25 Aprile: Oltre il ponte

CalvinoQuest’anno per la festa della Liberazione condivido il testo della canzone “Oltre il ponte”, scritto da Italo Calvino per ricordare la militanza nella Resistenza sua e di quei giovani che “vedevan oltre il ponte l’altra riva in mano nemica, ma vedevano anche la vita, tutto il male vedevano di fronte, ma tutto il bene avevano nel cuore”. Qui filmati storici e una bella interpretazione cantata da Modena City Ramblers con Moni Ovadia.

 

 

Oltre il ponte

O ragazza dalle guance di pesca,
O ragazza dalle guance d’aurora,
Io spero che a narrarti riesca
La mia vita all’età che tu hai ora.
Coprifuoco: la truppa tedesca
La città dominava. Siam pronti.
Chi non vuole chinare la testa
Con noi prenda la strada dei monti.

Silenziosi sugli aghi di pino,
Su spinosi ricci di castagna,
Una squadra nel buio mattino
Discendeva l’oscura montagna.
La speranza era nostra compagna
Ad assaltar caposaldi nemici
Conquistandoci l’armi in battaglia
Scalzi e laceri eppure felici.

Avevamo vent’anni e oltre il ponte
Oltre il ponte che è in mano nemica
Vedevam l’altra riva, la vita,
Tutto il bene del mondo oltre il ponte.
Tutto il male avevamo di fronte,
Tutto il bene avevamo nel cuore,
A vent’anni la vita è oltre il ponte,
Oltre il fuoco comincia l’amore.

Non è detto che fossimo santi, 
L’eroismo non è sovrumano,
Corri, abbassati, dài, balza avanti,
Ogni passo che fai non è vano.
Vedevamo a portata di mano,
Dietro il tronco, il cespuglio, il canneto,
L’avvenire d’un mondo più umano
E più giusto, più libero e lieto.

Avevamo vent’anni e oltre il ponte
Oltre il ponte che è in mano nemica
Vedevam l’altra riva, la vita,
Tutto il bene del mondo oltre il ponte.
Tutto il male avevamo di fronte,
Tutto il bene avevamo nel cuore,
A vent’anni la vita è oltre il ponte,
Oltre il fuoco comincia l’amore.

Ormai tutti han famiglia, hanno figli,
Che non sanno la storia di ieri.
lo son solo e passeggio tra i tigli
Con te, cara, che allora non c’eri.
E vorrei che quei nostri pensieri,
Quelle nostre speranze d’allora,
Rivivessero in quel che tu speri,
O ragazza color dell’aurora.

Avevamo vent’anni e oltre il ponte
Oltre il ponte che è in mano nemica
Vedevam l’altra riva, la vita,
Tutto il bene del mondo oltre il ponte.
Tutto il male avevamo di fronte,
Tutto il bene avevamo nel cuore,
A vent’anni la vita è oltre il ponte,
Oltre il fuoco comincia l’amore. 

“Le donne che hanno fatto l’Italia” dal Risorgimento in poi.

 

locandina donne che hanno fatto l'Italia

“Le donne che hanno fatto l’Italia” è stata una delle  varie iniziative del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, una bella retrospettiva su figure femminili più o meno conosciute, che direttamente ed indirettamente hanno influito sull’evoluzione culturale, sociale, economica e politica dell’Italia.

 

 

cucitrici di camicie rosse- BorraniSi parte  dalle donne del Risorgimento, dalle più famose protagoniste dei salotti intellettuali e dell’alta società , come  Cristina Trivulzio di Belgiojoso, Adelaide Bono Cairoli e Sara Nathan, alle più sconosciute donne del popolo che disinnescavano bombe inesplose, consegnavano carte segrete, depistavano la polizia, combattevano con i garibaldini e soccorrevano i feriti . Donne di un’Italia ancora da fondare, accomunate dalla stessa passione e dalla voglia di partecipare al cambiamento .

La panoramica sull’universo femminile è molto ampia e non ignora donne schierate su altri fronti ma altrettanto determinate, come le regine che diedero un diverso apporto alla storia e alla cultura del paese, e le brigantesse che per miseria, paura, convinzione o ignoranza combatterono strenuamente esponendosi alle persecuzioni del loro tempo e ad un’ impietosa storiografia.

 

Il Risorgimento segnò più ufficialmente un Risorgimento  delle donne, in seguito all’ istruzione di un’elite femminile e alla diffusione dei grandi ideali rivoluzionari di libertà, fraternità ed uguaglianza del ‘700. Le donne vennero allo scoperto sulle barricate, nelle piazze, nei salotti , nei campi. Nell’800  manifestarono pubblicamente il loro pensiero ,soprattutto per iscritto, con epistolari, memorie, diari, romanzi, poesie esprimendo coscienza di sé, capacità critica ed autonomia di giudizio sul loro tempo e sulle vicende personali, emergendo sempre più come presenze attive nella vita comunitaria.

Con l’Unità d’Italia le donne continuarono nel loro cammino per lo sviluppo culturale, 111345294-4de98e00-781b-4338-90cb-ae06acb688c7sociale ed economico del paese, seppure ignorate dalla storia. Si pensi alle maestre che in paesi sperduti promossero la prima alfabetizzazione, rinunciando spesso ad una propria vita affettiva, alle operaie che sostituirono gli uomini nelle fabbriche, alle infermiere volontarie impegnate al fronte durante le guerre mondiali, alle mondine e alle tabacchine che sollevarono questioni sociali di disagio e di sfruttamento lavorativo, alle balie che, forse inconsapevolmente, collegarono l’isolato mondo rurale con  quello cittadino più aperto al nuovo.

 

le-donne-che-hanno-fatto-italia-dal-in-poi-1Pian piano le donne conquistarono titoli di studio, un posto di lavoro, un nuovo ruolo nella società che si consolidò con le adesioni ad associazioni, ai partiti, ai sindacati, alla Resistenza. Lottarono non poco e a lungo per ottenere il diritto di voto che in Italia si esercitò per la prima volta  soltanto nel 1946, circa quarant’anni dopo la  Finlandia. Ai seggi affluirono circa 14.600.000 donne contro i 13.350.000 uomini , che elessero nell’Assemblea Costituente 21 donne su 556 membri. Erano perlopiù giovani e laureate: tra  insegnanti e  giornaliste vi erano anche una sindacalista e una casalinga. Cinque di loro fecero parte della Commissione dei 75 per elaborare la Costituzione. Lotte, sacrifici e sconfitte nella storia dell’emancipazione femminile furono in un certo modo riscattate dalla possibilità di accedere alle più alte cariche istituzionali.

 

Tra le tantissime donne nella mostra del Complesso del Vittoriano, alcune sono evidenziate come protagoniste della storia d’Italia perché con intelligenza e passione, capacità e determinazione seppero vedere oltre e contribuire  al progresso e all’affermazione dell’Italia a livello internazionale.

Figure femminili unicamente grandi, per meriti diversi, alcuni dei quali- confesso- non conoscevo.

Anna Kulishoff, l’ esule russa che come medico operò nei quartieri più poveri di Milano, condusse battaglie per l’ indipendenza economica delle donne, necessaria per il conseguimento di  libertà, diritti e parità, per .il diritto al voto e per la difesa delle lavoratrici operaie e contadine.

Matilde Serao, l’attenta lettrice del pentagramma dell’anima, ha lasciato tanti scritti introspettivi e descrittivi che ben rendono il quadro socio, economico e culturale del suo tempo. Riscattò l’intelligenza delle donne in un ruolo anticonformista sia nella vita privata che in quella pubblica, in quanto fu la prima donna a fondare e a dirigere un quotidiano ( il Mattino).

 

Madre Francesca  Saverio Cabrini, una religiosa che fondò la Compagnia delle Missionarie del Sacro Cuore di Gesù e circa ottanta case missionarie in sette paesi del mondo. Nel 1889  partì per gli  Stati Uniti e s’adoprò negli slums, affinchè gli emigranti imparassero la lingua e le usanze del luogo e si integrassero nel nuovo contesto. Valicò le Ande a dorso di un asino e raggiunse luoghi impervi in Sud America dove diffuse la sua missione. Ovunque costruì asili, scuole, convitti per studentesse, orfanotrofi, case di riposo, ospedali che seppe bene amministrare. Beatificata nel 1938 , fu riconosciuta patrona di tutti gli emigranti nel 1950.

 

bn7Maria Montessori, pedagogista, filosofa, scienziata, educatrice di grande cultura, col suo trattato sul metodo della pedagogia scientifica ha rivoluzionato il mondo dell’educazione e della didattica. Nel corso della sua vita s’adoprò molto per la liberazione, la difesa e il riconoscimento  della dignità del bambino.

 

Luisa Spagnoli, una semplice casalinga che diventò l’’abile imprenditrice  di  una delle più antiche aziende italiane, cioè la Perugina. Entrata nel consiglio d’amministrazione dell’azienda nel 1923, promosse strutture sociali per migliorare le condizioni di vita e di lavoro delle dipendenti( ad esempio un  asilo nido nello stabilimento di Fontivegge  per i figli delle operaie).Negli anni ’30 si dedicò con le lavoranti ad una nuova attività, cioè all’allevamento di conigli d’angora per ricavarne pregiati filati di lana, ma non vide i risultati di questa felice intuizione a causa di una morte prematura.

 

Oriana Fallaci, la giornalista che seguì in prima persona e in tutto il mondo  i grandi fermenti sociali e politici: le insurrezioni dell’America latina, la dittatura in Grecia , le contestazioni giovanili, i conflitti indo pakistani e mediorientali . Coraggiosa corrispondente di guerra in un’epoca in cui non esistevano le tecnologie e gli attuali mezzi di comunicazione, per dodici volte in sette anni tornò in Vietnam per documentare la verità e le menzogne, l’eroismo e la dannazione di un conflitto che ha segnato un’intera generazione. Intervistò i grandi della storia degli anni ’70  come Kissinger, Golda Meir, Khomeini, Gheddafi; suscitò grandi dibattiti su questioni di coscienza e di politica internazionale.

Marisa Bellisario, una pioniera del nascente settore elettronico dei computer e della programmazione, si distinse per capacità professionali e manageriali. Nel 1965 si trasferì in America ove fece carriera, nel 1979 divenne presidente dell’Olivetti Corporation e nel 1981 diresse l’Italtel. Nel 1984 fece parte della Commissione nazionale per la realizzazione della parità tra uomo e donna. Ottenne il premio di manager dell’anno nel 1986, due anni prima della sua prematura morte. Una top manager a livello mondiale in un mondo ove- come asserì- “una dirigente deve nascondere il più possibile il suo essere donna”.

 

Anna Magnani: l’energica e fragile Nannarella, straordinaria  interprete del cinema neorealista del dopoguerra che ci ha mostrato la vita reale attraverso la dimensione umana di personaggi comuni . Una donna che, pur riscuotendo fama mondiale, in varie stagioni della vita fronteggiò grandi solitudini che ci fanno ricordare con affetto i suoi profondi e  indimenticabili sguardi, la spontanea  ironia, la dolce e sofferta malinconia.

 

Rita Levi Montalcini , la scienziata che nel ’36 si rifugiò in Belgio ma anni dopo rientrò a Torino per proseguire la ricerca sulle cellule nervose, allestendo un laboratorio in camera da letto, finchè nel 1947 raggiunse gli Stati Uniti ove lavorò per venti anni. Animata da un continuo  bisogno di conoscenza, anche nei periodi più cruciali della sua vita si dedicò alla ricerca scientifica . Conseguì il premio Nobel per la medicina nel 1986 ed è stata senatrice a vita dal 2001.

 

Palma Bucarelli, esperta di storia e di critica dell’arte anche molto bella ed anticonformista, all’età di trent’anni fu la prima donna a dirigere un museo pubblico. Dagli  anni ’40 a metà degli anni ’70 si occupò della Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma: salvò opere in tempo di guerra, promosse l’astrattismo, rese accessibile al grande pubblico l’arte moderna.

 

Una lunga  galleria fotografica svela in ordine cronologico i volti di  donne che dall’ 800 in poi hanno contribuito alla storia d’Italia . Sono tantissime ad avere conseguito i primi traguardi nella cultura, nell’arte, nella politica, nella società e nello sport. Ne  voglio elencare alcune.

1872 Caterina Scarpelli, medaglia d’oro per il valore scientifico delle sue ricerche.

1875 Enrichetta Girardi, prima donna che conseguì la laurea in lettere a Napoli .

1879 Ersilia Caetani Lovatelli, prima donna ammessa all’accademia dei Lincei, per conoscenze di archeologia , di lingue classiche e del sanscrito.

1887 Iginia Massarini, prima donna a conseguire la laurea in matematica.

1898 Aurelia Pincherle  Rosselli, prima donna che scrisse per il teatro.

1906 Elvira Coda Notari, prima donna regista.

1908 Emma Strada, prima donna ingegnere e Rina Monti che a 37 anni fu la prima donna ad ottenere la cattedra universitaria di zoologia a Sassari.

1913 Adelaide Cocco, prima donna medico a Sassari.

1913 Rosina Ferraro ,ottava donna al mondo a conseguire il brevetto di pilota degli aerei numero 203.

1915-1918  Ester Danesi Traversari, prima giornalista italiana corrispondente di guerra per il Messaggero.

1926 Grazia Deledda , premio Nobel per la letteratura.

1940  La poetessa Ada Negri  fu ammessa tra gli Accademici d’Italia.

1943 Ondina Peteani partigiana, a 18 anni entrò nel Movimento di Liberazione operaia dei cantieri di Monfalcone.

1947 Franca Viola, prima donna che denunciò e fece condannare il suo stupratore, rifiutando un matrimonio riparatore.

1948 Angela Merlin, prima senatrice.

1953-1956  le suore Maria Cleofe e suor Maria Innocenza furono le prime religiose a prendere la licenza di volo per recarsi, rispettivamente  in Pakistan e in India, a servizio dei bisognosi.

Seguono tante , tante altre. La prima donna magistrato, prefetto, vigile e via via così….

 La  storia dell’emancipazione femminile in Italia può vantare donne intraprendenti di diversa estrazione socio-culturale che con lungimiranza hanno messo a frutto le proprie inclinazioni e capacità in scelte di vita,  a volte inconsuete, apprezzate tardivamente perché spesso hanno precorso i tempi.

 Mi sono resa conto di appartenere  ormai ad un’altra generazione, quando  ho notato due ragazze ventenni che osservavano l’Olivetti con cui Oriana Fallaci scriveva i suoi articoli. Non avevano mai visto, tanto meno usato, una macchina da scrivere. “Le donne che hanno fatto l’Italia” riassume aspetti della storia italiana che si dovrebbero divulgare nelle scuole , soprattutto tra le nuove generazioni troppo distanti da quella vite vissute alla luce di speranze, attese e conquiste durate per secoli. Non a caso ancor oggi nel 2014, sicuramente più di ieri,  bisogna promuovere la cultura di genere e delle pari opportunità  in un contesto sociale  e politico che sdogana con tanta sfacciataggine e superficialità  offese gratuite e sessiste perché, a mio parere, non si conosce  e di conseguenza non si apprezza quel percorso di crescita, progresso e civiltà delle tante donne che hanno fatto e possono continuare a fare l’Italia.

  

Immagini tratte dal web

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“Quando voglio pensare a qualche cosa di piacevole e di riposante mi viene subito davanti agli occhi la mia cara villa di Bordighera” (Regina Margherita di Savoia, 1923)

 

È un’impressione…

Per anni ho oscillato su brevi, medie e lunghe distanze attraversando in treno  quasi tutta l’Italia. Su e giù  sui treni FFSS ( cioè  “fate finta siete soddisfatti”) oggi detti  Trenitalia. Forse sarebbe meglio solo Treni. Per un po’ sono stata quieta, o meglio mi sono spostata con altri mezzi, e ho avuto nostalgia di  viaggiare sulla strada ferrata. È un’impressione che nulla sia cambiato sui treni in tanti anni e non solo in meglio, grazie ai confortevoli treni ad alta velocità, quali i Freccia Rossa o Eurostar.

 Innanzitutto  ci sono quasi solo porte scorrevoli, di quelle che dimezzano la silhouette del viaggiatore che non si sbriga a scendere. Un sistema di apertura decisamente migliore di quelle porte che si spingevano in fuori e automaticamente fuoriusciva il predellino. Bisognava chiedere ad Ercole la forza per aprire quella porta e puntare bene i piedi per terra. Chi non aveva un buon stacco di coscia faceva  stretching, allungando le zampe come un fenicottero, per toccare pian piano il marciapiede sottostante oppure doveva zompare dall’ultimo scalino del predellino facendo sfoggio di virtuoso equilibrismo. L’incauto viaggiatore rischiava di finire sotto le rotaie,  a meno che non si avvinghiasse saldamente alla sbarra laterale di appoggio e vi ruotasse intorno in  una sorta di improvvisata  lap dance. Se aveva al seguito i figli, si cimentava in un gioco di logica. Un po’ come per il trasbordo di capra, lupo e cavoli da una riva all’altra del fiume in modo che il lupo non mangiasse la capra e la capra i cavoli.  Doveva valutare se  lanciare giù prima i bagagli o i figli, sperando non si volatilizzassero,  o precederli tutti, ammonendo la prole perchè stesse ferma e non si infilasse nel bagno del treno. Una volta sulla banchina trovavi i facchini, soppiantati da comodi carrelli portabagagli e dalle più agevoli valigie con le rotelle. Peccato che a Genova non ci  siano i carrelli, perché rotolerebbero molto bene nelle scalinate dei sottopassaggi e quindi si consiglia di soppesare armi e bagagli qualora si debba effettuare un cambio treno.

 Oggi molti vagoni  non sono più suddivisi in scompartimenti. Senza barriere interne i viaggiatori stanno  tutti insieme appassionatamente per guadagnarsi le indulgenze, mentre ascoltano pazientemente  almeno 35 telefonate della signora, seduta sette posti più avanti, che saluta gli amici e parenti appena lasciati e altrettanti amici e parenti ai quali preannuncia l’arrivo. Gli uomini non sono da meno: spesso parlano animatamente  di lavoro, a quattr’occhi o per cellulare. Tacciono solo  per montare e smontare il pc portatile, mobilitando il passeggero dirimpettaio che li guarda ammirato, finchè scopre che tutto l’ambaradan serve ad ingannare il tempo con un solitario. Ma volete mettere il fascino suscitato da un ultramoderno pc con quello di un antiquato mazzo di carte sparpagliato sul tavolino? Allora il viaggiatore, allietato sempre dalla logorroica signora, contempla il paesaggio fuori dal finestrino. Un’opera surreale resa evanescente da  vetri mai lavati che hanno reso inutili quei tendoni, pesanti per il tessuto o lo sporco annidato, che non facevano filtrare nemmeno un raggio di sole.

Oggi i treni offrono anche più servizi. Prima l’assetato viaggiatore doveva  attraversare più carrozze per arrivare al vagone ristorante e acquistare una bottiglietta d’acqua a meno che, durante una fermata del treno, non partecipasse all’ arrembaggio collettivo dell’unico venditore fermo sulla banchina, sbracciandosi e sporgendosi a mezzo busto fuori dal finestrino. Da anni sui treni gira il trespolo ambulante, il carrello- mini bar, che fino a qualche tempo fa avanzava squillante nei corridoi. Pareva arrivasse un monatto. Ora è preceduto da silenziosi  megatrolley che  scivolano da soli nel corridoio, facendo strike di tutti i malcapitati che incontrano a portata di rotelle, e da un’orda  di passeggeri che improvvisamente invadono lo scompartimento, dove prontamente si eseguono le  grandi manovre di gambe accavallate, che si disaccavallano per fare più spazio, in una  salutare ginnastica di arti anchilosati .

 A lungo andare il viaggiatore diventa un equilibrista, abile a non ustionarsi col bicchierino di caffè bollente, sia quando ritira gli spiccioli del resto che quando apre la  bustina dello zucchero  e del cucchiaino. Inoltre si tempra stoicamente grazie a  benefiche escursioni termiche, simili a quelle di una  sauna finlandese seguita da un’immersione nell’acqua gelida, e impara ad adattarsi a temperature da disidratazione e a quelle da eskimo.  D’estate sboccia come in una serra, si trasforma in una rosa spampinata a causa del sistema di aria condizionata, spesso non funzionante, e dei finestrini bloccati. Quando intravede un posto libero, nei pressi dell’unico finestrino aperto, in preda all’istinto di sopravvivenza si precipita  per occuparlo e mettere il viso in direzione della folata di ossigeno. Poi s’ingegna contro l’effetto serra, disdegnando l’alternativa di tornare  a casa o a piedi o a nuoto. Prova  ad aprire la porta di comunicazione tra due vagoni e -mamma bella, non è un’impressione- di solito non ci riesce. Un passeggero corre invano in suo aiuto, quindi  sopraggiunge pure qualcun altro. E così dopo l’immane sforzo di aitanti bicipiti   -Apriti sesamo! – la porta scorre. Mentre i cavalier serventi proseguono  nel serpentone ferrato in cerca di un posto a sedere più aerato, con nonchalance il viaggiatore resta  in piedi nel passaggio tra le vetture per godersi la  bella corrente d’aria e ballare la tarantella per mezz’ora, riuscendo così  a rinfrescarsi.

 Uno dei vantaggi principali dei viaggi in treno è il rafforzamento del sistema immunitario. Decenni fa si credeva che ai bambini facesse bene respirare la puzza del letame nelle stalle. Adesso basta aprire una porta delle toilette per farsi tanti, tanti anticorpi. Non appena una vocina squillante urla Pipììììììì la giovin signora, col pupetto al collo, s’affretta a raggiungere  un bagno libero o  aperto. Se è fortunata, lo troverà  dall’altra parte del vagone, altrimenti proseguirà nella sua corsa, mentre  tutti  cedono  il passo, timorosi di dover assistere a qualche altra forma di evacuazione immediata.

 Altra meraviglia dei treni italiani riguarda l’illuminazione. Una volta pareva che negli scompartimenti ci fossero i fuochi fatui per cui  l’appassionato di lettura  come minimo perdeva un paio di diottrie in 800 km di percorrenza. Adesso i treni sono ben illuminati: a giorno di notte, per guardarsi bene da eventuali malintenzionati notturni,  e  a notte di giorno, perché magari l’impianto di illuminazione viene attivato solo dopo avere lasciato al buio  a lungo i passeggeri ( nelle tante gallerie del Ponente ligure, per esempio).

 Oggi poi il viaggiatore non rischia più  di appisolarsi e di scendere alla stazione sbagliata. Sui treni ad alta velocità una gentile signorina o un tenebroso speaker preannuncia  le fermate, prima in italiano poi in inglese, strepita invitando a non parlare ad alta voce e ad abbassare la soneria dei cellulari, fa buona compagnia con frequenti e rinnovati auguri di buon viaggio. Il rassegnato passeggero impara presto a memoria   la litania e mentalmente la completa con un “baci, abbracci e salutam  a’ soreta”, agognando un po’ di silenzio. Persa la concentrazione per decodificare sommariamente ciò che tenta di leggere, può sempre giocare  a inseguire le nuvole che intravede dal finestrino, intrattenersi in piacevoli conversazioni coi compagni di viaggio, estraniarsi  con la musica diffusa dall’ i-pod del vicino che perfora anche i timpani altrui.

Quando la gente è sfollata, esausto e annoiato inizia a rilassarsi . Ma è ora  di scendere. Prepara il bagaglio con sufficiente anticipo per non rischiare di incappare nella porta non funzionante del vagone e si prepara diligentemente allo sbarco.

Sulla banchina scorge una faccia sorridente che lo accoglierà  con un immancabile “Hai fatto buon viaggio?” al quale risponderà laconicamente “Sì, grazie”e un abbraccio finale compenserà  ogni disagio.

 

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La valigia

“Ho semplicemente lottato per una causa che ho ritenuta santa: quelli che rimarranno si ricordino di me che ho combattuto per preparare la via ad una Italia libera e nuova.” (Lorenzo Viale, anni 27)

 

Da lettere di condannati a morte della Resistenza italiana – 8 settembre 1943-25 aprile 1945 Edizioni Einaudi.

 

Carissima Mamma adorata, e carissimi Fede, papà, Alberto, Stefano, zia e zio, Maria e tutti i miei cari, fra un’ora non sarò più in questo mondo. Mamma mia sii forte come lo sono io. Pensa mamma che tutta la forza viene da te che sei una “Santa”, tutta la tua  vita di dolore e di abnegazione ne è la testimonianza, mamma è il tuo bambino che ti supplica ma che ti dà un comando di moribondo, devi avere tanta, tanta forza, perdi il tuo bambino ma fra non molto te ne verrà restituito un altro, il mio caro fratello Stefano per lui devi vivere, a lui devi dare tutte le premure e le attenzioni che avresti date a me- è dunque un dovere quello che ti chiede il tuo Domenico nella certezza di questa missione che ti resta da compiere che io mi sento forte. È da mezzanotte che io prevengo la mia fine, ora sono le quattro e mezza e me ne viene data notizia, mamma affidati a Fede essa saprà come darti tanta forza. Fede cara ti chiedo perdono fa di esaudire tutti i miei desideri affido a te la mamma.

Da quattro ore, cara mamma non ho fatto che rievocare tutta la mia vita da quando ero bambino ed ora recrimino una cosa sola, tutto il tempo che non ti sono stato vicino, perdonami mamma: dì a papà che non beva più e ti stia più vicino, chiedo perdono anche a lui- mamma non ho una tua fotografia ma la tua visione non mi abbandona un attimo- l’ultimo mio anelito sarà per te, nel tuo nome di mamma vi è tutta la mia vita- se non ho saputo vivere, mamma, so morire, sono sereno perché innocente del motivo che muoio, vai a testa alta e dì pure che il tuo bambino non ha tremato. È quasi ora, perdono a tutti anche agli zii che ti assistano. Ciao mamma, Ciao Fede, papà, Stefano, Alberto, ciao a tutti.

Addio mamma tutto il mio bene a te e a tutti cari baci.

TUTTO È PRONTO. Mamma, mamma.

 

Domenico

 (Domenico  Cane- anni 30, artigiano decoratore. Fucilato il 2 aprile 1944 a Torino per rappresaglia)

  

Mimma cara,

la tua mamma se ne va pensandoti e amandoti, mia creatura adorata, sii buona, studia ed ubbidisci sempre agli zii che t’allevano, amali come fossi io.

Io sono tranquilla. Tu devi dire a tutti i nostri cari parenti, nonna e gli altri, che mi perdonino il dolore che do loro. Non devi piangere né vergognarti per me. Quando sarai grande capirai meglio. Ti chiedo una cosa sola: studia, io ti proteggerò dal cielo.

Abbraccio con il pensiero te e tutti, ricordandovi

la tua infelice mamma

 

(Paola Garelli (Mirka)-  anni 28, pettinatrice. Fucilata il 1°novembre 1944, senza processo, nel fossato della fortezza ex Priamar di Savona)

 

 Costa Volpino, 21 novembre 1944

Caro padre, sorella e cognato,

questo è il mio ultimo saluto e scritto che vi giunge, poiché fra minuti la mia vita sarà spenta, dovrete promettermi di non piangermi perché vano.

Sono contento che tra poco rivedrò la nostra cara mamma, e sarei contento di rimanervi sempre con lei.

Un saluto ancora e che questo vi giunga in segno di vittoria e di libertà per tutti gli italiani. Muoio per l’Italia!

Una stretta di mano e un bacio a te babbo, a te sorella e a te cognato e baci ai tuoi bambini. Tanti saluti a chi domanderanno di me. Arrivederci in cielo.

W l’Italia martoriata che presto rifiorirà libera e indipendente.

Andrea

 (Andrea Caslini -Rocco- anni 23, falegname. Fucilato il 21 novembre 1944 al cimitero di Costa Volpino (Bergamo)

 Carissima mamma. Ti scrivo queste mie ultime prole dalla mia cella dove ho trascorso le mie ultime ore contento e rassegnandomi di morire pensando sempre a te ed al mio piccolo nipotino e la mia sorellina, quando tornerai alla nostra bella  Napoli mi bacerai tanto papà e gli dirai che sono morto per l’Italia.

Cara mamma mi perdonerai per i dispiaceri che ti ho dato perché se ascoltavo le tue parole restavo vicino a te: ma Gesù ha voluto così, forse chi sa se il mio fratellino vuole che lo raggiunga lassù. Come tu pregavi per Lui così pregherai per me.

Finisco di scriverti pensando sempre a te fino alla fine, ed al mio nipotino ed alla mia sorella. Mi bacerai de Michele e gli dirai di fare le mie veci (quelle che non ho potuto fare io).

Ti bacio per sempre tuo figlio.

Salutami tutti.

 

Paolo Lomasto

 

(Paolo Lomasto-17anni, nato a Napoli. Non si conoscono le circostanze per le quali si trovò ad unirsi alle formazioni partigiane operanti nella zona di Pinerolo (Torino)

 

 12 luglio 1944

Mammina e Anne care,

è l’ultima lettera che vi scrivo. Tra poco non sarò più.Non nego che ci soffro, è umano.

Ma ho la precisa coscienza di essermi sempre comportato da buon italiano e buon figlio.mammina e te Anna eravate  e siete le persone che ho amato di più.

Vi sono vicino tanto tanto tanto.

Anna cara, sta vicino alla Mamma che avrà solo più te.

Era destino.

Ma di fronte ad esso bisogna che voi viviate.

Ho vissuto pure io per voi, per un ideale di libertà e di giustizia.

Non ho mai fatto male ad alcuno.

Sento ora come mai che vi voglio bene, tanto bene e sono in piedi.

Vostro per sempre.

 

Paolo

 

(Paolo Vasario-Diano- 33anni, tenente medico dell’esercito diventa poi medico partigiano nella 105a Brigata Garibaldi “C. Pisacane”. Fucilato  il 12 luglio 1944 da soldati tedeschi nel campo di aviazione di Airasca)

Donne del Risorgimento: Rose Montmasson e Giuditta Tavani Arquati

Il Risorgimento è stato un processo storico  complesso, un  intrigo di diplomazia  e  di alleanze, un’illuminazione  di ideali liberali che contagiò gli intellettuali, una partecipazione di  masse conquistate  dalla speranza di cambiamento e poi in parte disilluse. Tante sono le interpretazioni del Risorgimento, ma  certamente  ci fu una generale intraprendenza di tanti giovani che osarono combattere per ció in cui credevano. 

L’ideale di un’unica Italia, libera dagli stranieri, mosse i cuori e armò  le braccia, infervorò gli animi come la bella Gigogin quello del giovane  Mameli.

In occasione delle celebrazioni ufficiali per i 150 anni dell’unitá d’Italia sul  monumento commemorativo di Mameli, reso immortale dai versi del nostro inno nazionale,  c’erano fiori e corone, ma il cimitero monumentale del Verano  a Roma  custodisce le spoglie di altri patrioti e patriote, tra i quali non posso tralasciare  Rose Montmasson, piú nota come Rosalia Montmasson Crispi, l’unica donna che partecipò alla spedizione dei Mille.

 Rose Montmasson (1823-1904) , originaria della Savoia, giunse a Torino nel 1849 dove inizió a lavorare come lavandaia e stiratrice. Qui conobbe Francesco Crispi, un giovane rivoluzionario, esule in Piemonte dopo il fallimento dei moti rivoluzionari siciliani del 1848. Rose condivise col suo uomo una vita avventurosa. Prima lo seguì in esilio in Piemonte e a Malta, dove si sposarono, poi a Parigi ove rimasero finché non furono accusati di complotto con Felice Orsini, ed infine a Londra ove, nuovamente in fuga, raggiunsero Mazzini. Rientrati in Italia nel 1859, collaborarono per la realizzazione dello sbarco in Sicilia. Rose si recó con un vapore postale in Sicilia e a Malta per avvisare della spedizione dei Mille i patrioti siciliani e i rifugiati. Fece in tempo a rientrare a Genova e, contro la volontá  del marito, travestita da uomo s’imbarcó con le camicie rosse a Quarto.

Durante la battaglia di Calatafimi s’adopró per portare in salvo e curare i feriti, imbracciando il fucile se necessario. I siciliani la ribattezzarono Rosalia, nome che compare sulla sua lapide. 

Dopo l’unitá d’Italia cambiarono molte cose, anche i sogni. Crispi divenne parlamentare e abbandonó i repubblicani per schierarsi con i monarchici. Ben presto ripudió Rosalia, denunciando   l’irregolaritá del matrimonio, celebrato a Malta  da un prete sospeso a divinis per le sue simpatie patriottiche, e nel 1878 convoló a nuove nozze con Lina Barbagallo, un’aristocratica di Lecce dalla quale, cinque anni prima, aveva avuto una figlia. In effetti  Rosalia  consideró  la scelta politica del consorte un vero e proprio tradimento di quegli ideali che li avevano uniti e per i quali avevano combattuto insieme. Scoppió uno scandalo e  Crispi fu accusato di bigamia. In veritá fu poi assolto, ma non dalla regina Margherita di Savoia  che si rifiutó  di stringergli la mano e gli tolse il saluto.

 Rosalia rimase a Roma dove morí in povertá. La sua salma é in un loculo concesso gratuitamente dal Comune di Roma.

 

Un’altra patriota sepolta al Verano é Giuditta Tavani Arquati (1832-1867) che, incinta del quarto figlio, morí col marito , con il figlio dodicenne Antonio e altri cospiratori durante il massacro nel lanificio Ajani a Trastevere. La tentata insurrezione contro il governo di  Pio IX e  la mancata rivolta del popolo romano contro il Papa Re  anticiparono la disfatta garibaldina di Mentana del 1867. In effetti la vera unitá d’Italia si ebbe nel 1870 quando la breccia di porta Pia segnó la fine dello Stato pontificio.

Due anni fa ho celebrato e festeggiato il 150 ˚ dell’Unitá d’Italia  non solo con un tricolore esposto sul balcone, ma ho voluto ringraziare idealmente nel cimitero del Verano tutti coloro, e sono davvero tanti, che hanno contribuito alla storia e alla cultura dell’Italia. Dopo avere girovagato a lungo e letto  centinaia di lapidi (ahimé non basta la mappa), mi sono emozionata dinanzi al piccolo ritratto di Rosalia, l’ umile lavandaia che divenne un’intrepida patriota. In Via della Lungaretta 97 a Trastevere ho invece  scovato una targa e un busto che  ricordano  Giuditta Tavani Arquati, divenuta  il simbolo della lotta per la liberazione di Roma.

 

 

 Rosalia Montmasson e Giuditta Tavani Arquati sono due protagoniste del Risorgimento italiano, che sfidarono i tempi e i costumi con scelte di vita che  all’epoca dovevavo apparire- a dir poco-  inusuali. Entrambe tradite, piú che dalle dinamiche del cuore e del potere, soprattutto dalla storia… una storia che ancora oggi, a mio parere, risulta scritta e interpretata  dagli  uomini.

 

Le donne del Risorgimento

In occasione del 152° anniversario dell’Unità d’Italia riprendo post a me cari , scritti in occasione del 150°,  per ricordare  personaggi, a volte poco noti, del nostro Risorgimento.

 “Il Risorgimento delle donne. Da icona del patriottismo a patriota” è  un bellissimo  filmato  didattico realizzato da  Annalisa Costagli e Giacomo Verde che attraverso la pittura, scritti e foto hanno documentato la presenza attiva e  il contributo delle donne, di diversa estrazione socio-culturale, all’unità e all’indipendenza dell’Italia, alle prime forme di democrazia e alle pari dignità dei sessi.

 Protagoniste poco conosciute del Risorgimento, le donne operarono senza visibilità né  riconoscimento di ruoli politici, promuovendo nei salotti il  fermento intellettuale dell’epoca , partecipando alla lotta risorgimentale come combattenti e assistenti dei feriti, continuando a lavorare nei campi o in casa, in attesa di lettere o notizie dei familiari lontani.

In occasione della celebrazione dell’Unità d’Italia  è doveroso ricordare anche questo aspetto della storia italiana   perché come scrisse  Cristina Trivulzio di Belgiojoso nel 1866

 

“Vogliano le donne felici ed onorate dei tempi avvenire rivolgere tratto tratto il pensiero ai dolori ed alle umiliazioni delle donne che le precedettero nella vita, e ricordare con qualche gratitudine i nomi di quelle che loro apersero e prepararono la via alla non mai prima goduta, forse appena sognata, felicità!”

 Qui il link per “Il Risorgimento delle donne. Da icona del patriottismo a patriota”

 Buona visione!

Meglio aggiungere vita ai giorni che non giorni alla vita (Rita Levi Montalcini)

 

Rita Levi Montalcini, premio Nobel per la medicina nel 1986 e senatrice a vita dal 2001, è stata una delle donne che hanno fatto l’Italia. Nel ’36 si rifugiò in Belgio, anni dopo rientrò a Torino per proseguire la ricerca sulle cellule nervose, allestendo un laboratorio in camera da letto, finchè nel 1947 raggiunse gli Stati Uniti ove lavorò per venti anni.

Una donna straordinaria che ha attraversato e superato il ‘900 investendo tempo, energie e intelligenza principalmente nella  ricerca scientifica, anche dopo aver rinunciato a incarichi  per sopraggiunti limiti di età, e più di recente in campagne di interesse sociale e ambientale.

Con parole mai banali la Signora Levi Montalcini ha trasmesso la determinazione di chi ha  passione e forza  interiore, la saggezza e l’intelligenza dei grandi, la fede laica  ispirata al  bisogno di conoscenza che l’ha animata sempre e ovunque, anche nei periodi più cruciali della sua vita.

Una figura emblematica del nostro secolo, tra le più stimate e amate. Una donna che ha scelto di vivere disinteressandosi della propria persona, in nome della libertà di pensiero e di una continua ricerca  tendente a scoprire verità nei misteriosi meandri della mente umana.

“Posso dire che l’unico ideale per cui ho lavorato è stato quello di aiutare gli altri e forse per questo la ricerca mi ha dato molto di più di quanto potessi sperare”.

Grazie, splendida Signora!