Villa Pollio Felice

villa pollio felice

 

Il Capo di Sorrento, che chiude a ovest la baia di Sorrento, è sede di uno dei siti archeologici più importanti dell’intera penisola sorrentina. Qui  sono ben visibili i resti di un’antica villa romana, detta di Pollio Felice, appartenente ad una nobile famiglia di Pozzuoli. Infatti anticamente i patrizi romani amavano villeggiare lungo la costa, ove sono evidenti le tracce del loro soggiorno e delle loro abitazioni che non a caso sorgevano nei luoghi più panoramici e belli .

La villa, risalente al I sec a. C. raggiungibile attraverso un sentiero pedonale o via mare, in effetti sarebbe la villa marittima. Domus e villa  a mare coprivano circa trentamila metri quadri di estensione. La domus vera e propria si troverebbe nella parte alta del promontorio  in località Puolo, da quanto emerso dagli studi più recenti dell’archeologo Mario Russo  (“La villa romana del Capo di Sorrento con i fondi agricoli acquistati dal Comune” della collana “Sud – Immagini e Memoria).. Probabilmente la villa era strutturata su due piani su una pianta di 20m  per 10m, da come la descrive anche il poeta Publio Papinio Stazio in due carmi delle Silvae. Comprendeva  sale di ricevimento, alloggi patronali, per gli ospiti e la servitù, bagni termali, magazzini, cucine e ninfei. Di questa domus non è rimasto quasi nulla se non resti di muri di sostegno e capienti cisterne che servivano ad irrigare le coltivazioni circostanti, perlopiù vigneti, dislocate su terrazzamenti.

Pare che le stesse ninfe marine di notte salissero dal mare per rubare dolci grappoli d’uva.

regina giovanna sorrento

La villa marittima invece sorgeva sulla punta del promontorio ed era collegata alla domus da scale e terrazze. Aveva il suo approdo a mare, peschiere dove si allevava pesce per i banchetti e un ninfeo che si trovava in una conca d’acqua marina interna cui si accede da una fenditura della roccia che forma un arco naturale e oggi noto come bagni della regina Giovanna.

Si narra che qui la regina Giovanna II d’Angiò Durazzo ,che governò Napoli tra il XIV e XV sec, fosse solita immergersi  e uccidere  gli amanti.

 Chissà se i bagnanti della foto sono al corrente che sulla scogliera ove lucertolano d’estate, nelle notti di plenilunio compaiono due spettri, di una donna di bianco vestita che corre  inseguita da un tenebroso cavaliere, su cavallo nero, che però non riesce a raggiungerla.

 

Tutti al mare (seconda parte)

Forse questo articolo aiuta a capire la mia insofferenza per l’affollamento estivo , comunque bisogna pur guadagnarsi le indulgenze e imparare a sopportare e inoltre anch’io sono stata una madre costretta a rincorrere il proprio figlio pestifero sulla spiaggia visto che si buttava in acqua pur non sapendo nuotare. Degno figlio di sua madre!

Premetto inoltre  che io e i miei cugini eravamo ben felici di sottoporci all’estivo addestramento spartano…quasi para militare.

puolo

 

Ogni anno torno alla “mia” spiaggia,a quel che resta di quella spiaggia perché lì è sorto un elitario stabilimento balneare con un comodo solarium frequentato da opulenti clienti ipergriffati, quelli che ostentano status symbol, strilli e un presunto esprìt de finesse . Ormai non è più prudente nuotare da una baia all’altra a causa dei motoscafi che sfrecciano di continuo lasciando puzzolenti scie di nafta. Non  ci sono più i vecchi pescatori, non ci sono tante stelle marine ma solo conchiglie e qualche granchietto , non ho più il coraggio di addentrarmi nelle grotte marine e di mangiare frutti di mare crudi appena pescati, ma  ogni volta che torno lì , penso a quanto sono stata fortunata .
Quando trascorrevo le vacanze estive a casa di mia nonna a Sorrento, desiderate per tutto l’anno perché ritornavo alle mie radici e ai miei affetti, andavo al mare con zii, zie e cugini. Arrivati a piedi ad un paese di pescatori che sorgeva sul mare, gli adulti prendevano una barca a remi sulla quale caricavano borse e bottiglie di acqua e noi bambini, sei cuginetti molto affiatati , dai 6 agli 8 anni, seguivamo la barca a nuoto per arrivare a una splendida baia, conosciuta da pochi. Lì c’era un mare caraibico con acque cristalline solcate soltanto da barche a remi di pescatori. Questi ci conoscevano, ci soccorrevano quando ci facevamo male, ci riportavano a riva se eravamo stanchi o in difficoltà . Era la “nostra” spiaggia fatta di sabbia e scogli dove  ci raggiungevano a nuoto o in barca gli amici e dove siamo cresciuti insieme per molte estati.

dal web

dal web

Da bambini, ci divertivamo a esplorare grotte e a giocare nelle sorgenti di acqua sulfurea ( insomma facevamo una sorta di idromassaggio naturale!), a raccogliere stelle marine, conchiglie, a mangiare ricci di mare e patelle, senza timore di prendere l’epatite, a correre sugli scogli, a fare torte e castelli con la sabbia nera decorandoli con le pietrine colorate. Più tardi imparammo a costruire il vulcano cimentandoci per ore nello scavare pian piano il camino , facendo attenzione a non fare franare le pendici …e ci sentivamo soddisfatti quando alla fine di lunghe discussioni raramente pacifiche, per portare a termine il nostro Vesuvio in miniatura, riuscivamo ad accendere la carta sotto e a farlo fumare.
I nostri tatuaggi permanenti erano graffi e tagli sui piedi e sulle gambe, talvolta spine di ricci,  ma non piangevamo mai troppo perché sapevamo che se ci fossimo lamentati, saremmo tornati prima a casa . In compenso però, tornati a casa, la sola vista dell’ago bruciato, che serviva ad estrarre le spine dei ricci, bastava a farci improvvisare sceneggiate esagerate, per avere anche due coccole in più, e a turno ci confortavamo dicendoci che non era nulla , ben sapendo che prima o poi sarebbe toccato ad ognuno di noi perché tanto avremmo continuato a disubbidire ai grandi pur di scappare a giocare tra gli scogli.
Stavamo al mare per 5- 6 ore, anche perché andavamo in una spiaggia isolata e lontana dal paese e facevamo un solo bagno cha durava quanto la permanenza in spiaggia! Non avevamo mai fame perchè eravamo troppo indaffarati a scorrazzare liberi, per cui pranzavamo a casa al ritorno. Per tornare a casa dovevamo nuotare di nuovo fino al paese dei pescatori e poi fare circa un chilometro in salita sotto il sole del primo pomeriggio per raggiungere le auto parcheggiate all’ombra degli ulivi. Due miei cugini ambivano ad arrivare per primi e correvano avanti prendendo in giro me e le mie cugine che, preferivamo non replicare e camminare in silenzio ascoltando il frinire delle cicale. Un contadino ci aspettava in cima alla salita per offrirci un po’ di granita al limone.

 capo di sorrento

In quella spiaggia abbiamo trascorso anche le estati della nostra adolescenza: eravamo sempre più numerosi,a volte una quarantina tra ragazzi e ragazze .Ci conoscevamo tutti e giocavamo a pallanuoto e a pallavolo, facevamo gare di tuffi e di nuoto, senza distinzione tra maschi e femmine. Tutto  però diviene e muta, così finì la pace quando la spiaggia fu scoperta anche dai vacanzieri domenicali, amanti degli strilli e delle radio, quelli che sbarcavano dagli yacht con gli ombrelloni con la tenda intorno , simile a quelle dei beduini del deserto.Sorsero ben presto problemi di convivenza dal giorno in cui accidentalmente un pallone finì in un piatto di pasta e lenticchie che una mater matronissima reggeva inseguendo per tutta la spiaggia il piccolo destinatario che, ignudo, scappava di qua e di là per sottrarsi all’imboccamento forzato.

 Intanto la cava di pietra dietro la spiaggia fu venduta e quando iniziarono i lavori per lo sfruttamento turistico di quella zona, noi iniziammo ad emigrare. Io lo ero già da molti anni. Lo studio e il lavoro ci divisero: ognuno di noi ha poi preso la sua strada, ma d’estate ritorniamo alle nostre radici ed è sempre bello ritrovarsi lì coi propri figli, coniugi o compagni e continuare a ridere e a divertirci. Anche se la vita ci ha cambiati, i ricordi di quelle estati spensierate ci uniscono ancora e ci fanno recuperare con un po’ di nostalgia un senso di appartenenza.