Pere ‘mbuttunate ( pere e’ Mast’ Antuono ripiene)

pere-e-MastAntuono-300x200Le pere ‘mbuttunate sono un dolce sorrentino, per la precisione metese, del mese di agosto perché in questo periodo maturano le pere e’ Mast’ Antuono che sono piccole, tondeggianti, profumate, croccanti e quindi anche adatte per essere cucinate in zuppe, dolci e marmellate.

Questo dolce non si trova in vendita nelle pasticcerie, ma è perlopiù preparato in casa grazie a ricette tramandate di generazione in generazione per fare sopravvivere la tradizione gastronomica locale.

Ingredienti:

1,5 Kg di pere e’ Mast’ Antuono, non troppo mature ( sono un prodotto tipico della costiera sorrentina)

250 g di ricotta

200 g di zucchero

100 g di amaretti

200g di cioccolato fondente grattugiato

due bicchierini di marsala

acqua (due tazzine da caffè)

Volendo si possono aggiungere una manciata di pinoli e di cedro candito, oppure un po’ di crema.

Esecuzione.

Lavare e asciugare le pere, tagliare con un coltello la parte attaccata al picciolo che servirà da cappuccetto poi, lasciando la buccia, svuotarle pian piano del torsolo e della polpa.

Amalgamare la ricotta con lo zucchero, gli amaretti sbriciolati e 100 g di cioccolato fondente e con questo composto riempire le pere che infine saranno coperte con la parte superiore precedentemente tagliata. 

In un pentolino lasciar cuocere la polpa della frutta in un po’ d’acqua. Quando è ben fluida, filtrarla con un passaverdure e raccoglierne il succo. In una teglia o pirofila versare il succo di pera, aggiungervi due bicchierini di marsala, adagiarvi le pere e cospargerle con i rimanenti 100g di cioccolato fondente .

Infornare a 200° per circa 40 minuti. Sono un ottimo dessert freddo.

Il limone tra storia, leggenda e limoncello .

Frederic_Leighton_-_The_Garden_of_the_HesperidesAi limoni, raggi di luce divenuti  frutti, fa capo una delle dodici fatiche di  Ercole  che uccise il drago Ladone incaricato  con  le Esperidi  di vigilare su un giardino, per custodire i pomi d’oro che Gea aveva donato a Era in occasione delle sue  nozze con Zeus. Con l’aiuto delle ninfe,  Ercole si procurò i frutti e li portò ad Euristeo. Nella cultura medio orientale, soprattutto ebraica, si  parlava perlopiù dei cedri che  crescevano in Israele quando gli  ebrei rientrarono da Babilonia nel VI sec. a. C. ;  cedri denominati meli di Persia da Teofrasto di Ereso, filosofo greco ed esperto id botanica,  nel 300 a. C .

La presenza dei limoni nel mondo romano fu confermata non solo  da Plinio il Vecchio  che lasciò notizie  sul trasporto del cedro in tante regioni ma anche  dalle piante da frutto, tra cui due limoni,  particolare albero da fruttodipinte sulle pareti della casa del frutteto di Pompei  e dalle trentotto piante di limone in vaso, trovate nella villa Oplonti di Torre Annunziata .Nel 1952 l’archeologo Maiuri concluse che il limone citrino ovale si era già acclimatato in Italia sin dal I  sec. d. C. In epoca romana  però non si distinse ancora  la differenza tra limone e cedro, cui si giunse verso il X secolo. Sicuramente gli arabi portarono i limoni durante le invasioni della Spagna e dell’Italia meridionale  tra il X e il XII secolo ma anche  i crociati, di ritorno dalle guerre sante,  importarono   le piante di limoni, ben presto coltivate nelle zone a clima caldo-temperato. In verità nella costiera sorrentina –amalfitana il limone era già presente nell’Alto  Medio Evo (V I sec. d. C.), come documentano le testimonianze dei medici salernitani che lo usavano a scopo terapeutico. Certamente  il “citrus limon massese” o “ femminiello massese” di Massa Lubrense, nota per i suoi limoni,  fu importato dall’oriente dai monaci gesuiti nel lontano XVII secolo e proprio il gesuita massese padre Vincenzo Maggio promosse la coltivazione dei limoni. A fine ‘500 Napoli e dintorni  erano ormai  “un gioioso loco” ricco di aranci, limoni  e cedri, tanto da fare esclamare più tardi a Goethe  “Conosci tu il paese dove fioriscono i limoni? Nel verde fogliame splendono arance d’oro. Un vento lieve spira dal cielo azzurro, tranquillo è il mirto, sereno è l’alloro. Lo conosci tu bene? …”

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Gran parte dell’economia sorrentina ruotò intorno all’agrumicoltura, che dall’ 800 sostituì colture non più redditizie come quella dei gelsi , anche per la sempre più massiccia importazione dall’oriente dei bozzoli destinati all’industria serica. Proprio per l’esportazione pagliarelledi arance e limoni verso il nord Europa e l’America agli inizi dell’800  si sviluppò la  cantieristica navale  e  di conseguenza  sempre più la tradizione marinara della penisola sorrentina, ancor oggi radicata.  Nel 1917 in penisola circolavano circa ottocento tra cavali, asini e muli per il trasporto di agrumi e  la commercializzazione dei limoni all’ estero  fu garantita tutto l’anno perché d’inverno erano conservati nelle grotte e le  piante venivano  protette  con le “pagliarelle”. Queste, ancora in uso,  sono stuoie di paglia appoggiate su pergolati   per formare una sorta di tetto sul limoneto ed  evitare che i limoni siano danneggiati dalle gelate.

Solo con il limone della costiera amalfitana e sorrentina aventi il marchio IGP, cioè lo sfusato di Amalfi e l’ovale di Sorrento, si produce il limoncello, liquore digestivo di fama internazionale.

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L’origine del limoncello è piuttosto controversa e contesa tra Capri, Sorrento e Amalfi.  Se per i capresi l’imprenditore  Massimo Canale fu il primo a registrare il marchio “Limoncello” negli anni ’80, per   gli amalfitani  le origini del limoncello si fanno risalire a epoche remote,  addirittura  al tempo delle invasioni saracene quando i pescatori lo bevevano per combattere il freddo. Probabilmente invece fu  prodotto in un monastero, come tanti dolci e prelibatezza campane, anche se i sorrentini sostengono  che sin dall’inizio del ‘900 le nobili famiglie del luogo lo offrivano agli ospiti illustri, secondo una ricetta tradizionale.

Per Achille Bonito Oliva  il limoncello è il liquore bambino.

“Liquore di antica famiglia, il limoncino, casa e chiesa, silenzioso e senza malizia di sapore, è per gli adulti senza essere vietato ai bambini. Ha il colore paziente del convitto, senza oggetto o decisione di fondo, ma con sapore continuo alla gola. Fatto per lo sguardo e malinconica distrazione, non permette e non trattiene ricordi. Liquore di passaggio, il limoncino. Un giallo che rimanda all’azzurro. Non ama essere versato ma preservato in ampolle sicure e personali. Il diminutivo limoncino dichiara un liquore infantile anzi bambino, che nasce limone e desidera diventare limoncino, sicuramente in vitro, così trasparente e guarda dalla bottiglia in girotondo…”

 

Esistono molte varianti della ricetta sia per le diverse percentuali di zucchero e alcool, sia  per il procedimento.

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Ricetta del limoncello

Ingredienti:

10 limoni non verdi

1 lt di alcool per liquori

750g di zucchero

 

Procedimento:

Sbucciare i limoni senza intaccare il mesocarpo o albèdo (la parte interna  bianca del limone), mettere le bucce in infusione nell’ alcool in un recipiente di vetro chiuso e  in un luogo fresco e buio per 9 giorni. Quando è concluso il periodo di macerazione, preparare il giulebbe versando  750 g di zucchero in un litro d’acqua, mescolando e lasciando bollire per 5 minuti circa finché lo zucchero non si sia sciolto. Quando lo sciroppo si è raffreddato, aggiungervi l’alcool con le bucce, girare e infine  filtrare con una garza e imbottigliare. Il limoncello è un ottimo digestivo da servire preferibilmente in bicchierini gelati, oppure lo si può conservare  nel congelatore  in quanto zucchero e alcool gli impediscono di congelare.

 

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Il Vervece

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Vervece

 

Di fronte a Marina della Lobra, borgo marinaro di Massa Lubrense, a circa un miglio di distanza da terra  emerge dal mare lo scoglio del Vervece (dal latino vervex che significa caprone), in dialetto detto ‘o Revece.

 Pare che quest’isolotto abbia determinato la forma del fondoschiena delle donne massesi. Infatti una leggenda popolare narra che le energiche massesi, giovani e meno giovani, zitelle e maritate, decisero di tirare lo scoglio a riva con una robusta fune temendo che i Sorrentini volessero rubarlo o, secondo un’altra versione, per riparare Marina della Lobra  dalle mareggiate. A forza di tirare, la fune si spezzò e le donne caddero all’indietro subendo un grave danno consistente nell’ appiattimento e ingrossamento del deretano. L’aneddoto è descritto da un canonico a Monsignor Giuseppe Giustiniani, arcivescovo di Sorrento dal 1886 al 1917  nel terzo canto del poemetto ‘O Paese mio di Francesco Saverio Mollo.

vervece e capri

Vervece e sullo sfondo Capri

 

Il Vervece fa da scenario anche ad un’altra storia che ha come protagonisti due pittori: Carlo Amalfi e Luigi Blower. Quest’ultimo si rivelò un falso amico, invidioso e malvagio al punto tale da fare imprigionare Carlo. Durante la prigionia l’Amalfi capì l’inganno e meditò la vendetta. Scontata la pena, l’esperto marinaio Carlo invitò l’amico a fare un giro in barca a vela proprio quando s’avvicinava una burrasca. Luigi, non sapendo nuotare e spaventato dal mare agitato, lo pregò di farlo sbarcare. Carlo pensò bene di abbandonarlo sullo scoglio del Vervece, esortandolo a meditare sul male che gli aveva fatto. Il giorno dopo tornò all’ isolotto per recuperarlo, ma non lo trovò. Lo cercò invano e a lungo e per il resto della vita fu tormentato  da incubi di tempeste e naufragi causati dal rimorso di aver provocato la morte di Luigi. Quando capì di essere in fin di vita, Carlo chiamò un frate cappuccino per confessare il presunto delitto e scoprì che quel frate era proprio Luigi Blower che, tratto in salvo da alcuni procidani, si era poi ritirato in convento per espiare i peccati commessi. Così Carlo Amalfi  morì libero dal senso di colpa…ma in compenso l’amico Luigi gli aveva turbato non poco la vita.

 

Il Vervece però è noto perché nelle sue prossimità Enzo Maiorca conquistò il record mondiale di profondità in apnea (1974). Successivamente fu posta una Madonnina di bronzo alla base dello scoglio a circa 15 metri di profondità. Qui ogni anno, la seconda domenica di settembre, è celebrata una messa in onore della Madonna del Vervece, protettrice dei subacquei, alla quale partecipano molti devoti, che raggiungono lo scoglio con ogni tipo di imbarcazione, e sub che s’immergono per deporre fiori.