Giù la maschera

 

Nelle antiche feste religiose pagane si faceva uso delle maschere per allontanare gli spiriti maligni, finchè con il  cristianesimo questi riti persero il carattere magico e divennero semplicemente forme di divertimento popolare.

Durante il Medioevo e il Rinascimento i festeggiamenti in occasione del Carnevale furono introdotti anche nelle corti europee ed assunsero forme più raffinate, legate anche al teatro, alla danza e alla musica.

 Oggi il Carnevale si esprime attraverso il travestimento, le sfilate di maschere e carri allegorici e rappresenta un’occasione di festa  nel  periodo che precede il mercoledì delle ceneri, primo giorno di Quaresima.

 Mi affascina l’eleganza austera e statuaria dei personaggi che in un trionfo di colori spiccano tra le calle, i canali e i palazzi della Serenissima. Ogni anno rivivono in una dimensione sfarzosamente irreale comparse teatrali sospese nel tempo, misteriose nei sorrisi indecifrabili e negli  sguardi imperscrutabili in  un’armoniosa coreografia di drappeggi, trine, piumaggi e fantasiose acconciature e copricapi.

 La maschera: intrigante espediente per rivelare una tantum ciò che si vorrebbe essere e azzardarsi in sembianze esilaranti, talvolta provocatorie, conturbanti per apparire diversi, stupire, divertirsi e divertire al di là dell’immaginazione. Realtà e finzione si amalgamano sul palcoscenico del proprio Io. Persona e personaggio convivono tenendosi sotto braccio senza alcun limite, timore, perplessità, inibizione grazie ad un’indulgente, incondizionata, liberatoria concessione ad un’identità insolita. Come quando da bambini si giocava ad indossare i vestiti e a calzare le scarpe degli adulti per provare a sentirsi grandi, in una dimensione che non ci apparteneva ma si ambiva di emulare. Il Carnevale è soprattutto la festa dei bambini che, più flessibili e capaci di adattarsi ad un’identità transitoria, mitica, gratificante, si  divertono nell’ incanto di un mondo in cui la fantasia può concretizzarsi nel reale. Da adulti si cede al disagio, almeno iniziale, di spogliarsi da maschere più concrete e apparentemente normali. Quelle che talvolta  si indossano per fingere compiacenza, sicurezza, serenità in funzione degli altri e dei propri ruoli. A volte è necessario, a volte è una menzogna recitata principalmente a se stessi. Nessun giudice è più equo della consapevolezza che si raggiunge quando si regge il proprio sguardo allo specchio, riuscendo a coglierne la trasparenza. Bagliori naturali e spontanei. Immunemente incondizionati e  originari. Spudoratamente autentici. Senza maschera.