I fatti di Colonia tra denunce, responsabilità, reazioni, opinioni, strategie politiche affinchè i diritti e le libertà delle donne siano valori indiscutibili e non negoziabili

Nella notte di san Silvestro a Colonia le donne, affluite nella piazza vicina alla Cattedrale e alla stazione centrale per festeggiare il Capodanno, sono state circondate da circa mille uomini, suddivisi in  gruppi di 20 -30,  e sono state molestate, palpate, umiliate, derubate. Le forze dell’ordine non sono riuscite a contenere  i vari branchi,  gli uomini che accompagnavano le donne non riuscivano a opporre resistenza, qualcuno è stato derubato e malmenato. Il giorno dopo da un rapporto della polizia non risultava nulla dei disordini e delle aggressioni, ma hanno iniziato a fioccare prima 30, poi 40, 150, 300, fino a più di 600 denunce di molestie sessuali, messe in atto  quasi contemporaneamente anche in altre città tedesche  come Amburgo, Francoforte, Stoccarda, Düsseldorf , mentre a Bielefeld,  in Vestfalia, 500 uomini hanno aggredito le ragazze presenti  nella discoteca Elephant Club.

La notizia ha iniziato a rimbalzare in rete e attraverso i media, suscitando un generale sdegno e tanti interrogativi. Dalle testimonianze risultava che i branchi erano composti perlopiù da nordafricani e arabi, ubriachi ed esaltati. Il capo della polizia di Colonia ha subito ammesso che le aggressioni, così come sono avvenute, dovevano essere state coordinate ed è stato mandato in pensionamento anticipato per la gestione della sicurezza e dell’informazione dopo le violenze di Capodanno; in seguito  il Ministro della Giustizia tedesco ha dichiarato che gli attacchi sono stati pianificati. Le notizie, spesso frammentarie e contraddittorie,  hanno suscitato disorientamento nell’opinione pubblica internazionale. Alcune domande  sorgevano spontanee: come mai una così massiccia concentrazione di extracomunitari in quella piazza, come mai queste aggressioni sono avvenute oggi e non in passato? Come mai alcuni aggressori sono confluiti da centri a 100 km di distanza, se non addirittura dalla Francia e dall’Olanda, come hanno poi scritto in seguito?  Una prima lettura dei fatti di Colonia è emersa in due editoriali. In “Il corpo delle donne e il desiderio di libertà di quegli uomini sradicati dalla loro terra” lo scrittore algerino Kamel Daoud  ammette: “Del rifugiato vediamo lo status, non la cultura. E così l’accoglienza si limita a burocrazia e carità, senza tenere conto dei pregiudizi culturali e delle trappole religiose…Nel mondo di Allah il sesso rappresenta la miseria più grande” .

 Invece in  “Quegli uomini che negano le violenze contro le donne”– i fatti di Colonia e la profonda ferita nella coscienza europea-  Aldo Cazzullo denuncia l’incredibile sottovalutazione della situazione che lascia una ferita perché tutti  pensano che poteva capitare a una sorella o una figlia che esce per festeggiare il Capodanno in piazza, per vivere spensieratamente la sua libertà. Incredibile il tardivo riconoscimento di quanto accaduto, confermato dal primo rapporto della polizia tedesca che riferiva di  una nottata pacifica. Del resto in Germania si è indulgenti verso gli eccessi festaioli sia dell’Oktober Fest, del Carnevale e del Capodanno dove l’alcool libera da freni inibitori e i fuochi sono lanciati ad altezza uomo, a dispetto della nomea di Napoli.

Allarmismi infondati o differenze culturali sottovalutate? Certe sono le molestie e le oltre 600 denunce, le insufficienti misure di prevenzione e sicurezza, la sottovalutazione della situazione da parte delle forze dell’ordine, sia prima i fatti di Capodanno che durante il loro svolgimento. Il direttore generale dell’anticrimine della Renania Settentrionale Vestfalia, nel rapporto presentato a una seduta speciale del parlamento regionale a Düsseldorf, ha poi dichiarato che dalle indagini sulle molestie nella notte di San Silvestro NON risultava  nessuna organizzazione o guida degli attacchi . 

Reazioni.

 Intanto si è subito scatenata una duplice  reazione: quella degli  hooligan, impegnati in  una caccia all’uomo nel centro storico di Colonia conclusasi col ferimento di  pakistani e siriani,  più un  corteo del movimento xenofobo di estrema destra Pegida ( Patrioti Europei contro l’Islamizzazione dell’Occidente), e  quella  delle donne che hanno inscenato flash mob di protesta.  Strano come gli artefici di vandalismi, violenze gratuite e misoginia si siano prontamente  elevati a paladini dei diritti delle donne,  tant’è che ciò ha alimentato una tesi complottista  che li vede come anonimi fomentatori delle violenze via Whatsapp.

Dalla  ricostruzione ora per ora dei fatti di Colonia, pubblicata sul Corriere della Sera, si è aperto uno scenario inquietante e  si è avuta conferma  che il tutto non era solo dovuto al temporaneo uso di alcool e stupefacenti, alle eccessive scariche di adrenalina che contagiano il branco. Intanto il sindaco di Colonia, Henriette Reker, ha infelicemente consigliato alle donne di tenersi a un braccio di distanza dagli immigrati in occasione delle manifestazioni di piazza, provocando così prevedibili e immediate  contestazioni. Si consideri che durante la campagna elettorale  l’ attuale sindaco fu  ferita in un’aggressione xenofoba per il suo impegno a favore dei richiedenti asilo e di una politica d’integrazione.Ciò fa intuire che i continui arrivi dei rifugiati in Germania, molto avversati dalla destra,  abbiano creato problemi di integrazione e di  convivenza con i tedeschi, una situazione sociale apparentemente tranquilla,  poi precipitata e resa visibile agli occhi del  mondo intero. 

In Egitto

Questi fatti di Colonia  però dovevano pur avere una spiegazione logica, non per altro per esorcizzare la comprensibile e generale paura.  Intanto in rete sono stati segnalati articoli sulle violenze contro le donne in Egitto, sulla pratica del ” cerchio dell’inferno”, consistente nell’accerchiamento e  nello stupro collettivo  delle donne che osano frequentare le piazze di notte o vestire come le occidentali. Ciò si è verificato soprattutto al Cairo, in Piazza Tahrir, durante la rivoluzione egiziana del 2011 ove le donne volevano festeggiare  e invece ebbero conferma che nulla sarebbe cambiato per loro nella società patriarcale esistente. Questi stupri sono stati spesso strumentalizzati politicamente,  prima messi in atto dai soldati dell’esercito di Morsi poi anche dai ribelli nei giorni della protesta contro il governo di Morsi, ormai deposto, quando  novantuno donne,  scese in piazza per manifestare, sono state aggredite e violentate da gruppi di uomini, forti  dell’impunità. In  rete sono reperibili  testimonianze e video impressionanti  di questa pratica, di cui rimase vittima anche la  giornalista francese Caroline Sinz.

Nelle piazze egiziane si attivarono volontari, i “Tahrir Body Guard”, riconoscibili dai giubbini fluorescenti e  pronti a intervenire e mettere in salvo le donne in difficoltà come risulta da questo video del Corriere che è una breve sintesi di quegli stupri collettivi. Spesso le nordafricane  non denunciavano, e non denunciano, le violenze subite sia perché non hanno séguito con condanna dei colpevoli, sia  perché sono ritenute gravemente disonorevoli e  implicano quindi l’impossibilità di sposarsi oltre a  una perenne discriminazione sociale. 

Ben presto trova conferma ciò che maggiormente si temeva. Un rapporto del Ministero di Giustizia della Renania Settentrionale- Vestfalia e l’Ufficio federale tedesco di polizia criminale hanno  definito “taharrush gamea” (termine arabo che indica la pratica di molestie- violenze  sessuali di gruppo che si svolgono in strada  e in mezzo alla folla), le molestie della notte di san Silvestro a  Colonia, come quelle  di Piazza Tahrir, perpetrate da uomini “quasi esclusivamente” di contesto migratorio “nordafricano e arabo”, di recente arrivo.  

Le reazioni della stampa.

Interessante notare  come  la stampa di destra abbia molto sottolineato la provenienza dei responsabili per contrastare la politica di accoglienza  a sostegno invece di quella   xenofoba. La stampa di sinistra ha rilevato invece l’inefficienza delle forze dell’ordine, la necessità di una più  efficace politica di integrazione, soprattutto culturale,  l’immediata  ed energica reazione della Merkel. È emersa  anche una tesi complottista per cui i messaggi di incitamento alle violenze sarebbero stati anonimamente inviati da estremisti di destra per fomentare l’odio razziale e religioso.

Questi sono più o meno i fatti che sinceramente, a dir poco, mi hanno molto disturbata . Quel che continua a stupirmi è la posizione delle donne, poco manifestata e sentita attraverso i media, e non a caso ho deciso di scriverne. Subito dopo i fatti, circa 300 donne hanno improvvisato flash mob di protesta nella piazza dei misfatti, altre hanno partecipato al corteo organizzato dal movimento  Pegida  di estrema destra. Mi chiedo se esista un movimento femminista in Germania, che fino a poco tempo fa nel mio immaginario appariva come la nazione dell’efficienza,  delle mille opportunità , del benessere socio culturale. Unica voce forte e chiara, sin dall’inizio, è stata quella di Angela Merkel che ha subito richiesto leggi più dure ed effettivamente applicate e ha annunciato la revoca del diritto di asilo ai profughi che risultino colpevoli.

Le opinioni  di alcune intellettuali italiane.

In Italia Dacia Maraini dichiara che siffatti reati sono stati compiuti da migranti di seconda e terza generazione, emarginati sociali che trovano soddisfazione nel provocare terrore;  invoca una revisione della politica di accoglienza, un rispetto fermo delle nostre leggi, delle libertà conquistate dalle donne, dei nostri valori e delle nostre abitudini. Un rispetto che deve essere reciproco e costruito sul piano culturale. 

Natalia Aspesi  fa un discorso generale sulla violenza di genere  “Quella notte, a Colonia, ma anche altrove, le donne si sono ritrovate completamente sole, tra maschi violenti, maschi indifferenti, maschi spaventati. Di nuovo dentro la loro storia secolare di isolamento, impotenza, sopraffazione, abbandono, pericolo, che ogni tanto sembra finita e invece non lo è mai: probabilmente ancora una volta usate per consentire a un branco di maschi di disprezzarle e rimetterle al loro posto di sottomissione e irrilevanza, e a un altro branco di maschi di ergersi, dopo i fatti e solo a parole, a indispensabili protettori, a eroici paladini della loro libertà, che per secoli hanno ostacolato e ostacolano tuttora; e a un altro branco ancora a servirsene come pedine di una sporca politica.”  

La scrittrice Lorella Zanardo  si è espressa duramente sulla tardiva reazione di condanna da parte delle femministe italiane, come se ci fosse qualche perplessità nel riconoscere le responsabilità degli immigrati, ha chiaramente detto che prima devono essere tutelati i  diritti delle donne e poi degli altri, e che è indecisa sulla sua partecipazione alla manifestazione a Colonia, annunciata  per il 4 febbraio, perché teme che possa ridursi a una semplice passerella.

L’antropologa  e sociologa Amalia Signorelli denuncia:  “ A Colonia una guerra tra maschilisti. Le violenze prima. La strumentalizzazione poi. Perché l’uomo occidentale difende le donne per sentirsi superiore ai musulmani.” In pratica la donna è sempre considerata terra di conquista dell’uomo che se ne serve  per affermare la propria supremazia e riconosce che oggi le donne quasi temono di esporsi nel manifestare dissenso, anche perchè “femminista” è intesa in un’accezione negativa, grazie anche alle più recenti generazioni che vivono di rendita delle battaglie intraprese da altre donne a partire dagli anni ’70.  

Manifestazioni sì o no?

Inizialmente  pareva che il 4 febbraio a Colonia, proprio in occasione del Carnevale che prevede un grande affluenza di persone, si sarebbe svolta una manifestazione. Si discuteva se  consentirne la libera partecipazione a donne provenienti dalle  varie parti d’Europa,  poi per motivi  di sicurezza solo  ad alcune intellettuali italiane e contemporaneamente le manifestazioni avrebbero dovuto svolgersi anche in altre piazze d’Europa ( auspicando magari  la presenza di  donne e uomini musulmani che condannano queste violenze) . Ammetto che di questa manifestazione non ho trovato più notizie. Intanto  la tradizionale sfilata dei carri carnevaleschi è stata sospesa a Rheinberg per timore  delle aggressioni sessuali e per l’impossibilità di attivare idonee misure di sicurezza, e  nella città tedesca di Bornheim, vicino Bonn, il Comune ha vietato l’ingresso nella  piscina pubblica a profughi maschi in seguito a segnalazione di molestie da parte delle ragazze che la frequentano.

 In Italia.

La violenza di genere esiste, in Italia come  in altri paesi europei . Un giornalista che chiedeva  a un giovane italiota nostro cosa pensasse delle molestie di Colonia si è sentito rispondere, con una superficialità che avrà disintegrato l’unico neurone dell’intervistato, che in una  situazione del genere ( di branco)  non si tirerebbe indietro dal partecipare alle molestie. Fatto grave che testimonia ancora una volta che manca una cultura di genere, e la consapevolezza che la violenza contro le donne  è trasversale a prescindere dall’estrazione socio culturale  e dalla nazionalità degli uomini.

dati-stupro-2014-grafico-torta-465x463Basti ricordare che  a fine dicembre 2014 il ministero di Giustizia minorile ha detto  di avere in carico ben 532 ragazzi condannati per stupro e 270 per stupro di gruppo. A questi si aggiungono alcune condanne per altri reati a sfondo sessuale (ad esempio abuso su minore e detenzione di materiale pornografico attraverso sfruttamento di minori in cui sono coinvolti maschi e femmine) per un totale di 973 ragazzi, di cui  235 sono stranieri e 738 italiani. Tra  le prime dieci provincie di  provenienza dei giovani delinquenti compaiono  città del sud, come Bari e Napoli, ma anche città del nord, come Bergamo e Trento, e le regioni più interessate sono la Puglia con 131 casi e l’Emilia Romagna con 129. Questi dati dimostrano come il fenomeno sia trasversalmente  diffuso a livello territoriale, come la violenza di genere si manifesti già in giovanissima età e come il silenzio sulla questione culturale impedisca il cambiamento. Se nel  1996 l’Italia ha riconosciuto lo stupro come reato contro la persona, e non più solo contro la morale, bisogna prendere atto che in questi  venti  anni le leggi non si sono rivelate  sufficienti, proprio perché  non supportate  da  un percorso  culturale ed educativo né da dure condanne.

Opinione personale

A mio avviso, manca una dichiarazione ufficiale  dell’Unione Europea a riguardo di  questi fatti, una forte  e univoca condanna in difesa dei  diritti delle donne. Ciò non significa  scatenare  uno scontro culturale, né avversare la politica di accoglienza e d’ integrazione, sulle quali dovranno interrogarsi e provvedere i singoli governi, ma riconoscere  la libertà  delle  donne, europee e non. Manca un discorso serio di legalità, forse per timore di aizzare la deriva destrorsa,  razzista e xenofoba che  serpeggia in tanti paesi europei. Invocare  il rispetto delle leggi e delle persone  dei paesi che accolgono, spesso impegnati nel rispetto delle tradizioni e  delle culture diverse e in un processo di integrazione, e chiedere l’immediata espulsione di chi delinque non significa essere xenofobi, bensì difendere diritti che sono stati così sfacciatamente violati.

Proprio  il  primo giorno del  2016 abbiamo avuto conferma che anche in Europa la violenza di genere può essere una strategia politica, come gli  stupri di massa che ci sono e ci sono stati in ogni guerra e a ogni latitudine.  Trovo  avvilente  dovere ricordare che i  diritti e le libertà delle donne sono valori indiscutibili e non negoziabili, che vanno garantiti e tutelati sempre e comunque,  perché soprattutto la molestia e la violenza sessuale  sono mortificanti e odiose e non possono assolutamente essere tollerate  da paesi che si dichiarano civili.

Cos’è la guerra?

dragoA volte mi spavento un po’ di me stessa. Ieri, pensando a un thread in un social network  sulle nostre paure infantili, ho iniziato a scrivere un post ricordando ciò che successe in una  mia classe quattro anni fa. Durante una conversazione, un bambino di sei anni mi chiese: “Maestra, cos’è la guerra?” Gli altri bambini iniziarono a ridere e a mimare sparatorie . Ebbi l’intuizione di tacere, perché in un primo momento pensai che scherzasse ma quando insistette, rivolto verso i compagni: “Embè, che ci avete da riiide? Cos’è la guerra?”,  mi ha completamente spiazzata. Dovevo trovare le parole giuste per un bambino di sei anni, ma non volevo sporcarlo con una spiegazione del reale. Mentre i compagni provavano a rispondergli , ho cercato di ricordarmi cos’era per me la guerra quando ero piccola. In pochi flash di memoria ho visto draghi e cavalieri, streghe, magie, diavoli (grazie a quel catechismo terrorizzante di cui ci infarcivano), indiani e cowboy. La guerra dei buoni e dei cattivi, a volte necessaria, per il lieto fine della storia. Una guerra interpretata da eroi e antieroi, spesso tra incantesimi e magie.

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Poi c’era un’altra guerra, quella narrata dai nonni, dagli zii e dai miei genitori: la guerra dei bombardamenti, della fame, dei parenti sfollati che arrivarono via mare da Napoli a casa dei nonni , dei soldati inglesi che occuparono l’appartamento dei nonni, della catasta di cappotti  da rammendare nell’atrio del portone , della nonna e della zia che vigilavano sulle figlie alle quali i soldati regalavano sguardi e sorrisi, carne in scatola e cioccolato. Fatti che mi incuriosivano, mentre mi rattristavano quelli di papà sulla fame e sul nonno che finì in un campo di prigionia in Egitto. Ieri volevo chiedervi se ricordate più o meno a che età, da bambini e da ragazzi, avete capito cos’è la guerra. Per  quel mio alunno,  che aspettava  una mia risposta, ho trovato parole banali, che non turbano, perché essa evoca solo parole nere: morte, distruzione, dolore, fame, perdita della casa, dei cari, delle fiabe e dell’ingenuità. “La guerra riguarda i grandi, che a volte non si capiscono o vogliono per forza qualcosa e diventano prepotenti e bisticciano”  “con i fucili e le mitragliatrici…” aggiunse il combattente di classe. In verità a quel bambino non volevo rispondere e mi sono poi chiesta che risposta si danno quei bambini che davvero vivono la guerra.

Ora sto pensando a cosa dire ai miei alunni di sette  anni se lunedì faranno domande sulla strage di Parigi.

 

“Dipende da come ci si pone…”

piena del tevere 7

 

La città eterna degli angeli è lontana ma tanto presente nei miei occhi che continuano a vederne e a cercarne la bellezza. Una bellezza tanto vasta e invadente che  forse non basta una vita intera per viverla tutta, e centellino i ricordi di Roma  con parsimonia, come tutte le cose preziose che si custodiscono con cura in uno scrigno dentro di sé . A volte capitano cose che arricchiscono  tanto da rendere insignificante tutto ciò che prima ritenevi importante. 

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Un primo giorno di scuola come tanti altri, diverso solo perché a Roma e non più in Liguria. Una prima classe con bambini e genitori emozionati, come altri, come in passato noi con i nostri figli. Due fratellini, maschio e femmina  con un anno di differenza, sono accompagnati da un ragazzo e da un uomo in giacca e cravatta,che credevo il papà e invece , capisco, è un mediatore culturale. Saluta, mi dice chi verrà a prenderli, me li affida. Prendo per mano la piccola dai grandi occhi nocciola mentre il fratello, un po’ impettito, le sta vicino cercando di celare il senso di spaesamento nel nuovo contesto. Quando gli altri genitori vanno via, quel bambino mi porge un foglio. Sua mamma si presenta  a me e alle mie colleghe,  in una grafia curata comunica  che è molto contenta che i suoi figli inizino a frequentare la scuola, che spera di conoscerci presto e ci augura un buon inizio di anno scolastico. Un pensiero gentile sbocciato tra caratteri in stampato maiuscolo ed errori di ortografia, così insolitamente  gentile che mi commuovo.  Questi due bambini  sono di un’educazione, a dir poco, disarmante.

'a manoAbituate a bambini irrequieti ,  lamentosi che spesso si contendono i giochi e l’ attenzione degli adulti, non ci sembra vero che  loro stiano ben seduti, forse un po’ troppo timidi e disorientati. Lui dà sempre  la mano alla sorella, quasi per proteggerla, perché è minuta, un po’ più piccola delle bimbe della sua età  ma anche tanto bella. Anche l’ ometto, serio e  taciturno, è un bel bambino con gli stessi occhi color nocciola. Il loro silenzio tradisce un’attenzione ad ampio raggio verso tutte le persone e le cose che li circondano.  Dopo qualche giorno i bambini iniziano a familiarizzare con gli altri, con discrezione, senza insistere troppo, quasi con timore. 

prog muse“Qual è stato per te un momento in cui ti sei sentito felicissimo?” alle risposte un po’ scontate “Quando ho festeggiato il compleanno, quando ho ricevuto in regalo…, quando ho vinto giocando a calcio…” I.  ha risposto timidamente  :“Quando papà ha detto che potevo andare a scuola”, la bimba  invece: “ Quando mamma mi ha svegliato di notte e abbiamo mangiato insieme  pane e cioccolato”. L’anno dopo alla tradizionale domanda  “ Che cosa ti piacerebbe fare da grande?” oltre alle solite risposte “ il calciatore, la ballerina, la cantante, il veterinario, …” se  la bimba ha prontamente detto  “la ballerina” ( del resto ha una straordinaria abilità e armonia nei movimenti  nel seguire il ritmo) invece  l’ometto, che ben pondera le parole,  ha esordito  con “ lo studente modello” . Risposta  pertinente a quel suo desiderio e orgoglio di riuscire a imparare, che per lui  significa  riscattarsi dalla sensazione e dalla condizione di non essere mai ben accetti, di essere discriminati, additati perché rom.

In un campo di Roma quel bambino accudisce le sorelline, ma quella di sei anni  “  sa progetto Mus-e 1lavare i piatti (maestra) come una donna grande” e canta e gioca con la più piccola quando la mamma va a lavorare. Sono seguiti dai giovani dell’Arci che spesso fanno da tramite tra la scuola e la famiglia. Ho conosciuto i genitori  di quei bambini che sono venuti  a scuola indossando il loro vestito più bello. Io e le colleghe pensavamo che non si sarebbero presentati al colloquio, invece  in perfetto orario un ragazzo e una ragazza, di due anni più grandi di mia figlia, sono entrati  nell’ atrio  un po’ timorosi e impacciati. Lei, dai  lineamenti delicati, grandi occhi nocciola e lunghi capelli legati, era  gentile nei modi e nelle parole, aveva un che di regale nel portamento. Bella, davvero bella.  “Come vi trovate a Roma?” “Maestra , qui la gente non è cattiva, molto dipende da come uno si pone”. Lui più taciturno, forse diffidente o semplicemente imbarazzato. Quando è finito il colloquio ci hanno salutato abbracciandoci. Non siamo solite salutare i genitori in modo così espansivo, ma quel saluto spontaneo ci ha coinvolte. Quel congedo ha sciolto ogni perplessità e costruito un rapporto di fiducia.

Qualche settimana prima avevamo scritto a tutti i genitori un generico avviso di controllo dei bambini  per evitare casi di pediculosi e la giovane mamma  ci aveva scritto sul diario “Grazie, maestra.  Scrivi pure se vedi pitocchi,  scusa ma  non posso fare il bagno tutti i giorni ai miei figli. Grazie ,grazie”. Quella ragazza ha insegnato ai suoi figli a usare le posate e a stare composti a tavola, cosa rara al giorno d’oggi. Quei bambini arrivano puntualmente a scuola, tranne quando il campo si allaga con la pioggia e lo scuolabus non passa a prenderli . Non hanno sempre l’occorrente scolastico, come del resto anche altri bambini ai quali spesso provvediamo noi insegnanti,  ma sono sempre in ordine, pettinati e cambiati. Consegnano  i quaderni nuovi e si mostrano quasi con fierezza  con il grembiule nuovo  indosso, quando la mamma riesce  a comprarli .

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Quei bambini sono stati contenti di vedere il loro papà ben vestito e accolto tra gli invitati e le autorità all’ inaugurazione di un Progetto sui diritti dell’Infanzia  proprio in una  scuola d borgata, che qualche giornalista ha definito in una strada da piccolo Bronx, ma dove  ho trovato l’ennesima conferma  che la scuola e l’istruzione rendono possibile l’integrazione, un’integrazione che dipende da come ci si pone, reciprocamente.

Anni fa, quando il campo Candoni  fu al centro di un progetto interistituzionale all’avanguardia per l’integrazione,  in quella scuola prima dell’inizio  delle lezioni le assistenti comunali accoglievano tanti bimbi rom e provvedevano anche a lavare loro e i loro vestiti. Una scuola dove si lavora molto per contrastare ogni forma di disagio,dove ho insegnato volentieri  ma soprattutto  imparato tanto e lasciato un po’ di cuore.

20140309_105302Questa non è una fiaba, magari lo fosse e avesse un lieto fine, ma è una mia bella esperienza che ho voluto condividere per testimoniare che  non tutti i rom sono brutti, sporchi e cattivi come si è sentito tanto parlare di recente . A volte dipende da come ci si pone. Reciprocamente. A volte basterebbe ricordarsi  che tanti, troppi sono i bambini invisibili che vivono nei canneti o in  campi -discariche, come se fossero topi. Tanti dormono in furgoni freddi d’inverno e roventi d’estate  anche perché più sicuri dei campi sovraffollati dove la convivenza è difficile.  Mi hanno detto che quei miei alunni sono un’eccezione. Forse  lo è anche un’altra mamma rom che, dopo lo sgombero di un campo, ogni giorno percorreva  circa  tre chilometri  per accompagnare  due suoi figli a scuola e una mattina stava accovacciata in terra con un bimbo al collo perché, incinta e a digiuno, si era sentita male. Probabilmente due eccezioni non bastano a far saltare ogni pregiudizio ma sono state e sono per me e per altri  un prezioso e  tanto, tanto caro esempio.  

Buon Natale, amici miei ! SAM_2790

Quanto mi dai?

I recenti fatti di cronaca di minorenni che svendono il loro corpo o si esibiscono via mms o in portali a luci rosse  in cambio di una ricarica, abiti griffati, droga e soldi  non sono tristi episodi ma un fenomeno sociale da non sottovalutare, che  dimostra quanto sia grande la crisi di identità in cui cadono gli adolescenti in Italia.

Se di fatto esiste un disagio giovanile sul quale riflettere, riconosco però che esiste anche disagio nel ruolo genitoriale. Alcuni genitori rifuggono il proprio ruolo educativo, altri cercano di trasmettere i cosiddetti sani principi ma si trovano a combattere contro quelli propinati da altre agenzie “educative” più accattivanti  che ostentano prototipi femminili che spesso si fanno strada nel mondo dello spettacolo, e non solo, in cambio di prestazioni che nulla hanno a che vedere con il merito, la competenza e la bravura.

Nella nostra società, grazie all’imperante consumismo, si considerano sempre più l’aspetto materiale della vita e l’esteriorità delle persone e di fatto esiste il culto dell’apparire, enfatizzato anche a  livello mediatico. Se anni fa le bambine giocavano con le bambole, compagne del loro immaginario infantile, oggi tendono ad identificarsi nelle bambole  in carne ed ossa, belle, ricche e di successo… sempre in vetrina. Modelli da emulare.

L’ambito abito griffato, che fa tendenza, è divenuto una sorta di status symbol che rassicura e viene percepito come garanzia di omologazione, di consenso sociale e di un senso di appartenenza indiretta all’Olimpo della passerella dove però tra variopinti voile, trine e nastri si snodano anche diverse interpretazioni estetiche della femminilità. L’abito di valore copre la persona, compensa la mancanza di valori e di spessore della persona (Erich Fromm parlava di avere o essere…).

Spesso l’adolescente evade, anche con alcool e droga,  e si rifugia in un mondo fantastico perché non accetta quello reale, talvolta simula precocemente quello reale per sentirsi più grande. Realtà e finzione si confondono in un gioco vero o simulato ove conta riscuotere conferme, consensi e anche soldi per potere apparire sempre più. Perché se appare, esiste.

Nella fase del no assoluto, la ragazzina trasgredisce per affermare se stessa nel graduale processo di costruzione della propria identità. Questo è il periodo più critico per l’adolescente, in balìa di se stessa e delle pulsioni emotive che non sa ancora decifrare. Talvolta non ha “paletti fissi”e trasgredisce sempre più, perché non ha interiorizzato valori o non li condivide abbastanza (i valori si acquisiscono se trasmessi con l’esempio ed input univoci ).Tutto fa spettacolo sul palcoscenico del sè egocentrico , spesso frustrato da insuccessi e timori, mancanza di punti di riferimento, solitudine e noia per cui le ragioni dell’ “usa e getti” (corpo compreso, inteso come bene di facile consumo), del “tutto e subito” divengono il mezzo di una prima affermazione sociale.

 La giovane età è però sempre un’attenuante. Responsabili sono gli adulti, che come genitori  a volte abdicano al ruolo educativo, incapaci di mettersi in gioco o più semplicemente ineducati loro stessi.  Nessuno insegna  a fare il genitore. Genitori si diventa: gradualmente si cresce e si matura con i figli avvalendosi della propria educazione, esperienza, buonsenso e umiltà di mettersi in discussione, di ascoltare e cercare di capire disancorandosi da se stessi, di chiedersi se si sbaglia o meno tra varie perplessità e responsabilità, a volte anche stanchezza. Per quanti sforzi si facciano non è detto che si riesca al meglio, perchè ogni adolescente ha una personalità propria, infatti capita che gli stessi input educativi possano produrre reazioni diverse in due o più figli.Delegare agli altri è più comodo, come il dire sì a ogni richiesta è più facile, perchè il no deve essere motivato e mantenuto. Sostenere gli adolescenti nel processo di crescita significa impegnare tutte le proprie risorse interiori  con un atto d’amore che implica non solo affetto e disponibilità ma anche  fermezza, energia, costanza e coerenza (insomma un’ardua impresa!)

  Maledettamente responsabili sono  soprattutto quegli adulti che abusano in vario modo, anche se c’è un libero consenso della minore, perché è un consenso   comunque immaturo di chi è ancora sospeso tra la fragile emotività, che ancora all’infanzia nel bisogno di dare e ricevere tenerezza,  e l’istintiva, naturale, apparentemente precoce pulsione ad affermarsi con un’identità e un ruolo ancora in divenire.

Infanzia e adolescenza non sono solo fasi della vita ma dovrebbero essere percepiti come valori di cui tutti dovrebbero farsi carico perché “Per fare crescere un bambino ci vuole un intero villaggio” (proverbio africano).

 

Artist Chris Buzelli

Nell’adolescenza … “la vita inizia a pulsare forte con tante, contrastanti emozioni che morsicano il cuore, con un carico di energia che ha bisogno di venire fuori per non implodere dentro. A quell’età l’intuizione prevale ancora  sulla logica, che sgomitola fili ingarbugliati, e  non riesce a trovare risposte opportune ai quesiti sempre più incalzanti, alle perplessità e ai timori del domani. Al cambiamento apparente  del corpo e della voce si sovrappongono l’inquietudine, il dubbio, un senso di inadeguatezza e  una  latente insicurezza  di fronte a un presente in cui bisogna ripensarsi per ripensare nuove e più confortanti certezze. Troppa confusione e nostalgia di àncore e del futuro, mai messe a fuoco in maniera nitida, chissà come  riescono a rendere   possibile il miracolo della crescita perché la miopia dell’adolescenza in fondo è il motore della vita, la spinta alla ricerca, alla scoperta di sé e del mondo” (da “La nuotatrice in skipblog.it)

Chi interrompe e fuorvia l’armoniosa e graduale costruzione di identità  dei ragazzi compie uno dei reati più odiosi e abietti, la cui gravità non è comprensibile a tutti, soprattutto a coloro che non si fanno scrupoli pur di godere o arricchirsi. Ben venga l’iniziativa del Ministero della Pubblica Istruzione di promuovere l’educazione all’affettività nelle scuole di ogni ordine e grado, perché è da lì che bisogna ripartire per fronteggiare quest’emergenza educativa, sperando di riuscire a vederne i frutti nelle prossime generazioni.

 

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In nome del padre

Con questo post partecipo alla prima edizione del Carnevale della Letteratura, ospitato da il Gloglottatore . 

La sera,velata da nubi di zucchero filato, cala lentamente con  sfumature violacee. Una a una si accendono le luci nei profili sempre più scuri  rivelando l’intimità inviolata di case e cuori. Il silenzio induce al riposo in un ritaglio finale di tempo che ammortizza gli affanni della giornata. Un cane si accuccia vicino al padrone, un gatto si raggomitola sul cuscino della sedia, un bambino si copre il viso con il lenzuolo e aspetta che qualcuno rimbocchi le coperte.

Io sono qui, custode di anime e testimone di eterna bellezza, appollaiato nelle preghiere ricorrenti, chiamato a vegliare sogni, silenzi, a volte lacrime in  quei momenti in cui si smarrisce ogni ruolo, ogni difensiva, ogni riflesso  specchiato del sè per cogliersi in un attimo di spudorata autenticità.

 

“Amore  mio , dormi, chiudi gli occhi e dormi.”

“Ho paura, resta qui. “

“Non sei solo, io sono vicina a te e , se non ci sono, c’è sempre un angelo custode vicino a ogni bambino, anche vicino a te.”

La luce degli occhi di mia madre e la dolcezza del suo sorriso sono sempre stati con me, mi hanno dato la certezza di un amore viscerale, senza riserve e aspettative. Oggi il suo viso mi appare ricamato dai segni della stanchezza e negli occhi vedo diluite le indelebili orme della solitudine. La vita a volte è ingiusta. In me ha trovato più di una ragione per guardare avanti e  investire ogni  risorsa interiore con  tutto l’amore possibile. Mamma, sarò sempre con te.

Queste luci mi danno fastidio. Che casino ho combinato, non dovevo, non dovevo per lei. Un altro dolore insopportabile, un’altra preoccupazione, come se non bastassero le altre. Mamma, perdonami…

Quegli  schiaffi mi bruciano ancora. Li hai presi per colpa mia. Lo ammazzo. A volte mi chiedo se troverò mai pace dentro. Potessi cancellarlo  da ogni poro della mia pelle, da ogni mio gene. Maledetto, grande uomo! Ha avuto l’abilità di rovinare la tua e la mia vita. Dove attecchiscono  la sua arroganza e  la sua invadenza non esiste null’altro se non il suo sé possessivo e straripante . Mi brucia ancora quel sarcasmo sferzante, inopportuno, offensivo. Non mi ha mai voluto. Non mi ha mai accettato. Non è colpa tua, mamma, ma mia. Non ce la faccio più.

 

 Un brusio continuo, a stento represso, anima la sala d’attesa. Ragazzi e  ragazze si stringono tra loro intorno agli insegnanti preoccupati . La professoressa  è ancora scossa, a stento trattiene le lacrime, in tanti anni non le è mai successo un fatto così grave. Parla animatamente con alcuni colleghi dall’aria preoccupata e accondiscendente “Ma come abbiamo  fatto a non intuire nulla?” Domande, che non troveranno mai risposta, rimbalzano di bocca in bocca per  esorcizzare la paura del peggio e lenire un po’ il senso di colpa e di impotenza degli adulti che si trovano di fronte a realtà imprevedibili, inimmaginabili, a voragini ben nascoste dalla presunta  e scontata normalità quotidiana.

Una  voce, attutita come il rumore di  un sasso  che cade sul fondale del mare, atterra pian piano nel  flusso disordinato dei miei pensieri  e di quei flash che abbagliano la memoria ,  “Ciao, come ti senti?”

Sento le sue lacrime sulla mia pelle, cadono con un ritmo sempre più veloce. Posso solo immaginarla. Non si vergogna di piangere, di incazzarsi.

“Non lo fare mai più. Passerà , passerà tutto… A scuola tanti, anche di altre classi,  mi hanno chiesto di te …”  Le sue parole inciampano in singhiozzi spontanei che  rivelano  preoccupazione mista a sincera solidarietà.

Una cascata di riccioli. Ecco, riesco  a mettere a fuoco il contorno del viso, gli occhi. Quanto sono grandi e lucidi! Le labbra, le osservo per comprendere meglio le sue parole, si ripiegano in una smorfia  imbronciata che pian piano si scioglie in un affettuoso sorriso.

Flavia, ha il sorriso di ogni donna. C’è una tacita complicità tra me e lei, mi ha sempre ascoltato , c’è sempre stata. Se penso all’amicizia, penso a lei.

“ Sto bene, sono solo stordito.” Non le confesso che mi sento  anche imbarazzato, a disagio…

“ Ci hai fatto prendere un bello spavento.”  Sento la sua mano calda sulle mie dita. Solo ora mi accorgo di avere le flebo e …non riesco a muovermi, un torpore, ecco sì i piedi non mi sento i piedi, a stento le gambe.

Cosa ho fatto!

 

Quando ero alle scuole elementari aspettavo la ricreazione per vederla. Sì, ero incuriosito da una bambola e aspettavo  quella che Lucia portava sempre per giocare con le sue compagne. Mi piaceva giocare con le bambine che, dopo  un’iniziale diffidenza, mi accolsero eleggendomi al ruolo di  papà quando giocavamo alla famiglia. Non mi piaceva fare il papà, ma era l’occasione per potere tenere in braccio quella bambola, così tenera, con le guance rosate, le labbra carnose, gli occhi spalancati su chissà quali sogni.

Il padre di famiglia. Il mio era di poche parole. Le mani nodose  squarciavano il pane, con forza, quasi con brutalità. Con gesto irruente si versava il vino nel bicchiere  e non mangiava ma divorava. Era sempre arrabbiato. Non osavo guardarlo in faccia e aspettavo il solito, il solito stizzito “mangia se vuoi diventare un uomo”. Unico latrato che interrompeva  quel silenzio asfissiante. Mamma sempre zitta, disapprovava quei modi bruschi  e  si alzava di continuo per servire o portare qualcosa in cucina. Aveva un’aria diversa dinanzi a lui,  tra la soggezione  e  la rabbia. Sì, forse rabbia repressa o insofferenza. Capivo che non lo sopportava e  che  nascondeva la sua vitalità a quell’uomo capace solo di trasmettere comandi e dominanza.

Mamma, quel  tuo sorriso dolce era solo per me, me lo regalavi di sera quando mi mettevi a dormire. A volte crollavi in un sonno profondo , mi accoglievi nell’incavo  caldo del tuo corpo e il tuo respiro, calmo e regolare, mi cullava. Quella sensazione di naturale  intimità è per me il rifugio più rassicurante della mia vita.

 Come è diversa la mia famiglia da quella della mia amica Flavia.  Mi è bastato andare solo qualche volta   a casa sua per avere l’ennesima conferma  di come  sia la  mia. Sarei andato volentieri e più spesso a casa sua, mamma però non poteva sempre accompagnarmi, perché da quando ci siamo trasferiti in città lei svolge due lavori per riuscire a provvedere a tutto. Qui non  c’è nessuno che possa aiutarla,  non  ci sono i nonni e le sue amiche, e non ha nemmeno tempo per farsene di nuove. Siamo andati via dalla nostra terra, dalle  nostre radici  quando  ha deciso di lasciarlo. Come se bastasse allontanarsi per riuscire a cancellare il passato e  un uomo  sbagliato. Mio padre. Non sarò mai, mai come lui. Ancora sento la puzza dell’alcool nel suo alito, quando mi toccava sotto perché si  vergognava di me. Mamma si è frapposta e le ha prese. Quegli schiaffi mi hanno marchiato a fuoco. Lei però non ha pianto, la pelle  del viso era livida e  tesa come quella di un tamburo, e si è riscattata in uno   sguardo  che non avevo mai visto prima: gli  occhi, stretti e taglienti, ostentavano un’ aria di sfida, una resistenza a oltranza, una fermezza che non avrei mai immaginato.

Non puoi saperlo, ma in quell’attimo ho svincolato la forza d’animo di tua madre, soffiando sul suo orgoglio ferito. Le donne hanno un’energia nascosta che può  scatenarsi  come una piena incontenibile d’acqua nel momento del bisogno, soprattutto in  difesa dei figli, la loro seconda pelle.

 “Dormi , dormi, vedrai che un giorno  andremo via, lontano. Sei il bambino più bello, angelo mio. Sei il  mio angioletto biondo.”

 Come il mio angelo immaginario, quello custode appollaiato sulla spalla, col quale parlavo da piccolo , mentre ora  parlo tra me e me. Dove sei, angelo maledetto, quando ho bisogno di urlare. Che devo fare? Tutti dicono che sono di poche parole. Sapessero quanto parlo e straparlo dentro di me. A volte ho mal di testa, mi stancano questi ragionamenti, mi opprimono questi pensieri. Troppe domande alle quali non so dare risposte, sentimenti che mi logorano. Ho provato a non deludere nessuno, a passare inosservato, a essere invisibile. Solo lui ho deluso. Non gli bastava che andassi bene a scuola, che fossi educato,  discreto. No. Non ero abbastanza robusto, gagliardo e forte . Come lui.

Colpevole, sì sono colpevole  da anni, da sempre , da quando giocavo con le bambole e non ne ho  mai potuto averne una , mia, solo mia.  Non mi ha mai concesso  il tempo di stringerla, mi ha deriso, lei era un ostaggio virtuale  nelle sue mani. Dopo poco io  sono diventato l’ ostaggio di una sua rabbia incontenibile. L’altra era la sua bambola in carne ed ossa.

Quella ragazza ha cercato di dissuaderlo, ma era un pazzo furioso. L’ha scaraventata per terra, lui  mi trascinava  mentre scalciavo, lei a un certo punto l’ha seguito remissiva. L’ha posseduta davanti a me, con pochi gesti violenti e meccanici. Ecco cosa fa un vero uomo. E io lì che non sapevo più dove guardare, mentre  lei mi sbirciava quasi vergognandosi, finchè ha chiuso gli occhi quasi per sottrarsi alla mia vista. Mi sono voltato verso la finestra. Ero terrorizzato, mi girava la testa, volevo vomitare . Ho sentito dei rumori provenire dal letto, non ho osato voltarmi, una mano mi ha tirato a sé e mi ha obbligato a girarmi. Mi spingeva verso il letto. Mi ha urlato di darmi da fare ,  le ha urlato di darsi da fare, di farmi diventare un uomo. E lei ha provato ad avvicinarsi. Io? Proprio io? Sono indietreggiato fino a raggiungere nuovamente  la finestra. Angelo, ANGELO dove sei?  Vorrei  volare via come te…nei vetri a  stento ho riconosciuto la mia immagine riflessa. Strano come la paura possa trasformare una persona.

 No, era  il male che  ti ha invecchiato di colpo, ha spento la tua innocenza.

 Mi ha chiamato per nome, mi sono voltato. Avrà una decina di anni  più di me, è bella. Ma che vuoi? La guardo sospettoso tra la paura e l’insofferenza. “Non toccarmi.” sibilo. Il suo corpo mi pare una striscia di fuoco, pericolosa, rovente, invadente.

“Fai finta , se no torna dentro.”  “Ma come puoi , cioè come riesci  a sopportare tutto questo?” “ Ci si abitua a tutto, alla fine non ci fai più caso, è come se indossassi una corazza” .E sottovoce mi ha detto cosa dovevo fare, mi ha spogliato e fatto distendere vicino a lei. Mi ha accarezzato  il profilo del viso, seguendo con le dita  il naso, il contorno delle labbra e il mento, ha  scostato con delicatezza i capelli dalla mia fronte sudata.

Mi pulsano le tempie. Mi ricorda qualcosa o qualcuno. Sì le labbra, rosse, della bambola. Il mio gioco proibito, il tabù indigesto per mio padre. Il  grande uomo. Dobbiamo essere tutti come vuole lui, a suo ordine e piacimento. A volte mi sembra febbricitante e più lo è , più mia madre sbianca e diventa piccola e, se potesse,  sparirebbe , si lascerebbe assorbire dalle pareti di casa. Come me.  Mamma  voliamo via insieme.

 

Siamo volati via, in una grande città dove è più facile smarrirsi e distrarsi. Qui puoi mimetizzarti in una  folla anonima e annullarti nell’ affascinante  bellezza dei tramonti tra le cupole che neutralizzano  ogni pensiero. I riflessi di luce nel fiume  vibrano lentamente , segnano un  pacato cammino ondeggiante   che infonde una   calma quiete.  La stessa che mi trasmette Flavia.

 Questa è la città degli angeli, quasi mortali uccelli dell’anima, solenni emblemi della purezza del dolore e del riscatto dalla vita terrena. Non è un caso che tu sia qui.

I ragazzi  però sono irruenti, caciaroni, rasati e con occhiali troppo grandi, sembrano cicale che friniscono al sole. Gridano, schiamazzano per mettersi in mostra, per attirare l’attenzione delle ragazzette. So’  sgallettati, sì sgallettati. Fingo sempre di non vederli, speriamo non mi fermino. A volte, quando ne vedo un gruppetto a metà corridoio durante la  ricreazione, torno indietro, vado di nuovo al bagno e poi aspetto il suono della campanella che segna la fine dell’intervallo per precipitarmi in classe. Durante le lezioni mi sento al sicuro e poi davanti a me c’è Flavia e dietro di me il muro. Me lo sono scelto proprio bene il posto quest’anno.

Da questa postazione strategica  posso guardare fuori la finestra. Arriva la primavera. Gli alberi intorno stanno fiorendo, i fiocchi dei pioppi volteggiano leggeri, impalpabili. La cornacchia è sempre sul ramo, mi guarda, ruota la testa. Che vuoi? Quant’è curiosa, però mi è simpatica. “Ehi sognatore” . Mi  connetto “ Di cosa stavamo parlando? Stai attento!”

Abbozzo un sorriso . Stare attenti a scuola  è quasi un piacere, in fondo. Se sapesse prof.!  Sto sempre attento a dove vado, a  vestirmi per non dare nell’occhio, a quel che dico. Meglio stare zitti, meglio non dire. Parlo solo con Flavia, di lei mi fido. Credono che abbia una cotta per lei.

Poi un giorno un cretino  ha esordito davanti a lei, per fare colpo “ ma che ce stai a  fa’ con ‘sta checca?” e sono arrossito, mi bruciava  tutta la faccia, mi veniva quasi da piangere. Mi sono sentito nudo,  nudo davanti a tutti, e  gli altri a poco a poco si sono voltati in un  silenzio irreale mentre Flavia cercava di difendermi da quelle derisioni  e gli gridava contro. Gli altri si sono avvicinati – ero lo sfigato di turno-  come se fiutassero la preda di un gioco troppo, troppo  pericoloso  e insopportabile per me.  Dio mio fa’ che non  mi leggano dentro. Lei non mi ha mai chiesto nulla e per questo l’ho sempre apprezzata. Cosa ho di diverso dagli altri, se non più sfiga, paure e incertezze.

 “Non lo fare più …” un silenzio, uno dei tanti, ma  non c’è solitudine in questo. “ Ti voglio bene”.

Le sorrido. Vorrei risponderle ma  ho un nodo in gola e non riesco ad aprire la bocca impastata  . “ Scusa mamma, non ce la faccio più. Ti prego perdonami” Solo questo sono riuscito a scrivere. Sono stanco, chiudo gli occhi. Vorrei tanto dormire, davvero .

 

 Mi ossessiona l’idea di doverlo rivedere. “La stima del padre si conquista gradualmente.” L’ho letto da qualche parte.” Il padre ti lancia in alto per farti sentire l’entusiasmo   della vita, e ti riprende con braccia forti e sicure per darti slancio verso il futuro .” Forse quello di Flavia. Il mio, possa crepare. Bestia! È una bestia anche se le bestie non vanno contro natura. Solo l’uomo è capace di tanto. Oggi gli spetta  vedermi, io non voglio, mamma non sa nulla , ma l’ultima volta che sono scappato sono stati guai con l’avvocato. Ma perché devo vedere ‘sto stronzo? Non ho nulla da dirgli, ho  paura di stare con lui.

La campanella. È ricreazione. Mi sento un peso dentro, non ce la faccio più, mi trascina giù. Le ali  sono rattrappite sotto le ascelle, voglio volare, via via via  senza affanni, senza più  ansie.  La luce, ho bisogno di aria, di luce, libero, libero, finalmente libero. 

Forza, chiudi gli occhi, chiudo gli occhi, un bel respiro. Apri la finestra, apro la finestra, fiuta l’aria. L’aria di primavera mi smuove un po’ i capelli, la sento sulla pelle.  La  mia primavera. Mi pulsano le tempie, sento il battito, i battiti, i battiti,  il cuore accelera, i battiti si rincorrono, li sento, sento il mio respiro sempre più veloce, respira forte, respiro, respiro, mi pulsano le tempie… Via, via  da un posto sbagliato, da una famiglia sbagliata, da un corpo sbagliato.

 

A volte la realtà supera ogni immaginazione, nulla è purtroppo più scandaloso della realtà. Figlio di un padre, figlio di tutti  forse non eri nel posto sbagliato. Ho cercato di attutire la tua caduta, affinchè tu possa presto  spiccare il volo verso un futuro sereno, il più in alto e lontano possibile da infondati  sensi di colpa, e  riconciliarti con te stesso e con la vita. C’è tempo per volare via con me.

 

Speriamo che sia…femmina?

Nel 2008 una nota della Presidenza del Consiglio dei Ministri inviata dal Sottosegretario di Stato per i diritti e le pari opportunità invitava le scuole a riflettere su un fenomeno che sembrava assumere sempre più caratteri di “emergenza sociale”.

“ In Europa  tra le cause di morte delle donne  di età compresa tra i 16 e 44 anni, le brutalità commesse tra le mura domestiche  sono in testa alle statistiche , prima degli incidenti stradali e del cancro. In Italia  i  dati di un’indagine ISTAT pubblicata lo  scorso febbraio, stimano in quasi 7 milioni (31,9% delle donne di età tra i 16 e 70 anni)  le donne che hanno subito violenza fisica o sessuale nel corso della vita ( il 23,7% violenze sessuali, il 18,8% violenze fisiche, più del 10% entrambe). Nell ’ultimo anno un milione 150mila donne hanno subito violenza.  Circa un milione stupri o tentati stupri ad opera del partner o conoscente. Quasi un milione e mezzo di donne hanno subito violenze sessuali prima dei 16 anni e in un quarto di casi ad opera di un parente. In due terzi dei casi è stata ripetuta. Alla violenza fisica e sessuale si associa spesso quella psicologica. Dalle interviste risulta che il 95% dei casi di episodi di violenza non sono stati denunciati e un terzo delle donne non ne ha parlato con nessuno.

L’AOGOI (Associazione ostetrici ginecologi ospedalieri italiani) denuncia  che le violenze domestiche sono la seconda causa di morte in gravidanza, dopo l’emorragia, per le donne dai 15 ai 44 anni.

Il Ministero delle pari opportunità, impegnato  da tempo in  una politica di contrasto, ritiene che si debba affrontare il fenomeno sul piano culturale per incidere sui modelli di identità di riferimento: è un’emergenza per un paese come il nostro che vuole essere civile e democratico. La scuola come comunità educante, nella costruzione di percorsi formativi , può fare molto perché i ragazzi e le ragazze crescano insieme nel rispetto reciproco  delle proprie identità.”

 Dopo questo bollettino di guerra tra i sessi, percepii allarmismo sociale che però mi pare ancor oggi confermato dai sempre più frequenti fatti di cronaca.Scrissi  questo post nel settembre del 2008, ma  esitai a lungo a pubblicarlo in quanto  molto personale e triste perché si riferisce a fatti e persone che ho conosciuto sia  in piccoli paesi di provincia  che in  una metropoli, capitale delle contraddizioni dove alla devianza e all’arte di arrangiarsi fanno da contrappasso la vivacità culturale, l’umanità e l’ironia della sua gente . In questi anni l’elenco delle donne maltrattate si è allungato, includendo anche  ragazze e donne che mai avrei immaginato così in difficoltà. Decisi di aprire un blog e di scrivere sulla violenza contro le donne , per raccontare, argomentare, sensibilizzare e purtroppo ne vedo  ancora confermata  la necessità.

 Ricordo   una compagna di classe sempre silenziosa e assorta, principessa di un talamo proibito, e  una ragazzina rimasta vedova a diciassette anni  con  un bambino di diciotto mesi di cui era madre e sorella; quest’ultima fu convinta a  sposare un ragazzo poco più grande di lei, morto ammazzato dopo un anno di matrimonio. Ripenso a  R. di cinquant ’ anni  sottratta dal figlio adolescente  ai calci e pugni di un marito manesco, a  M .scappata lontano dalle botte del compagno,con due dei tre figli, forte  del miraggio di un nuovo amore, a  S.  picchiata sistematicamente dal marito anche quando era incinta…la rabbia e la consapevolezza  di un’età più matura l’hanno cambiata e, dopo quasi venti  anni di matrimonio, lei aspetta un lavoro fisso per  troncare col passato e quell’ uomo che oggi piange dicendo che è cambiato anche lui. Rivedo S., che è riuscita a rifarsi una vita dopo anni con un marito che la ossessionava, e M. che nel figlioletto ha trovato la forza di lasciare il marito che la mandò all’ospedale per avere leggermente scostato il lenzuolo mentre di notte allattava il bambino. Cito E., un uomo, che ha deciso di amare, ridare il sorriso e  un nuovo figlio a L . e sostenere lei e i suoi  quattro figli dopo che lei osò  denunciare l’ex marito, uomo  e padre  violento.

Non dimentico  una ragazza dell’est in una caotica  stazione ferroviaria: il volto completamente viola, troppo tumefatto per essere caduta dalle scale, e due trolley  enormi  per contenere quanto più possibile, compreso  il mio tacito  augurio di buona fortuna.

Ricordo una ragazzina allo sbando tra  droga, sesso e rock’n roll per sfuggire ad una situazione di grave disagio familiare; voleva continuare a studiare e si preoccupava che  la sorellina più piccola non facesse le sue scelte. Indelebili nella memoria le ragazzine dai 10 ai 15 anni  che il Tribunale dei Minori  di una grande città aveva tolto alle famiglie e che aiutavo durante le attività del doposcuola. A volte in contesti “particolari” l’abiezione  è vissuta come  normale perché non si ha l’opportunità di conoscere alternative di vita veramente normali , compresa la  specificità  dei ruoli parentali .

Anni fa  una madre ventenne mi disse  “mio figlio deve studiare, non deve crescere disgraziato come me, né essere fetente come suo padre”. Aveva occhi azzurri, profondi e un po’ duri, lineamenti delicati, il viso tirato e stanco, tacchi alti e  calze a rete smagliate.

Scrivo però per A. che frequentava una stazione ferroviaria. La vedevo spesso di sera quando tornavo a casa perché  prendeva il  mio treno. Una volta la vidi  implorare una dose a  un ceffo  che la  derideva e la molestava davanti ad un gruppo di derelitti per mostrare quanto lei  fosse incapace di reagire, scheletrica e  senza denti. Una sera A. si sedette vicino a me e iniziò a raccontarsi. Mi chiese  se fossi  sposata . Le risposi che non ci pensavo nemmeno e che  studiavo; avevo 22 anni, lei due meno di me. Mi raccontò una storia purtroppo comune, priva di affetti familiari, fatta di degrado , di un amore sbagliato che la iniziò alla tossicodipendenza e alla prostituzione, di un figlio sottrattole alla nascita, di tentativi inutili di smettere e  di una deriva   inarrestabile in una periferia troppo povera. Se ne andò appoggiandosi ad un ragazzo per raccogliere quanto rimaneva nelle siringhe abbandonate lungo i binari. Pareva una di quelle farfalle che hanno perso la polvere magica dalle ali e annaspa per terra. Qualche sera più tardi  A. volò via ai piedi della scalinata della stazione, finalmente libera dalla dipendenza e dalle mortificazioni.

 È stato un caso incontrarla? Due solitudini diverse: io impegnata a costruirmi un futuro mentre lei voleva dimenticare un passato ingombrante e sopravvivere al presente.

 E ancora adesso penso a quelle ragazzine, ormai  donne.  Alcune stavano prendendo coscienza  di quanto subìto, altre non accettavano il distacco da quella che era comunque la loro famiglia, anche se degenere , la cui costante fissa  era l’assenza o latitanza della madre e  l’istinto del possesso brutale da parte di familiari, spesso  la mancanza di consapevolezza, a volte  la solitudine e l’incapacità di reagire. Saranno riuscite a conciliarsi con se stesse  per sorridere ed amare ? Una volta un medico un po’ cinico mi disse: “Qui per cambiare le cose, certi neonati andrebbero soppressi nella culla o tolti subito alle famiglie”. In tutte queste donne ho sempre colto un grande disorientamento e  sofferenza. Certe storie e certi occhi non si dimenticano, mai.

 Dopo tanto tempo  mi chiedo come  mai sia cambiato ben poco. Quasi ogni giorno i mass media  denunciano  casi di violenza , tentata, episodica, sistematica su bambine e donne …testimonianze delle  ragioni della forza, del disprezzo, della frustrazione inconscia, di una rabbia e bestialità indomabili, di una mentalità arretrata e irrispettosa.

 

Nel 2008 decisi di aprire un blog  anche per  dare voce a voi donne che a fatica avete acquisito o state acquisendo consapevolezza, al vostro  silenzio, al vostro   isolamento, al senso di  impotenza e di vergogna…perché ognuna di voi   aveva diritto a quella  parte di cielo che vi è stata  negata durante quelli che dovevano essere gli anni più belli e spensierati, e perchè qualcuno   riesca a capire che c’è violenza e abuso anche quando si approfitta consensualmente  della   giovane età , della miseria o della disperazione e riesca a vedere un’anima oltre le ali di farfalla.

 

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La porta rossa

Il rosso capta l’attenzione, ferma la corsa, espelle nel gioco, segnala neutralità e tregua per aiuti umanitari, richiede intervento immediato per imminente pericolo di vita.

Il  rosso simboleggia l’amore romantico e quello carnale dei sensi che, come un vino corposo, inebriano e sfrenano, scaldano e suggellano legami. Indica un debito da pagare in denaro o già  saldato col sangue del martirio , della Passione, della rivoluzione  che cambiò la storia, di un toro che rincorre il drappo traditore. Il rosso stoppa e ammutolisce quando avvampa sulle guance  per eccessiva timidezza e vergogna in cuori sensibili e preziosi come rubini .

Rosso è il fuoco che dà luce e calore, purifica o distrugge .

 Rosso è il colore di una porta, simile ad altre, ma questa  volta è tanto rossa. Mi siedo di fronte e, mentre aspetto che si schiuda, il suo rosso cinabro mi attrae. Segna un confine tra la vita normale e quella sospesa. È un varco che all’ inizio si teme di oltrepassare. Incute soggezione. Lì davanti si perde ogni ruolo, ogni condizionamento, età, esperienza.  L’anima si contrae nella sua nudità.  Si veste di speranza mentre il corpo scompare sotto un camice verde per accedere al limbo. 

L’atmosfera ovattata della sala regala risposte alle vanità di tutti i giorni. Non è un mondo fatato ma lì si riesce a credere a ogni benefico incantesimo e a trovare parole magicamente banali per distrarre e infrangere quella densità emotiva che paralizza. Poi l’anima  si riveste dei soliti panni  e, allontanandosi da quella frontiera, respira, si distende, si allarga,  diventa  leggera e più forte. E ogni cosa  è ridimensionata nei suoi colori e spessori, perché quella porta cambia prospettiva, recupera e filtra l’essenza della vita rendendola linearmente semplice e lieve.

 

Un pezzo di una Napoli diversa, dove l’umanesimo o diventa umanità, o muore.

Il libro  “Rione Sanità”, storie di ordinario coraggio e di straordinaria umanità, di Cinzia Massa e Vincenzo Moretti- Ediesse, collana Cartabianca , è un  excursus di testimonianze, esperienze di vita, voglia di riscatto  in  tante iniziative che  nel tempo  possono davvero incidere  su un contesto  socio culturale complesso.

Napoli e provincia ( da Pozzuoli a Sorrento) consta circa di quattro milioni di abitanti e su cinque chilometri quadrati vivono i 50000 abitanti del Rione Sanità.  La Sanità non vive solo di storie di criminalità ma anche di storie belle non reclamizzate.  Il cimitero delle Fontanelle è stato riaperto grazie all’occupazione della gente del rione che si è anche “ appropriata” del parco di San Gennaro, destinato ai bambini,  che per lungaggini burocratiche  non veniva a aperto. 

 Da tempo qui  operano  associazioni molto attive di volontari  profondamente motivati,  che si sono  sentiti mortificati nelle proprie radici e hanno deciso di fare qualcosa per la propria città. Come  Ernesto Albanese che ha messo insieme alcuni napoletani, residenti  tra Roma e Milano, e ha  fondato  “L’Altra Napoli” investendo  competenze manageriali per attuare un progetto operativo in rete  sul territorio. Dove? Alla  Sanità che pur avendo tutti i problemi dei quartieri degradati, ha straordinarie potenzialità, non solo nel patrimonio  storico ed artistico che si sta valorizzando, ma soprattutto nell’antica umanità dei napoletani, purtroppo mai ricordata  perché non fa notizia , ed ormai scomparsa  nelle periferie suburbane dominate da  altri traffici. Così quest’associazione ha  procurato finanziamenti, si è coordinata con altre associazioni presenti nel rione, ha promosso il turismo, spettacoli, iniziative, ha  incentivato la formazione dei giovani e  dei giovanissimi cercando esperti, volontari, spazi di aggregazione, supportando le due  “istituzioni” più sentite , cioè la famiglia e la scuola. Le altre istituzioni sono latitanti e si ricordano dei  popolosi rioni solo come bacino elettorale.

Qui sono molto attivi  uomini di chiesa che operano cercando di responsabilizzare  i  giovani, dando loro orientamento e fiducia . Come  Padre Antonio Vitiello dell’Associazione Centro La Tenda che dal 1981 si occupa di coloro che vivono per strada, aiutato dalla gente del posto “che sa guardare al disagio non  solo con gli occhi di chi si difende , ma anche di chi sa compatire”, in un rione ove convivono tutti : il disoccupato, l’operaio, l’impiegato, l’artista, il nobile, il delinquente.

  Padre Alex Zanotelli di “La casa nel campanile”  promuove la cultura della solidarietà e una fede che porta ad un impegno concreto sul territorio contro un’atavica e passiva rassegnazione; la speranza sta nel mettersi insieme, di fare unione e rete tra tutte le realtà della Sanità per  autogestirsi laddove le istituzioni hanno fallito e sono percepite dall’altra parte della barricata  in una sorta di incomunicabilità. 

 Affetto, prendersi cura e in carico  di chi ha bisogno è la  ricetta perchè le nuove generazioni  crescano con un senso di identità e speranza . L’Associazione “ La Casa dei Cristallini”, nata grazie a padre  Antonio Loffredo , oggi opera anche con volontarie in un contesto ove esiste tutto il campionario del disagio sociale,  supportando la  genitorialità e accogliendo i bambini con attività ludiche e di doposcuola.  Sia  “La Casa dei Cristallini”  che “L’Altra Casa ” contattano e coinvolgono le famiglie, soprattutto le mamme, che giovanissime giocano per necessità con un bambolotto in carne ed ossa, spesso poi affidato alle nonne. Le aiutano ad acquisire consapevolezza, a formarle, ad accudire i piccoli, a conseguire  il diploma di scuola  media, a cercare lavoro,a scoprire  altre realtà affinchè  escano dal loro mondo  e riconoscano la loro ricchezza, come Vittoria  che, dopo avere iniziato a lavorare a otto anni  al seguito della mamma,  ha scoperto la fotografia che è diventata la sua professione. Il fine di queste associazioni è coinvolgere i ragazzi dandogli l’arma della parola, rendendoli protagonisti del cambiamento.

  Padre Antonio Loffredo nella basilica di Santa Maria la Sanità ha dato input a molte associazioni, ha incoraggiato “La Paranza”, una  cooperativa di giovani, che s’impegnano come guide turistiche, elettricisti, artigiani ed  assistenti, proponendosi come un piccolo esempio di legalità  per i più giovani. “ I giovani hanno capacità di fare e pensare, da loro partirà una rivoluzione di coscienze, dei cervelli, dei comportamenti in un processo di  liberazione e di autonomia” per una graduale crescita collettiva.

I risultati si vedono nell ‘Orchestra giovanile “Sanitansamble” , nata  col musicista   Maurizio Baratta che in tre anni  è riuscito ad appassionare 34 ragazzi, dai 7 ai 13 anni, allo studio di uno strumento musicale, affidato loro come un figlio, una persona cara cui pensare. Ragazzi che imparano regole e  affrontano i problemi in gruppo. Non riuscendo a rispondere alle numerose richieste di partecipazione all’orchestra, il maestro ha pensato di organizzare un coro con un centinaio di bambini e ragazzi .

Sott’o ponte” è  una compagnia teatrale di un centinaio di ragazzi, nata nel 1993 con don Sebastiano Pepe e dal 1999 diretta da Vincenzo Pirozzi che aveva mosso i primi passi in questa compagnia diventando poi attore e regista. “È importante che i ragazzi possano scegliere, non vedere vincere solo il male, ma avere l’opportunità di esprimersi  e tirare fuori ciò che hanno dentro attraverso la danza, il teatro, la cinematografia, la musica  per  conoscersi e  riconoscersi nei propri punti di debolezza e di forza,  imparando ad usarli.”

Tante altre sono le associazioni e le iniziative di una Napoli civile e solidale di uomini e donne che investono tempo, energie e passione in una impegnativa  scelta di vita per gli altri.

“Certo. Bisognerebbe parlare con tutti. Uno ad uno. Bisognerebbe chiamarli a uno ad uno per dire noi siamo questi. Siamo la semplicità, siamo le persone che la mattina si svegliano, portano i figli a scuola, vanno a lavorare, tornano, hanno sempre qualcuno a cui dare retta, sicuramente noi non siamo come quelli del mulino bianco, nella vita non funziona come nella pubblicità.

Se ne rende conto anche lei. E’ un sogno. Ma una volta il vento ha portato da un posto lontano una voce che diceva che quando si sogna da soli è un sogno. Quando si sogna in due comincia la realtà. Sinceramente, io un po’ ci spero.”

 L’umanità della Sanità può aiutare a sconfiggere la povertà, l ’ignoranza, la sfiducia e dare speranza di un cambiamento. Un cambiamento in atto che si deduce da quanto hanno scritto   i giovani della cooperativa La Paranza qui :

“Sanità, inafferrabile, incostante bellezza, uno di quei posti dove l’umanesimo o diventa umanità, o muore. Chi ama la Sanità ci resta. Qui è davvero Napoli, tremendum fascinans, qui una sottile magia ti trattiene, affatturato. Qui la gente bellissima e orgogliosa, ti discopre inattese tenerezze, così che, in fondo, ti spiacerebbe andartene. Qui potresti scrivere una storia, in bilico tra l’umile e il sublime, che forse nessuno leggerà, ma ti potrà accadere la ventura di essere capito, e t’ameranno”

Diversità ovvero non fa la stessa viva sensazione il solletico a tutte le persone

Diverso è colui che si presenta con un’identità, una natura, una conformazione nettamente distinta rispetto ad altre persone. Si tende a riferire la diversità  all’ etnia, al sesso, alla religione, alla condizione sociale o personale. Diverso da chi?

 In genere diverso è chi si discosta dal gruppo prevalente che, con la sua precisa fisionomia ed intrinseca e distintiva omogeneità, dà un senso di appartenenza culturale e sociale.  La diversità più evidente può suscitare disagio in chi si identifica nei più: spesso suscita curiosità, perplessità, talvolta timore…mai comunque indifferenza. Di primo acchito si percepisce la diversità perché radicati alla propria identità, abituati e ancorati a fissi parametri di riferimento. Penso anche all’omologazione estetica che fa capo a modelli stereotipati, propinati dalla moda del momento, imposti sempre più dai media e tacitamente condivisi. In questa dominante uniformità, dettata da un senso di appartenenza e di sicurezza, in realtà esiste una diversità nella sfera emotiva e cognitiva dei singoli.

Nella collettività apparentemente uniforme dei più, ciascuno ha una propria specificità e individualità, che va oltre i dati anagrafici e  le proprie radici. Ne sono prova  la varietà di pensieri, sensazioni, emozioni, sentimenti: in parte sono universalmente sentiti, anche se generati da diversi contesti di vita, altri sono affini, ma non sempre uguali, altri ancora opposti, contrastanti o, per meglio dire, semplicemente diversi. Inoltre ciascuno  ha una propria indole e carattere, attitudini, convinzioni, fede, abitudini che lo contraddistinguono e influiscono o condizionano  scelte diverse.

 La diversità però non è solo tra i singoli, ma si sviluppa pian piano anche nel singolo.Col tempo la persona si arricchisce grazie alle diverse esperienze sociali, culturali, professionali e nelle varie fasi della vita cambia e diviene. Acquisisce capacità, competenze, responsabilità, potenzialità diverse. Nutre ambizioni, aspettative ed interessi diversi. Vive esperienze, occasioni di scontro, confronto e crescita diverse. I più evidenti mutamenti naturali sono accompagnati da cambiamenti più profondi, non sempre consapevoli, che riguardano il modo di pensare, di sentire e di rapportarsi, di aprirsi o chiudersi al mondo esterno e agli altri. La vita e l’età cambiano l’individuo in  un impercettibile talvolta ciclico divenire che fa parte del processo di maturazione della persona. Si diventa un po’ ibridi di se stessi, extracomunitari del proprio io originario.

In tenera età si parte da una visione egocentrica e gradualmente si costruisce prima la percezione di sé e della propria identità personale e collettiva, per poi cogliere la diversità altrui come un qualcosa di avulso da sé nelle sue molteplici forme, imparando pian piano a confrontarsi e, si spera, ad accettarla e rispettarla. Ciò non implica necessariamente condivisione, ma riconoscimento della diversità per poi passare ad un’eventuale e successiva volontà di conoscerla.

Chi reagisce con ferma e rigida chiusura è ancora agli inizi di un processo di maturazione, erge un muro senza spiragli dentro di sé. Mi è piaciuta molto l’immagine della porta scorrevole in  “L’eleganza del riccio” di Muriel Barbery, un romanzo eccezionalmente delicato sia nella forma che nel contenuto.

Rifacendosi ad un film giapponese, la protagonista riflette

“…ero rimasta affascinata dallo spazio vitale giapponese e dalle porte scorrevoli che rifiutano di fendere lo spazio in due e scivolano dolcemente su guide invisibili.

Giacchè quando noi apriamo una porta, trasformiamo gli ambienti in modo davvero meschino. Offendiamo la loro piena estensione e a forza di proporzioni sbagliate vi introduciamo un’incauta breccia…” A riguardo di una porta aperta “ nella stanza dove si trova, introduce una sorta di rottura… che spezza l’unità dello spazio. Nella stanza contigua provoca una depressione, una ferita aperta e tuttavia stupi

da, sperduta su un pezzo di muro che avrebbe preferito essere integro. In entrambi i casi turba i volumi, offrendo in cambio soltanto la libertà di circolare, la quale peraltro si può garantire in molti altri modi. La porta scorrevole, invece evita gli ostacoli e  glorifica lo spazio. Senza modificarne l’equilibrio, ne permette la metamorfosi. Quando si apre, due luoghi comunicano senza offendersi. Quando si chiude, ripristina l’integrità di ognuno di essi. Divisione e riunione avvengono senza ingerenze. Lì la vita è una calma passeggiata, mentre da noi è simile a una lunga serie di violazioni.”

 

Un equilibrato, pari, moderato, rispettoso scambio di aperture e chiusure, di simultaneo confronto all’ esterno e radicamento alla propria individualità. Forse per riconoscere la diversità basterebbe la fluidità di una porta scorrevole.