divenne uno spazio caratterizzante il presepe, un angolo di vita quotidiana che in primo piano capta l’attenzione di chi osserva. In effetti il presepe napoletano ha riprodotto e riproduce in sé personaggi, eventi, mode contemporanee e la stessa arte gastronomica vi confluì, considerando che raggiunse l’apice nel 1700.

Già verso la metà del ‘600 il marchese di Crispano censì a Napoli circa 210 taverne dove la tradizione culinaria era ben radicata. Pare che l’ambientazione della taverna sia da ricondurre  all’Osteria del Cerriglio, di fama europea, sorta nel ‘500 e ubicata tra i banchi Nuovi e Sedile del Porto, dietro Piazza Bovio e Corso Umberto. Era  ancora molto  rinomata nel ‘700 sia per la qualità delle pietanze  e del vino, sia perché frequentata da artisti e letterati, nobili e stranieri, amanti della buona tavola che lì venivano a contatto con il popolo e le prostitute.

 

 

Giambattista  Basile scrisse che era

”La casa de li spasse

lo puorto de li guste

dove trionfa Bacco

dove se scarfa  Venere e l’allegria

dove nasce lo riso

cresce l’abballo e  bernolea lo canto

s’ammansona la pace

pampanea la quiete

dove gaude lo core

se conforta la mente

se dà sfratto a l’affanno

e s’allonga la vita pe cient’anne”

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Nella locanda del Cerriglio  il  Caravaggio fu sfregiato al viso nel 1609 durante un soggiorno a Napoli. Qui si esponevano in bella vista una gran varietà di  prodotti alimentari e ortofrutticoli, che potevano  appagare l’atavica fame e la miseria del popolo, più di recente  rappresentate da Pulcinella o dal mangiatore di maccaroni :  salsicce, uova, polli, pesci e frutti di mare, ortaggi, frutta, formaggi, ricotte.

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Oltre ad essere il regno dell’abbondanza, lo era anche della convivialità partenopea e del  divertimento perché musicanti e donne allietavano gli avventori in cerca del piacere o delle chiacchiere sui fatti della città.

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Nella taverna primeggiavano  le colorate maioliche: piatti, zuppiere, lucerne, pavimenti, piastrelle, ampia testimonianza dell’artigianato locale.

taverna con monacoIn seguito, dalla fine del XIX secolo, gli studiosi di storia, di tradizioni e di antropologia rividero la simbologia del presepe e la taverna fu quindi considerata luogo di perdizione ove regnano i vizi di gola, lussuria, gioco ed ubriachezza;  a volte vi compaiono anche un monaco ubriaco, che rappresenta la corruzione temporale della chiesa, i giocatori di carte, detti Zì Vicienzo e Zì Pascale che  hanno poteri divinatori e l’oste che diviene un personaggio demoniaco.

 

Quest’anno vi  segnalo due mostre sull’arte presepiale:

“Maestri in Mostra” presso Villa Fiorentino, Corso Italia 53 –Sorrento (Na) fino al 10 gennaio (ore 10-13 e 16-21) 

“Trentesima Mostra di Arte Presepiale”  nel Complesso Monumentale San Severo al Pendino, Via Duomo 286- Napoli fino all’8 gennaio 2016 (ore 9.00-19.00)

 

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Il presepe napoletano come porta rituale tra il mondo dei vivi e il mondo dei morti

Benevento Giacomo -maestri in mostra

 

Il presepe è la rappresentazione tangibile e visibile della tradizione, non solo come devozione per il Salvatore , ma anche come espressione di tutti i simboli del codice onirico della tradizione (quali il ponte, il pozzo, la fontana, il mulino, il fiume, l’osteria)  vissuti da personaggi tipici di leggende, credenze, superstizioni popolari in una commistione di sacro e profano, magia e religione.                              

 

Tra i personaggi del presepe napoletano c’erano figure un po’ tetre, alcune demoniache, ritenute depositarie di messaggi terrificanti e perciò, probabilmente, pian piano sono scomparse ma sopravvivono nella costante presenza del pozzo, del ponte e dell’acqua.” (da “La storia infinita del presepe napoletano: i tetri personaggi del presepe, ormai scomparsi” in skipblog.it)

Tant’è che il presepe non è mai collocato in camera da letto e viene pungitopo (1)circondato da erbe magiche, che allontanano esseri maligni, quali la mortella, il muschio, il pungitopo, il rosmarino e il vepere (arbusto spinoso detto “restina” utilizzato nelle composizioni floreali) e a fine allestimento è irrorato da  incenso. Gesti rituali che sospendono il tempo quotidiano e fanno coesistere passato e presente, demoni e santi quasi in una  funzione  che esorcizza il male e gli spiriti della morte, perciò si potrà trovare un presepe   anche nelle cripte cimiteriali.

  Napoli è simbiosi di vita e di morte, entrambe celebrate e consacrate attraverso funzioni, devozioni e rituali  che confluiscono nel radicato culto dei morti e il presepe napoletano  è una porta rituale tra il mondo dei vivi e il mondo dei morti.

natività -ulderico pinfildi

  La morte è rappresentata dalla farina, dal mulino, dagli orientali e dall’uomo sulla scala che raccoglie fichi. Nel presepe però compaiono spesso i questuante-maestri-in-mostramendicanti, i poveri, gli storpi, i ciechi che patiscono stenti, fame e privazioni nei quali prendono forma le anime “pezzentelle” (dal latino petere  che significa chiedere), anime che chiedono  ai vivi una preghiera e i vivi, in cambio di un favore, pregano per queste anime abbandonate del purgatorio che fanno da tramite tra la vita terrena e quella ultraterrena. Il limite tra la fede – tradizioni popolari e la superstizione è sottile, ma i devoti sentono più vicini a loro le anime pezzentelle di umili origini nelle quali ritrovano comuni miserie, sofferenze e solitudini. 

Anche i bambini, che da poco hanno lasciato il limbo prenatale  e sono  più vicini degli adulti al mondo infero di provenienza, sono da considerarsi creature bisognose. Le offerte di dolci e di doni alimentari ai poveri e ai bambini durante le feste natalizie in fondo sono come offerte funerarie e non  a caso i mendicanti chiedendo l’elemosina spesso dicono “refrisc ‘e ll’anime d’o priatorio oppure  facite bene ‘e ll’anime d’o priatorio”(fate bene all’anime del Purgatorio) .

maestri in mostra 1- 3a edizioneI questuanti compaiono nel presepe perché , secondo un’antica credenza napoletana, i morti vagano sulla terra dal 2 novembre al 6 gennaio, per poi tornare nell’oltretomba. Per questa ragione tanto tempo fa  in alcuni presepi  il 17 gennaio si toglievano  dalla grotta  i personaggi della Natività e vi si mettevano le figurine delle anime purganti.

Anche la costante presenza delle pecore implica un collegamento con gli inferi. Nella favola di Mamma Sirena ( vedi qui) il protagonista canta presso il  mare per  fare tornare la sorella prigioniera negli abissi. Le pecore che mangiano le perle che cadono dai capelli della fanciulla, acquistano il potere  di vaticinio riuscendo a svelare misteri e fare oracoli.  Anche nel cunto di Aniello e Anella del Basile, per effetto di un’acqua sorgiva, il protagonista diviene agnello e può  entrare in contatto col mondo sotterraneo  e acquistare capacità divinatorie. In fondo spesso nelle antiche  ninne nanne meridionali si parla di pecorelle sbranate da lupi, e la loro melodia è come quella delle lamentazioni funerarie proprio perché il sonno  indotto dalla ninna nanna è associato al sonno eterno della morte. Le pecore sono quindi o le anime dei morti dotate di poteri oracolari, o rappresentano bambini o defunti che rischiano di smarrirsi nelle tenebre degli inferi e infatti   antiche divinità dei defunti appaiono con bastoni pastorali e con la testa di cane, come custodi e guida delle anime. Secondo l’antica tradizione presepiale i due carabinieri o le sentinelle  non sarebbero altro che gli angeli carcerieri  che vigilano sulle  anime purganti rappresentate dalle prigioni.

Pietas  e culto  dei morti  sono radicati nella devozione popolare per le anime pezzentelle, praticata nel cimitero delle Fontanelle  nell’antico  quartiere della Sanità (qui) e negli ipogei , di Santa Maria delle anime del Purgatorio ad Arco in via dei Tribunali, di sant’Agostino alla Zecca  e di san Pietro ad Aram. La  schiera delle più famose anime  purganti che per lungo tempo hanno vissuto e vivono nelle credenze popolari – come ricorda il più grande esperto delle tradizioni e della cultura napoletana, cioè  Roberto De Simone -annovera  Stefania, Lucia, monache e monaci, soldati , marinai e carabinieri,  coppie di  giovani  (Mario e Renato in sant’Agostino alla Zecca, Alfonsino e Ninuccio in Santa Maria delle Anime del Purgatorio), e ancora, nel cimitero delle Fontanelle, i due sposi  dipinti nelle catacombe di San Gaudioso, Concetta la lavandaia, Zi’ Pascale ‘o lucandiere, i  quattro bambini uccisi Peppeniello, Rituccia, Antonietta e Papiluccio, il dottor Giordano e D’Ambrosio, Pascale o’ marucchino, Luciella a’ zingara, mendicanti ciechi, la  monaca  uccisa, Zì Taniello ‘o farenaro, Zì Giustina ‘a pustiera, o’ Capitano e infine  nell’ipogeo di San Pietro ad Aram la lavandaia Candida, la monaca Lucrezia, la zingara Lucia, il pescatore dai capelli rossi, marinai e soldati, i due carabinieri i giovani Marettiello e Gennariniello, i due giudici sconosciuti e la famosa – aprite bene gli occhi- Maria ‘a purpettara (Maria che cucina le polpette), un’ostessa che puniva i mariti infedeli apparendo in  sogno con polpette avvelenate che causavano dolori simili alle doglie.

anima pezzentella presepeTante anime pezzentelle, a volte lambite da fiammelle,  che sembrano darsi appuntamento   nel presepe “In conclusione, dalla frequente ricorrenza di medesimi personaggi che compaiono sia come figurine presepiali sia come immagini di defunti ritualizzati, si può individuare la presenza di un unico tessuto religioso di tipo animistico, composto da elementi archetipali che sembrerebbero riferirsi ad antiche divinità infere” (da “ il Presepe popolare napoletano” di Roberto De Simone)

Nel presepe napoletano si riproduce  anche questo mondo sommerso con il quale,  tra storia e leggende, fede e superstizione, i napoletani  si conciliano sia  per esorcizzare la paura della morte, sia  per accogliere  le anime purganti che lasciano intravedere non solo il destino dell’umanità  di sempre, ma anche una speranza di redenzione dei vivi e dei morti per scattare in avanti nella vita terrena e ultraterrena.

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Rione Sanità- le catacombe di Napoli

 

Personaggi del presepe: gli angeli e Benino

Avete mai notato nei presepi quelli che Rainer Maria Rilke definì “i quasi mortali uccelli dell’anima?” E di fatto svolazzano in gruppo, a volte vegliano solitari. Sono gli angeli, sospesi in una sorta di vortice celeste sulla Natività.

angelo

 

 

angelo gloria del padre La tradizione detta uno schema canonico sia per la posizione che per le vesti di questi personaggi del presepe. L’angelo centrale, che reca il cartiglio “Gloria in excelsis Deo” è “la Gloria del Padre” e indossa una veste giallo- dorata. Alla sua destra si colloca  l’angelo  di bianco vestito con l’incensiere in mano detto “la gloria del Figlio”. Completa la triade “la gloria dello Spirito Santo” , l’angelo di rosso vestito che suona la tromba e  rappresenta il soffio divino. A questi se ne possono aggiungere altri due con  le vesti azzurra o verde: uno con il tamburo canta l’osanna del popolo e per par condicio  l’altro, con i piatti metallici,  si cimenta nell’ osanna del re e del papa, cioè del potere politico e religioso.

Agli angeli dell’ annunzio  si collega Benino, il pastorello dormiente che non manca mai nel presepe napoletano e lo sogna.  Di regola è sopra  il gruppo della Natività: “simboleggia ilpresepe marcello aversa cammino esoterico verso la grotta, il percorso in discesa attraverso il sogno, il viaggio compiuto da un giovinetto, da una guida iniziatica, da un bambino. In base a questa raffigurazione il senso del Natale è comprensibile solo mediante un viaggio onirico effettuato con la guida di un animo visionario che sprofonda nel mondo della conoscenza. da “Il presepe popolare napoletano” di Roberto De Simone)

Alla fine del viaggio, superate le paure e  le varie tappe, questo personaggio può identificarsi nel pastore della meraviglia, presso la Natività, che accecato dalla rivelazione, non trova parole per esprimerla e si abbandona a un muto senso di stupore. 

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I Re Magi

 

 

I Re Magi

SAM_5269Durante le feste di Natale mi piace  scovare presepi nelle chiese, nelle mostre, nelle botteghe artigianali e ogni anno scopro qualcosa di nuovo nella storia infinita del presepe e dei suoi personaggi. L’arte presepiale ha un qualcosa di immortale nel suo simbolismo sia  per chi crede, sia per chi non crede. 

Quest’anno vi racconto dei  Re Magi, personaggi del presepe che incutono quasi soggezione con la loro imponente e sfarzosa regalità.

 Nella tradizione presepiale della mia famiglia i re Magi – non ricordo bene se a cavallo di cammelli o dromedari –  avevano il privilegio di essere spostati. In verità anche qualche altro personaggio veniva misteriosamente spostato, anzi abbattuto, dalla gatta che durante raid notturni cercava di accaparrarsi i rametti, faticosamente posizionati come alberi.Ogni giorno i tre Re Magi  facevano un solenne, piccolo passo per avvicinarsi  alla meta, cioè al Bambino Gesù. A volte precipitavano, perchè procedere su  montagne innevate a cavallo di dromedari o cammelli non era facile. Ma  tanto armeggiavo  sui rilievi di carta che li assestavo in un piccolo spiazzo, magari tra greggi abbarbicate, o nei pressi di una cascata. Il loro percorso era degno di un  teletrasporto impazzito: un giorno erano in alto a ponente, l’indomani  in alto a levante e man mano scendevano a valle. Alla vigilia dell’Epifania, finalmente potevano scendere dal dorso dei cammelli- dromedari e sgranchirsi le gambe. Venivano sostituiti dalle tre statuine dei Magi in adorazione, non più nomadi  ma stanziali. Questi stavano in contemplazione della radiosa Natività fino a quando il presepe non veniva smantellato. Due Magi sempre in piedi e uno sempre in ginocchio. Sicuramente non era facile essere Re Mago, riuscire a rimanere impassibilmente fermo, nonostante il turbante, il mantello e lo scrigno proteso come offerta, e a  non farsi distrarre dai vocianti pastori e dai  celestiali cori di  angeli svolazzanti che facevano a gara a chi allelujava  meglio.

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 Ma chi erano i Magi?  I Magoi erano membri di una casta sacerdotale persiana, dediti allo studio del cielo e delle stelle, discepoli di Zoroastro e custodi della sua dottrina.

“Secondo il Vangelo di Matteo, i Re Magi  partirono dall’ oriente verso occidente seguendo una Stella che annunciava la nascita del Re dei Giudei; nel “Vangelo arabo siriaco dell’Infanzia” la predizione della venuta del Messia è attribuita a Zarathustra. Quando nacque Gesù, la congiunzione di Giove e Saturno, (che avviene ogni 854 anni) e non una stella, fece sì che fosse presente una luminosità molto intensa per effetto della diffrazione. É questa la luce che porta i Re Magi a ritenere che sia nato il  Soccorritore e li conduce fino a Betlemme.

L’idea del tempo che ciclicamente si rinnova, è propria  del mazdeismo (religione della Persia preislamica),come l’attesa di un “Soccorritore divino”; in tal senso il mazdeismo si collega all’attesa messianica.” ( da  “I Re Magi tra verità e leggenda di Bruno Perchiazzi, segretario  dell’  Associazione Italiana Amici del Presepe- sezione Napoli.).

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Nel presepe i Magi sono tre e per alcuni rappresentano le tre età dell’uomo ( gioventù, maturità e vecchiaia), per altri i  popoli o i continenti  del mondo conosciuto (Europa, Asia, Africa).

I loro doni fanno riferimento alla natura umana e divina di Gesù.Gaspare è  il mago più giovane, il cui nome significa “Puro”. Dona l’incenso, anticamente usato nelle corti orientali, che rappresenta il riconoscimento e l’adorazione della natura divina di Gesù.Melchiorre, il più anziano (il cui nome significa “Luce”), porta l’oro, dono prezioso riservato ai Re. Il moro Baldassarre, il cui nome significa “ Padrone del Tempo”, dona la mirra, che era utilizzata per imbalsamare corpi e fa quindi riferimento alla natura umana del Cristo.I loro cavalli, rispettivamente bianco,rosso e nero, nelle favole campane simboleggiano l’iter del sole cioè bianco per l’aurora, rosso per il mezzogiorno, e nero per la sera e la notte. “I Re Magi, dunque,rappresentano il viaggio notturno dell’astro, che termina lì dove si congiunge con la nascita del nuovo sole bambino.D’altra parte, in senso solare va interpretata la tradizione cristiana secondo la quale essi si mossero da oriente, che è il punto di partenza del sole” ( da “Il presepe popolare napoletano” Di Roberto De Simone)

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Se i Magi rappresentavano il sole, invece la Re Magia , a volte presente nel loro corteo, rappresentava la luna. Trasportata   dagli schiavi su una portantina ,  pare fosse la fidanzata del Re moro ( altro simbolo della notte) ed era costantemente presente nel presepe del ‘700 come esotica Regina mora.

Si pensa che i Magi dovessero essere più di tre. Una leggenda narra di un quarto re, di nome Altabar che arrivò a Betlemme in ritardo e senza doni. In verità confessò che aveva con sé tre perle preziose per Gesù, ma le aveva donate una alla volta durante il viaggio, prima per fare curare un vecchio mendicante ammalato, poi per liberare una giovane donna dalle violenze di alcuni soldati ed infine per liberare un bambino che stava per essere ucciso da un soldato di Erode. A quelle parole Gesù Bambino si volse sorridente verso Altabar e Maria lo pose  tra le sue mani vuote.

 

 Interessante è la storia delle spoglie dei Re Magi, portate da Sant’Elena a Costantinopoli nel 326 , poi – così si narra- a Milano dal vescovo Eustorgio ed infine a Colonia ad opera di Federico Barbarossa che nel 1162 aveva distrutto la città lombarda. Ai milanesi rimase solo il sarcofago di pietra nella Cappella dei Magi della basilica romanica di  Sant’Eustorgio, perchè per lungo tempo non riuscirono a riavere le spoglie. Solo nel 1904 l’arcivescovo Fischer offrì alcuni resti dei Magi a Milano e dal 1962  riprese la tradizionale  processione del 6 gennaio che da San Lorenzo va fino a  Sant’Eustorgio.

 

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I microcosmi in terracotta di Marcello Aversa

Tra i tanti grandi artisti del presepe di oggi merita un’attenzione particolare il maestro Marcello Aversa di Sant’Agnello, paese della costiera sorrentina, che ha saputo trasformare l’artigianato in arte ed esportare l’antica tradizione presepiale e i suoi microcosmi in terracotta, conquistando meritatamente una fama internazionale. 

“Microcosmi in terracotta” era il titolo di una mostra delle opere di Marcello Aversa del 2007.  Da adolescente iniziò a lavorare  nell’azienda paterna, piccolo opificio che produce laterizi a Maiano (Sant’Agnello) negli anni ’80  si appassionò al  presepe napoletano del ‘700  e  curò  le prime scenografie nelle chiese della penisola sorrentina. Ben presto maturò una straordinaria abilità tecnica e sensibilità artistica riuscendo a  creare capolavori di terracotta in miniatura. Infatti Aversa modella, con  una stecca e uno spillo, piccoli personaggi, alti da  8 mm ad un massimo di 10 cm, e li  inserisce  in una scenografia, in un microcosmo di argilla che, infornato a 920 ° , si trasforma in un’opera d’arte. Con passione e dedizione ricerca la perfezione nella minuziosa  attenzione per i più piccoli particolari delle tegole delle case, delle foglie e degli animali, delle espressioni dei volti e dei risvolti di un vestito, senza trascurare l’armonia dell’insieme.

Ai presepi si affiancano scene di vita napoletana  che prendono vita in gruppi di  musici e danzatori oppure nelle rappresentazioni, sempre in terracotta, delle processioni della settimana santa tipiche della tradizione sorrentina.

 

“Maestri in mostra”: quando l’artigianato diventa arte

La terza edizione di “Maestri in mostra – il presepe napoletano a Villa Fiorentino, Sorrento”  anche quest’anno offre  una varia e splendida panoramica sull’arte presepiale.

Oltre cinquanta artisti e  maestri del presepe espongono  opere che, nel rispetto dei canoni del ‘700 e dell’800, rivelano perfezionismo tecnico, cura dei particolari, creatività e armonia d’insieme sia in gruppi presepiali o blocchi monoscenici,  sia in soggetti avulsi da un contesto presepiale e  modellati singolarmente come opera d’arte a se stante. 

  

Durante  la dominazione spagnola a Napoli  si affermò una scuola di presepistica che iniziò a definire le regole per costruire il pastore napoletano. Il corpo, alto circa  trentacinque centimetri , era di stoppa con un’anima di filo di ferro, le mani e i piedi di legno, gli occhi di vetro, la  testa e il collo di terracotta.
Ancor oggi le teste, l’una diversa dall’ altra, sono prima modellate a mano, poi  cotte secondo un particolare procedimento. La  tecnica di pittura della testa e degli arti  è lunga e complessa per poter rendere delicatamente sfumati l’incarnato e le mani della  Vergine, degli angeli e  delle nobildonne , secchi e bruni i visi e le mani  dei popolani. 

Grande cura si dà alla vestitura dei soggetti. Dopo un’attenta ricerca storica, il manichino viene ricoperto con i  costumi dell’epoca  e dei vari luoghi . Semplici e grezzi  sono i vestiti dei mendicanti e dei contadini, raffinati ed eleganti quelli di re e dei ricchi, impreziositi da ricami, rifiniture, bordini e merletti, sete e pregiate stoffe anticate. Stessa ricercata attenzione  per le calzature e gli accessori ( i gioielli, pugnali, bastoni, bisacce, grembiuli).

La caratterizzazione di alcuni personaggi, espressivi negli sguardi o nei gesti,  incuriosisce  e sorprende per ragioni diverse.

 

Le varie tipologie di minuterie, cioè piccoli oggetti in miniatura che arricchiscono cortei,  interni, botteghe (utensili di uso comune, frutta e ortaggi, pesci , strumenti musicali, fischi, ceramiche) testimoniano una cura minuziosa e attenzione per ogni minimo particolare, dettate da un’autentica passione.

 

Alcuni presepi sono miniature in scale  ridottissime, che sorprendono non poco .Tra questi le straordinarie opere di Vincenzo Garofalo che, con corallo,minerali, ametiste,quarzo,citrino,barite e  fossili marini,creano invece un’atmosfera quasi fiabesca.

 

Il gruppo dei presepisti di Sant’ Agnello,  per la prima volta, al di fuori dalla Chiesa parrocchiale  dei santi Prisco e Agnello, ha esposto un presepe di grandi dimensioni che ha la caratteristica di riprodurre fedelmente scorci di luoghi caratteristici della penisola sorrentina . In primo piano spiccano le  tre scene basilari del presepe, cioè la natività, l’annuncio e la taverna , mentre sullo sfondo si intravede la costa  napoletana fino a Procida. Lo sguardo cade sul ponte a due arcate e sui  bastioni  con la porta occidentale , detta di Massa o di S. Bacolo o della Potenza riprodotti in base a una veduta di Achille Gigante ( 1823-1846) ,che si trova nel Museo di san Martino, e a un bozzetto di  Theodore Duclere (1815-1869).

 

Quest’anno la mostra si è arricchita dell’eccezionale esposizione dei pastori del Duomo di Castellammare di Stabia, che sono una delle più suggestive testimonianze dell’arte sacra in Campania tra il ‘700 e l’800. La caratteristica di questo presepe è l’insolita dimensione dei pastori, alti tra i 90 e 140 centimetri e gli abiti settecenteschi, finemente ricamati e cuciti a mano. Essi appartengono alla collezione del vescovo stabiano Francesco Saverio Petagna, risalente a  150 anni fa, poi deterioratasi, poi ritrovata e completamente  restaurata nel 2004. 

Sotto una galleria fotografica che comunque non basta a rendere merito ai tanti e tanti capolavori esposti.

La mostra è aperta al pubblico fino al 13 gennaio 2013.

Villa Fiorentino- Corso Italia, 53- Sorrento

Ingresso gratuito.

Un evento da non perdere!

 

Al galoppo nella storia infinita del presepe napoletano.

Durante  la dominazione spagnola a Napoli  si affermò una scuola di presepistica che iniziò a definire le regole per costruire il pastore napoletano. Il corpo, alto circa  trentacinque centimetri , era di stoppa con un’anima di filo di ferro, le mani e i piedi di legno, gli occhi di vetro, la  testa e il collo di terracotta.

Nel ‘700 si verificò un processo di laicizzazione nell’ allestimento del  presepe napoletano che rappresentava realisticamente costumi,  personaggi, paesaggi e il gusto dell’epoca e quindi sconfinò sempre più dalle  chiese e dai salotti dei nobili nelle case dei borghesi e dei più umili .  

Re Carlo di Borbone fu un appassionato di presepi e, quando nel 1759 salì al trono di Spagna, portò con sé artigiani e artisti presepiali, promuovendo la diffusione del presepe in tutta Europa. Anche re Ferdinando di Borbone  incentivò l’arte presepiale  che diede un impulso al lavoro artigianale di sarti, falegnami, orefici, fabbri, stuccatori , ramai, ricamatori, armaioli .Grazie al grande scultore G. Sammartino il presepe napoletano conquistò il riconoscimento  di vera espressione artistica.

Nell’800  iniziò il declino del presepe napoletano .Con la fuga di re  Ferdinando a Palermo e poi con la fine della Repubblica  napoletana nel 1799, molti presepi privati furono smembrati in successioni ereditarie o in  vendite, o portati in Francia. Con il rientro dei Borbone  a  Napoli, dopo il periodo francese (1806-1815), riemerse la passione per il presepe e allestimenti importanti furono realizzati nella reggia di Portici e di Capodimonte. La crisi economica dal 1822 al 1840 e l’unità  d’Italia determinarono  cambiamenti sociali, politici ed economici così, per fare fronte a difficoltà economiche , i grandi allestimenti presepiali di nobili famiglie furono venduti a pezzi, parte di essi furono ricollocati su scogli di sughero (lo scoglio è la  base che ospita la Natività ) .Via via le collezioni private risultarono incomplete e ben presto si allestirono scogli monoscenici che rappresentavano solo il gruppo della Natività, della taverna, della fontana, di angoli di case e di strade. Il presepe dell’800 si caratterizzò per la fedele riproduzione di scene di vita quotidiana e allo stesso tempo di maggiore sacralità nell’uso di tinte forti nei gruppi della Natività e nell’adorazione di pastori con mani protese verso il Salvatore .Il presepe piacque alla borghesia che curò una scenografia popolare che rispecchiava la vita delle piazze, delle case, dei cortili e delle botteghe. Anche le statuine cambiarono: a differenza di  quelle del Settecento furono realizzate totalmente con la  terracotta, più facilmente riproducibili in serie e più piccole, fino ad un minimo di 4 cm, dette moschelle. Se in origine i piccoli pastori erano collocati in lontananza , nell’800 popolarono presepi in miniatura.

Nel ‘900 decadde l’arte presepiale:  in tempo di guerra gli antichi pastori spesso furono venduti per necessità o per disinteresse sia  da privati che da preti, finendo in collezioni private. Solo alla fine degli anni ’70 si ebbe una rinascita della cultura presepiale  grazie anche al recupero  delle tradizioni natalizie e degli antichi mestieri. Si riscoprirono i pastorari di San Gregorio Armeno che pian piano hanno suscitato interesse in giovani divenuti poi grandi artisti del presepe.

 

Tra i demoni di ieri e di oggi nel presepe… e non solo.

 

“Certo l’immaginario popolare napoletano è ricchissimo di aneddoti”, nota Roberto De Simone. “Si vuole che sulla Terra, nel periodo da Santa Lucia all’Epifania, oltre ai santi ci siano esseri demoniaci che si tengono lontani con l’incenso ed erbe pungenti.”

Il diavolo, simbolo del male e dell’imperfezione, apparteneva al presepe nello scenario di vita e morte, realtà e immaginazione, sacro e profano, religione e magia. Poi è scomparso insieme ad altre figure esoteriche e straordinarie cedendo il posto a derelitti, deformi e  mendicanti, riprodotti con estremo realismo nel  presepe del ‘600 . Il diavolo è il simbolo del malessere dell’anima, di una maligna forza sovrannaturale che svuota, ossessiona, acceca, immobilizza e soggioga  nel male e nel terrore.

 I demoni presenti in forma subdola nelle menti e nell’animo umano, hanno preso consistenza grazie alla maestria tecnica e alla creatività dei famosi Fratelli Scuotto che reinterpretano la tradizione in forme artistiche sempre nuove  e originali nella bottega “La Scarabattola” in via dei Tribunali, nel centro storico di Napoli.

 

Qui  pare quasi che le creature diaboliche si autocompiacciano  di essere ammirate nella loro mostruosità o ammaliante bellezza artistica, come per dire che bisogna temere ciò che è intangibile e invisibile e si insinua in forme più subdole.

Un girotondo di angeli dannati e beffardi ostenta sfacciatamente se stessa ed esula dalle figure stereotipate del presepe artigianale. Orride e fantastiche creature, a volte goffe, ambigue e  quasi ridicole, a volte sensuali, affascinanti e seducenti, spodestate dall’immaginario collettivo hanno preso forma grazie ai fratelli Scuotto. Non sembrano artefici di incubi, né di malefici, ma appaiono neutralizzate dalla loro visibilità rivelata, esorcizzate dall’ intrigante ed originale raffinatezza dell’opera d’arte.

 I demoni sono circondati  da un’umanità di sofferenti  ed esclusi,  ricreati in modo originale, vittime di pregiudizi, di imprudenza, di ingiustizie, di  paure come gli appestati, il femminiello, gli schiavi, i bambini rapiti da Maria a’ Manilonga, la suicida Mafalda, lo Zi Michele atterrito dal Lupo Mannaro. A loro si  contrappongono schiere di angeli, luminose  e dolci  Natività, e  sono arginati  dal capitone su meridiana, frazionato per  rompere la linearità del tempo con la speranza di arrestare gli eventi nefasti e rigenerare un tempo nuovo, più equo e giusto.

  

Eccone alcuni, esposti nella mostra “Tradizione in azione” del  2009.

Flagromor  è l’urlo di Satana, vive nel suo fiato e alimenta roghi blasfemi appiccati per riti pagani.

Bersyl  ha rughe incise dagli artigli del demonio per rubare la fiducia degli uomini in nome della saggezza.

 

 

 

Demorciso, plasmato da Lucifero nell’argilla, è l’immagine della vanità dell’uomo e si nasconde nei riflessi compiaciuti degli specchi. La sua esistenza è andata sparendo nell’inganno della bellezza effimera, che lo ha ridotto all’inconsistenza del suo stesso riflesso.

 

Gelfo 333, troppo curioso per scrutare nelle fiamme del male, ha scorso l’altra metà del tutto ove alberga il bene. Pertanto è stato punito da Satana che gli ha cavato un occhio.

Raptoreves: in inverno il demone bianco (nella prima foto del post) si allea con Satana per confondersi nel gelido freddo delle anime perse che hanno smarrito il calore della speranza.

A fine inverno gli subentra Lividus Gruneraptor (nella seconda foto del post), suo alter ego, che vive nelle ombre dei giorni estivi. Il demone nero segue le prede, fino al calar del sole, per trafugare i sogni dell’uomo fino a rubargli l’anima.

Questo percorso d’arte tra tradizione e contemporaneità, tracciato con genialità dai fratelli Scuotto, si riassume nella figura del Pulcibastiano,trafitto dai corni delle molteplici contraddizioni di una città dalle tante emergenze. Ha  un’espressione di sofferenza sul viso per le spine che si innestano sul suo tronco vitale. “Pulcinella è in scena come ortodossa maschera di napoletanità e anche come emblema di cambiamento.” (Salvatore Scuotto).

Esprime “Il cruento trapasso dallo stadio di superstizione a quello di super azione e martirio. Necessario dolore pagato al miracolo della rinascita urgente e inevitabile come la muta di un serpente che vuole crescere.” 

La sua visione, all’interno della sala,  mi fu  anticipata da un piccolo Pulcinella coricato sulla luna sul pozzo del cortile di San Lorenzo, uno dei  complessi conventuali più importanti del Medioevo napoletano. Abbracciato alla sua malinconia, sembrava avvilito, stanco, inerte. La luna si frapponeva alla demoniaca Maria ‘a Manilonga che dagli abissi continua nel nostro immaginario ad allungare gli artigli per rapire bambini imprudenti. La luna piena lo sostiene ancor oggi,  gli dona  un’aura quasi surreale, sospesa tra il passato, presente e futuro delle tradizioni e della cultura napoletana, che compensano una napoletanità a volte colpevole, ma il più delle volte bistrattata da altri mali. La luna indica trasformazione, crescita, rinnovamento ciclico e fa sperare che trasmetta energia a Pulcinella perché torni ad essere  burlone, scanzonato, vitale, malandrino senza dovere più vendere l’anima al diavolo del facile compromesso e dell’illecito.

Se il piccolo Pulcinella, di ieri e di oggi, crea l’attesa di una nuova risata e suscita qualche profonda emozione, significa che vive ancora in tanti. Come la voglia di rialzarsi e riscattarsi.

 

Simbolismo del presepe: luoghi e personaggi.

 

Sacro e profano, fede e superstizione, realtà ed immaginazione, costante celebrazione di vita e di morte  sono ingredienti ben amalgamati nel presepe napoletano che si apprezza non solo per la raffinata manifattura, ma anche se si comprende la  valenza simbolica dei suoi elementi e dei suoi personaggi.

 La grotta ,simbolo del grembo materno, offre riparo al Bambino, ai pastori e agli animali e segna il confine tra la nuova luce e le tenebre . Le ripide  montagne e le salite rendono arduo il cammino per raggiungere  il Salvatore, come difficile è la redenzione dal male. L’anacronistico castello, non a caso posto in alto e difeso da un soldato romano rappresenta il  potere e richiama la strage degli Innocenti, mentre la chiesa e le edicole votive esprimono la religiosità collettiva. 

Benino dormiente  è colui che s’incammina  verso la verità  e la sua capanna rappresenta una vita semplice e precaria . Il pastore adorante è arrivato alla fine del percorso e può finalmente contemplare il divino. L’acqua dei ruscelli, dei laghetti, delle fontane e dei pozzi simboleggia sia la vita che la morte, rigenera e purifica (acquaiolo e  lavandaia ),ma può anche distruggere e rapire come quella della  fontana e del pozzo che collegano col misterioso ed insidioso mondo  sotterraneo  degli Inferi (Maria Manilonga), mentre  il ponte su corsi d’acqua o tra i monti agevola il passaggio dal mondo dei vivi a quello dei morti.

 

La  taverna è un luogo di “perdizione”, ove regnano i vizi di gola, lussuria, gioco ed ubriachezza;  a volte vi compaiono anche un monaco ubriaco, che rappresenta la corruzione temporale della chiesa, e i giocatori di carte, detti Zì Vicienzo e Zì Pascale che  hanno poteri divinatori.  La varietà di  prodotti alimentari e ortofrutticoli, in bella mostra nelle botteghe o sui carretti, sono l’ abbondanza e la ricchezza della natura che può appagare l’atavica fame e la miseria del popolo spesso rappresentate da Pulcinella o dal mangiatore di maccaroni.

Gli alberi simboleggiano conoscenza, sapienza e crescita, il fuoco è energia vitale,  il mulino e la vecchia che fila la lana scandiscono il tempo che passa, la macina simboleggia morte e purezza. Anticamente nel presepe, soprattutto sulle montagne, era presente anche un diavolo , poi soppiantato dal  macellaio, dall’oste e dal barbiere  che rievocano simbolicamente il male e il sangue. I numerosi mendicanti, spesso deformi (guercio, zoppo, storpio, la contadina col gozzo,  la vedova rapata) rappresentano le anime purganti o pezzentelle che invocano preghiere di suffragio sulla terra. 

 

La zingara preannuncia profezie non sempre serene, Ciccibacco ‘ncopp’a votte (Cicci Bacco sulla botte), su un carro simboleggia Dioniso, accompagnato da pastori e caprai, è l’umanità gaudente e festosa, la vecchia che dà mangime alle galline è il simbolo di Demetra che nutre Kore, Core cuntento ‘a loggia (Cuor contento sulla loggia) è l’allegria, la donna col bambino, cioè Stefania, rappresenta la maternità.

Gli animali hanno molti significati: il cane rappresenta la  fedeltà e la promiscuità, la gallina indica fertilità, le pecore invece la morte, il maiale sia la lussuria che la parsimonia, i pappagalli, le scimmie e gli  elefanti sono il gusto per l’esotico.

Vita e morte sono complementari nel presepe napoletano, scrigno prezioso non solo di storia, fede e tradizioni, ma anche di un’ intramontabile filosofia della vita.

 

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A Eduardo direi: “Sì, mi piace il presepe” 

A Eduardo direi: “Sì, mi piace il presepe” .

Mio papà dedicava un intero fine settimana per allestire il  presepe in un camino, ovviamente non funzionante . Preparava  la colla con acqua e farina, che  cospargevamo su carta da pacchi marrone cui davamo la forma di montagne, dipinte poi  con le tempere. Mi dava indicazioni per  costruire casette di cartone di varie dimensioni: le più piccole erano le più lontane. Il cielo era stellato, di quelli già pronti invece. Le montagne ostili, rigorosamente innevate, erano cosparse di agglomerati urbani surreali, illuminate da lucine interne che papà, armeggiando a lungo, riusciva a posizionare.

Ogni anno creavamo la grotta in un punto diverso dello scenario…a volte era arroccata, a volte in pianura. Un anno quei poveri Re  Magi, che spostavamo giorno per giorno, dovettero inerpicarsi tra stretti sentieri montani per raggiungerla. Povero soprattutto il cammello al seguito, che a stento ci passava e il più delle volte precipitava facendo una strage di pastori. Nel muschio affondavano greggi immensi di pecorelle di varia grandezza. Il laghetto era uno specchietto sovrappopolato di paperelle tra le quali spiccava pure un cigno gigantesco, che vi aveva sconfinato emigrando da un’altra collezione di animaletti.

Un giorno mia madre portò a casa nuove statuine: una vecchina che filava, un ciabattino, un pescivendolo col banchetto del pesce e una statuina mai vista prima di allora. La più affascinante di tutte. In verità era una coppia di personaggi: un uomo che portava un orso legato ad una fune. Sembravano due compari. L’orso, massiccio ed enorme, era in piedi e stava a fianco dell’uomo. Non ci azzeccava nel presepe ma forse, libero, poteva ambientarsi tra le montagne. Ne fui conquistata. Divenne la mia statuina preferita, quella che mettevo in bella mostra suscitando la curiosità di chi si trovava a contemplare il mio presepe.

Perchè fare un presepe è un rituale divertente per grandi e piccoli…ma è rigorosamente d’obbligo ammirarlo ed esprimere giudizi positivi, anche se è poco artistico o non si rispettano le proporzioni, non per altro per riverire  la fatica sostenuta e il suo intrinseco significato. 

L’allestimento di un presepe è  una vera e propria arte, molto viva a Napoli.Ogni anno mi piace visitare quelli permanenti dei Musei  ( merita di essere visitata la sezione presepiale del museo di San Martino , oppure all’entrata della chiesa di  Santa Chiara) o allestiti temporaneamente nelle chiese o nelle varie mostre della città che espongono pezzi di collezioni private. Molto originali quelli in miniatura o di terracotta protetti da bacheche e campane di vetro, incisi  con abile e creativa maestria. Quando posso, visito la via dei presepi a San Gregorio Armeno, nel centro storico di Napoli. Qui ci sono solo  botteghe artigianali rinomate per l’assortimento di  statuine che  rappresentano sia i personaggi tradizionali, sia quelli profani( pare che quest’anno siano molto richiesti (Steve Jobs, Monti, il principe  William e la consorte Kate ). Mi incanto a vedere le sfaselle (ceste) in miniatura piene di ortaggi e frutta, i cesti ricolmi di uova o formaggi, le cassettine dei pesci, polpi, crostacei e frutti di mare,  le ‘nserte (trecce) di pomodorini e  cipolle, i meloni di Natale  in rete che adornano le facciate delle tipiche case napoletane riprodotte nei presepi, le botteghe del fruttivendolo, del fabbro, del  fornaio e del vinaio, le  stalle con armenti e pecore. 

Nel presepe napoletano, gli elementi fisici e antropici dei paesaggi hanno una collocazione talvolta non  casuale ed assumono un significato simbolico. Per esempio i venditori rappresentano i dodici mesi dell’anno (il macellaio o salumiere rappresentano gennaio, il venditore di ricotta e formaggio febbraio, il  pollivendolo marzo, il venditore di uova aprile, la venditrice di  ciliegie maggio, il panettiere giugno, il venditore di pomodori luglio e quello di cocomeri agosto, il contadino settembre, il vinaio ottobre, il venditore di castagne novembre, il pescivendolo dicembre).

Il presepe è un connubio di sacro e profano, espressione di rigorosa progettualità spaziale e creatività  nella celebrazione costante di vita e morte (l’acqua del fiume e del pozzo assumono duplici significato, il ponte), del regno dei cieli (pescatore), della terra (cacciatore) e degli inferi(fiume che ricorda il traghettamento dei dannati), di realtà e immaginazione ( fontana e Benino che sogna il presepe), di eternità e tempo (le pale del mulino indicano il fluire inesorabile del tempo, il cavallo bianco  dei Magi indica l’aurora, quello rosso il mezzogiorno,e il nero la sera e la notte). Spesso La Natività è sospesa su una piccola altura, tra le schiere degli angeli e  il livello sottostante ove si muove un’umanità di popolani dalle mille smorfie e nobili compassati finemente vestiti, di umili e potenti, di gaudenti peccatori (Meretrice, Cicci Bacco col fiasco in mano) e devoti fedeli ( Stefania che si finse madre avvolgendo  una pietra nelle fasce per arrivare dal bambin Gesù e il giorno dopo la pietra fu tramutata in bambino, Santo Stefano, festeggiato il 26  Dicembre), di animali esotici e domestici.

Un popolo che coralmente avanza  verso il nuovo sole, quel Bambino che rappresenta non solo una  volontà soprannaturale, ma anche  il trionfo naturale della vita. Una vita venuta al mondo senza nulla e nonostante tutto, adorna soltanto di amore e della luce delle stelle, accolto dalla mansuetudine di un bue e di un asino, riconosciuta nel suo valore assoluto e divenuta poi un punto di riferimento per tanti. Ogni anno si rivive un po’ la magia del Natale nel suo significato di rinascita interiore forse perché, a prescindere dalla condivisione di fede, il presepe è la sintesi dell’umanità di sempre che tra arti e mestieri, stagioni, scorci di case, mari, valli e montagne, gioia e dolore (zi’ Vicienzo e zì Pascale, simboli del Carnevale e della morte), piacere e spiritualità è tutta protratta al festeggiamento della vita, quella più semplice e innocente di un bambino, sospesa tra terra e cielo, prodigio della natura o magia divina. E’ difficile definire luce e amore. Ma quel bambino ne incarna il concetto. Suscita tenerezza ed evoca la fase iniziale di un percorso, dalla quale siamo partiti tutti. 

Natale è anche questo, forse soprattutto questo: riscoperta di una dimensione che ci appartiene comunque, un richiamo a  quell’originaria  purezza d’animo che si rivive con una gioia un po’ malinconica man mano che avanzano le nostre stagioni.

Auguri di luce e serenità a tutti. Buon Natale!