La campanella di Capri.

 

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Nell’ isola di Capri viveva un pastorello, orfano di padre, così povero che l’unica cosa preziosa che possedeva era una pecorella che portava a pascolare sul monte Solaro. Un giorno il bambino si fermò a raccogliere fiori per la madre e sul far della sera non trovò più la pecorella. La chiamò più volte, la cercò ovunque ma invano. Iniziò a piangere disperato: come avrebbero fatto lui e sua madre? All’ improvviso gli parve di sentire un tintinnio lontano e  corse in quella direzione al buio, ferendosi i piedi tra i rovi e i sassi, pensando fosse la campanella che la sua pecorella portava al collo. Inavvertitamente arrivò  sul ciglio di un burrone ma si fermò in tempo  perché accecato da una luce abbagliante: era san Michele su un cavallo bianco. “Bimbo mio, prendi questa campanella  e segui sempre il suo suono, ti salverà da ogni pericolo”, disse e si sfilò dal collo una catenina con una campanella.Il bambino emozionato la prese. Dopo pochi minuti trovò la sua pecorella, quindi felice corse a casa da sua madre.Da quel giorno la sua vita fu serena e ogni suo desiderio fu appagato.

5_d.20170804192125Sul luogo dell’apparizione fu costruita una cappella in onore del santo, sulla quale poi sorse villa “San Michele” del medico svedese  Axel  Munthe. Sulla terrazza una maestosa e misteriosa sfinge sovrasta il mare  e nel punto più panoramico e luminoso della villa  fa riecheggiare le parole del suo raffinato padrone. “ La mia casa deve essere aperta al sole e al vento e alle voci del mare – come un tempio greco – e luce, luce, luce ovunque!”.

La campanella è diventata un simbolico portafortuna da regalare alle persone care o bisognose di fortuna. Tra queste vi fu anche il presidente americano Roosevelt che durante la Seconda Guerra Mondiale ricevette in dono dall’ isola di Capri una “Campana della Fortuna”  di bronzo, fatta forgiare dal gioielliere  Pietro Capuano, fondatore  della maison Chantecler. Forse non a caso, dopo  questo regalo, la guerra finì in poco tempo.

campanelle artigianato

 

Anch’io ho regalato qualche campanella di Capri, in semplice terracotta, raffiguranti “il giorno”, “la notte” e un alberello di Natale e le posto qui perché portino a voi lettori un po’ di fortuna in questo nuovo anno.

Il limone tra storia, leggenda e limoncello .

Frederic_Leighton_-_The_Garden_of_the_HesperidesAi limoni, raggi di luce divenuti  frutti, fa capo una delle dodici fatiche di  Ercole  che uccise il drago Ladone incaricato  con  le Esperidi  di vigilare su un giardino, per custodire i pomi d’oro che Gea aveva donato a Era in occasione delle sue  nozze con Zeus. Con l’aiuto delle ninfe,  Ercole si procurò i frutti e li portò ad Euristeo. Nella cultura medio orientale, soprattutto ebraica, si  parlava perlopiù dei cedri che  crescevano in Israele quando gli  ebrei rientrarono da Babilonia nel VI sec. a. C. ;  cedri denominati meli di Persia da Teofrasto di Ereso, filosofo greco ed esperto id botanica,  nel 300 a. C .

La presenza dei limoni nel mondo romano fu confermata non solo  da Plinio il Vecchio  che lasciò notizie  sul trasporto del cedro in tante regioni ma anche  dalle piante da frutto, tra cui due limoni,  particolare albero da fruttodipinte sulle pareti della casa del frutteto di Pompei  e dalle trentotto piante di limone in vaso, trovate nella villa Oplonti di Torre Annunziata .Nel 1952 l’archeologo Maiuri concluse che il limone citrino ovale si era già acclimatato in Italia sin dal I  sec. d. C. In epoca romana  però non si distinse ancora  la differenza tra limone e cedro, cui si giunse verso il X secolo. Sicuramente gli arabi portarono i limoni durante le invasioni della Spagna e dell’Italia meridionale  tra il X e il XII secolo ma anche  i crociati, di ritorno dalle guerre sante,  importarono   le piante di limoni, ben presto coltivate nelle zone a clima caldo-temperato. In verità nella costiera sorrentina –amalfitana il limone era già presente nell’Alto  Medio Evo (V I sec. d. C.), come documentano le testimonianze dei medici salernitani che lo usavano a scopo terapeutico. Certamente  il “citrus limon massese” o “ femminiello massese” di Massa Lubrense, nota per i suoi limoni,  fu importato dall’oriente dai monaci gesuiti nel lontano XVII secolo e proprio il gesuita massese padre Vincenzo Maggio promosse la coltivazione dei limoni. A fine ‘500 Napoli e dintorni  erano ormai  “un gioioso loco” ricco di aranci, limoni  e cedri, tanto da fare esclamare più tardi a Goethe  “Conosci tu il paese dove fioriscono i limoni? Nel verde fogliame splendono arance d’oro. Un vento lieve spira dal cielo azzurro, tranquillo è il mirto, sereno è l’alloro. Lo conosci tu bene? …”

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Gran parte dell’economia sorrentina ruotò intorno all’agrumicoltura, che dall’ 800 sostituì colture non più redditizie come quella dei gelsi , anche per la sempre più massiccia importazione dall’oriente dei bozzoli destinati all’industria serica. Proprio per l’esportazione pagliarelledi arance e limoni verso il nord Europa e l’America agli inizi dell’800  si sviluppò la  cantieristica navale  e  di conseguenza  sempre più la tradizione marinara della penisola sorrentina, ancor oggi radicata.  Nel 1917 in penisola circolavano circa ottocento tra cavali, asini e muli per il trasporto di agrumi e  la commercializzazione dei limoni all’ estero  fu garantita tutto l’anno perché d’inverno erano conservati nelle grotte e le  piante venivano  protette  con le “pagliarelle”. Queste, ancora in uso,  sono stuoie di paglia appoggiate su pergolati   per formare una sorta di tetto sul limoneto ed  evitare che i limoni siano danneggiati dalle gelate.

Solo con il limone della costiera amalfitana e sorrentina aventi il marchio IGP, cioè lo sfusato di Amalfi e l’ovale di Sorrento, si produce il limoncello, liquore digestivo di fama internazionale.

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L’origine del limoncello è piuttosto controversa e contesa tra Capri, Sorrento e Amalfi.  Se per i capresi l’imprenditore  Massimo Canale fu il primo a registrare il marchio “Limoncello” negli anni ’80, per   gli amalfitani  le origini del limoncello si fanno risalire a epoche remote,  addirittura  al tempo delle invasioni saracene quando i pescatori lo bevevano per combattere il freddo. Probabilmente invece fu  prodotto in un monastero, come tanti dolci e prelibatezza campane, anche se i sorrentini sostengono  che sin dall’inizio del ‘900 le nobili famiglie del luogo lo offrivano agli ospiti illustri, secondo una ricetta tradizionale.

Per Achille Bonito Oliva  il limoncello è il liquore bambino.

“Liquore di antica famiglia, il limoncino, casa e chiesa, silenzioso e senza malizia di sapore, è per gli adulti senza essere vietato ai bambini. Ha il colore paziente del convitto, senza oggetto o decisione di fondo, ma con sapore continuo alla gola. Fatto per lo sguardo e malinconica distrazione, non permette e non trattiene ricordi. Liquore di passaggio, il limoncino. Un giallo che rimanda all’azzurro. Non ama essere versato ma preservato in ampolle sicure e personali. Il diminutivo limoncino dichiara un liquore infantile anzi bambino, che nasce limone e desidera diventare limoncino, sicuramente in vitro, così trasparente e guarda dalla bottiglia in girotondo…”

 

Esistono molte varianti della ricetta sia per le diverse percentuali di zucchero e alcool, sia  per il procedimento.

limoni sorrento

Ricetta del limoncello

Ingredienti:

10 limoni non verdi

1 lt di alcool per liquori

750g di zucchero

 

Procedimento:

Sbucciare i limoni senza intaccare il mesocarpo o albèdo (la parte interna  bianca del limone), mettere le bucce in infusione nell’ alcool in un recipiente di vetro chiuso e  in un luogo fresco e buio per 9 giorni. Quando è concluso il periodo di macerazione, preparare il giulebbe versando  750 g di zucchero in un litro d’acqua, mescolando e lasciando bollire per 5 minuti circa finché lo zucchero non si sia sciolto. Quando lo sciroppo si è raffreddato, aggiungervi l’alcool con le bucce, girare e infine  filtrare con una garza e imbottigliare. Il limoncello è un ottimo digestivo da servire preferibilmente in bicchierini gelati, oppure lo si può conservare  nel congelatore  in quanto zucchero e alcool gli impediscono di congelare.

 

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La storia della terra e dell’uomo si srotola lungo i superbi costoni a picco sul mare, nelle ville d’altri tempi e nei borghi marinari accerchiati dall’argento degli ulivi e dall’odore di zagara, fino ai pendii assolati e alle  torri solitarie che occhieggiano delfini e naviganti. 

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Austeri giganti di roccia al vento  narrano di sirene e di miti lontani. Nulla è più dolce del  nascondersi nel respiro di questo mare e nell’ abbraccio di questo cielo. Nulla è più dolce del librarsi in questa serena  libertà originaria, mai persa come l’istinto a scoprire il bello. 

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Ovunque regna un’eternità sospesa  in una luce divina che placa misticamente i sensi  e dispensa carezze di trasparenze alle rive  e schegge di verde e di pietra avvolte ora in una tenue foschia, ora in un intenso blu cobalto . 

li galli

 

L’anima buona della natura  palpita in queste profondità marine e celesti  che inondano  gli occhi e il cuore. E dopo averne carpito la magia, la cerchi per sempre.