Il nocillo (nocino)

nocillo-di-campaniaSin dall’antichità in Campania si producevano noci, come risulta documentato da resti carbonizzati di noce, ritrovati nella Casa di Argo ad Ercolano, e dai dipinti della Villa dei Misteri a Pompei . Esse sono un prodotto tipico di Sorrento: a tutt’oggi in molti giardini o aranceti spicca un maestoso noce, oltre a una pianta di alloro. In passato si credeva che tagliarlo portasse male, sia perchè i frutti erano considerati una  riserva alimentare preziosa per l’inverno, sia perchè l’albero assumeva un significato propiziatorio (la noce è simbolo di fecondità) o inerente l’ occulto in quanto sui suoi rami si appollaiavano le streghe.

 Ancor oggi nella penisola sorrentina è diffusa l’usanza di preparare il nocino in casa nella notte di San Giovanni (24 giugno) o a fine giugno, quando le noci sono ancora tenere, acerbe, poco legnose e quindi aromatizzano l’ alcool. Questo liquore, dal sapore intenso e corposo, può essere centellinato a fine pasto come digestivo oppure se ne può versare qualche goccia fredda anche sul gelato alla crema o alla panna.

 

 Ingredienti:

  •  1 litro di alcool

  • 13 noci verdi col mallo

  • 13 chicchi di caffè tostato

  • 13 chicchi di caffè crudo

  • un bastoncino di cannella

  • 3-4 chiodi di garofano

  • una noce moscata

Pulire bene le noci col mallo e tagliarle in quarti. Schiacciare un po’ la noce moscata , servendosi di un martello, se necessario . Mettere tutti gli ingredienti in un barattolo di vetro, con una larga apertura, e chiudere bene con un coperchio. Lasciarlo all’ aperto per 40 giorni e 40 notti, agitandolo un po’ di tanto in tanto. Si possono trovare varianti sulla conservazione del nocino. Alcuni dicono che debba macerare al buio. Per altri il nocino deve essere esposto all’ aperto per catturare i raggi del sole di giorno e il chiarore  lunare di notte, come diceva mia nonna.

Al termine dei 40 giorni filtrare più volte con garze sottili di lino finchè non ci sono più residui degli ingredienti. In alternativa al lino si può utilizzare un colino con il fondo a retina sottile, o foderato con un po’ di carta assorbente da cucina.

 

 Ingredienti per lo  sciroppo

  • mezzo litro di acqua

  • 300g di zucchero

  • buccia sottile di un limone verde

 Per addolcire e diluire il nocino, preparare lo sciroppo con mezzo litro di acqua , 300 grammi di zucchero e la buccia sottile di un limone verde. Versare gli ingredienti in un pentolino sul fuoco, mescolare per fare sciogliere lo zucchero nell’acqua e spegnere non appena inizia a bollire. Aggiungere lo sciroppo freddo al nocino. Imbottigliare e lasciar riposare per altri 40 giorni prima di gustarlo.

Le palme di confetti

Durante una domenica delle Palme  del XVI sec., mentre i sorrentini si avviavano a benedire i rami d’ulivo, le campane risuonarono e diedero l’allarme per la presenza di  navi saracene all’orizzonte, pronte ad assalire la costa per l’ennesima volta. Il prete quindi invitò i presenti a benedire l’ulivo in chiesa, prima di correre a difendersi.

Un pescatore, fatto il segno della croce,  non partecipò al rito della benedizione, ma  andò sulla spiaggia di Marina Grande. All’ improvviso scoppiò una provvidenziale tempesta che affondò le navi nemiche. Al naufragio sopravvisse soltanto una schiava che, trascinata a riva dalle onde, prima fu tratta in salvo dal pescatore, poi fu accolta dai sorrentini. In segno di gratitudine la giovane  regalò una manciata di  confetti portati dalla sua terra e custoditi in un sacchetto legato al collo.   

Da questo gesto di pace e  riconoscenza  sarebbe nata la tradizione delle palme di confetti, bianchi e colorati. Queste sono prodotti dell’artigianato locale e richiedono una complessa lavorazione e una precisa manifattura. Di solito intere famiglie si dedicano a quest’attività, che si svolge perlopiù in casa, e rischia di estinguersi perché è poco redditizia. Da qualche tempo si organizzano corsi per  imparare a creare le palme e mantenere viva la tradizione locale.

 

 

Dopo un’attenta selezione, i confetti sono infilati , uno alla volta , in fili di ferro riscaldati che  si lasciano ad asciugare sotto barattoli di vetro per almeno un giorno. Quindi i fili sono poi avvolti in apposite cartine e  infine sono adornati e assemblati  con merletti e foglie di carta in ramoscelli fioriti. Da bambina  ricevevo in regalo un alberello, una sorta di cono di confetti bianchi di varie dimensioni, costellato di confettini argentati…un piccolo e laborioso capolavoro artistico , soppiantato dai più diffusi e variopinti rametti.

Alcune composizioni decorative sono invece  create con un’altra tecnica che impiega e flette il midollo bianco della pianta di fico.

Di recente si sono organizzati concorsi su “Le palme di confetti” per valorizzare l’arte e l’artigianato femminile, tutelare un’espressione della cultura tradizionale locale, divulgare la memoria di un rito sacro e civile, promuovere economicamente la palma come prodotto tipico locale e trasferire la tecnica produttiva tipica della palma per la realizzazione di altri prodotti con diversa destinazione alla conquista di  mercati più ampi, oltre quello locale e il tempo pasquale.

 Ecco alcune creazioni!

 

 

I folarielli

La tradizione napoletana vuole che a conclusione delle cene di Vigilia e dei pranzi di Natale e Capodanno il palato stramazzi sazio, ma  estasiato da un vario  assortimento di dolci  e sciosciole (frutta   secca ).Le più comuni noci di Sorrento, nucelle (nocciole), arachidi infornate, castagne r’u prevete (del prete) volteggiano sulle tavole con  altre prelibatezze, particolarmente gustose e ipercaloriche,cioè  datteri, fichi secchi e prugne ricoperti di  cioccolato o ripieni di noci, nocciole  o mandorle.

 Un cenno particolare meritano i cosiddetti “folarielli” o follovielli, involtini di uva passa o fichi secchi e frutta candita, che sono un prodotto tipico di Sorrento consumato soprattutto durante le feste di Natale.

 Pare che fossero noti già agli antichi romani che utilizzavano perlopiù foglie di fico, vite e platano, attualmente sostituite da quelle di limone, cedro e arancio, legate poi con fili di rafia.

 Il nome può derivare  da “folium volvere” (avvolgere la foglia) oppure da follare (pigiare ) o ancora, secondo un etimo popolare meno dotto e più incerto, da folliculus (sacchetto o guscio).

La lavorazione dell’uva è più lunga e complessa  dell’essiccazione dei fichi perchè l’uva viene  prima lavata nel vino bianco, poi essiccata, bollita  nel mosto, infine  infornata e aromatizzata con pezzetti di frutta candita, di solito arancia.

 Eccoli qui…attenzione che si ingrassa solo a guardarli   :)