Cos’è la guerra?

dragoA volte mi spavento un po’ di me stessa. Ieri, pensando a un thread in un social network  sulle nostre paure infantili, ho iniziato a scrivere un post ricordando ciò che successe in una  mia classe quattro anni fa. Durante una conversazione, un bambino di sei anni mi chiese: “Maestra, cos’è la guerra?” Gli altri bambini iniziarono a ridere e a mimare sparatorie . Ebbi l’intuizione di tacere, perché in un primo momento pensai che scherzasse ma quando insistette, rivolto verso i compagni: “Embè, che ci avete da riiide? Cos’è la guerra?”,  mi ha completamente spiazzata. Dovevo trovare le parole giuste per un bambino di sei anni, ma non volevo sporcarlo con una spiegazione del reale. Mentre i compagni provavano a rispondergli , ho cercato di ricordarmi cos’era per me la guerra quando ero piccola. In pochi flash di memoria ho visto draghi e cavalieri, streghe, magie, diavoli (grazie a quel catechismo terrorizzante di cui ci infarcivano), indiani e cowboy. La guerra dei buoni e dei cattivi, a volte necessaria, per il lieto fine della storia. Una guerra interpretata da eroi e antieroi, spesso tra incantesimi e magie.

casa

Poi c’era un’altra guerra, quella narrata dai nonni, dagli zii e dai miei genitori: la guerra dei bombardamenti, della fame, dei parenti sfollati che arrivarono via mare da Napoli a casa dei nonni , dei soldati inglesi che occuparono l’appartamento dei nonni, della catasta di cappotti  da rammendare nell’atrio del portone , della nonna e della zia che vigilavano sulle figlie alle quali i soldati regalavano sguardi e sorrisi, carne in scatola e cioccolato. Fatti che mi incuriosivano, mentre mi rattristavano quelli di papà sulla fame e sul nonno che finì in un campo di prigionia in Egitto. Ieri volevo chiedervi se ricordate più o meno a che età, da bambini e da ragazzi, avete capito cos’è la guerra. Per  quel mio alunno,  che aspettava  una mia risposta, ho trovato parole banali, che non turbano, perché essa evoca solo parole nere: morte, distruzione, dolore, fame, perdita della casa, dei cari, delle fiabe e dell’ingenuità. “La guerra riguarda i grandi, che a volte non si capiscono o vogliono per forza qualcosa e diventano prepotenti e bisticciano”  “con i fucili e le mitragliatrici…” aggiunse il combattente di classe. In verità a quel bambino non volevo rispondere e mi sono poi chiesta che risposta si danno quei bambini che davvero vivono la guerra.

Ora sto pensando a cosa dire ai miei alunni di sette  anni se lunedì faranno domande sulla strage di Parigi.

 

Caro Babbo Natale…

Caro Babbo Natale…

 era il tradizionale incipit della letterina che sin dagli inizi di dicembre  scrivevo con fiducia ad un papà invisibilmente presente, che rassicurava nel  profondo dell’immaginazione e dei sogni dell’infanzia. A un amico fantastico  indirizzavo desideri che si concretizzavano in un ambito  giocattolo, anche se il tanto desiderato “Dolce Forno” non è mai arrivato.  Ogni anno la curiosità e l’attesa facevano un po’ trepidare per ottenere un qualcosa di concreto , perché comunque avevo la certezza di affetti e serenità familiare, poco ostentati  da smancerie, ma consolidati nella fattiva presenza  e operosità di una madre e di un padre, forti nella loro univoca capacità di  orientare.

 In seguito ho trovato altre madri e padri,  in grado di rispondere alle mie perplessità, timori e sogni,  in persone  per me speciali, in pensieri già pensati da altri, in esperienze di vita personale ed altrui. Adesso, a distanza di qualche decennio, a volte ho l’impressione che quei riferimenti di serietà e buoni principi siano un po’ volutamente rimossi in un contesto capace di  accorciare tempi e distanze ma incapace di soffermarsi per trarne respiro, per riconoscerli, affermarli e garantirli senza screditarli come eccezionali o desueti.

 Oggi sento il bisogno di scrivere a te , Babbo immaginario, alter ego che induce a  bilanci periodici, per rinnovare le risorse interiori.  Ti chiedo una sola cosa. Instilla ancora quella fiducia negli altri, in un domani possibile e raggiungibile attraverso un presente conquistato sì , ma non invano, e in quei padri, spesso latitanti, di cui c’è tanto bisogno per i ragazzi di oggi e anche per noi, ragazzi di ieri, che abbiamo avuto la fortuna di averli e di esserne sostenuti.

 La rabbia dei figli rimasti senza padri  di Alessandro  D’Avenia  è una  riflessione che ben interpreta un Natale , che anch’io quest’anno percepisco come rallentato.

“Il padre è il mediatore del futuro, colui che è capace di provocare la nostalgia di futuro di cui ogni giovane ha bisogno per affrontare il presente. Padri sono i padri di famiglia, spesso assenti; padri sono i maestri a scuola e all’università, spesso padrini; padri sono i politici, spesso padroni; padri sono gli uomini delle agenzie educative (dalla chiesa alla tv), spesso patrigni. Padri sono tutti coloro a cui sono affidate le vite di altri, che padri diventano se si pongono al servizio di quella vita che non è loro, ma è loro affidata e di cui dovranno rendere conto alla storia.

Se i padri non servono le vite dei figli, ma le divorano come Cronos, cioè le controllano o ignorano, i figli diventano burattini o orfani. Che futuro ha un burattino? I fili. Un orfano? La fuga. Quando mio padre mi lanciava in aria da bambino, mia madre, impaurita, gli chiedeva di mettermi giù. Lui la rassicurava e continuava. La madre ha il compito di tenere ancorato il figlio alla terra, il padre invece lo lancia verso le stelle, verso l’ignoto, verso la paura di cadere, ma le sue braccia lo aspettano per ricordargli che il futuro è un’incognita, ma si cade tra braccia sicure, e la paura della vertigine si muta in risata. Ma se il padre sparisce, il duro suolo fermerà la caduta dei figli e non resterà che il pianto inconsolabile di un inizio fallito. I ragazzi manifestano perché i padri si manifestino e liberino il futuro e i sogni che contiene.

Ogni ragazzo può sognare perché è sognato. Ogni uomo può sperare perché è atteso. Ho la fortuna di avere un padre: mio padre. Ho avuto la fortuna di avere grandi padri: Mario Franchina, professore di lettere, Padre Pino Puglisi, professore di religione del mio liceo, Paolo Borsellino, vicino di quartiere. Da loro ho ricevuto il futuro e quindi il presente. Abbiamo bisogno di padri che facciano più strada di quanta possiamo farne noi per raggiungerli. Padri tornate, noi non smetteremo di cercarvi e di darci da fare per essere un nuovo inizio.”

Quanto mi dai?

I recenti fatti di cronaca di minorenni che svendono il loro corpo o si esibiscono via mms o in portali a luci rosse  in cambio di una ricarica, abiti griffati, droga e soldi  non sono tristi episodi ma un fenomeno sociale da non sottovalutare, che  dimostra quanto sia grande la crisi di identità in cui cadono gli adolescenti in Italia.

Se di fatto esiste un disagio giovanile sul quale riflettere, riconosco però che esiste anche disagio nel ruolo genitoriale. Alcuni genitori rifuggono il proprio ruolo educativo, altri cercano di trasmettere i cosiddetti sani principi ma si trovano a combattere contro quelli propinati da altre agenzie “educative” più accattivanti  che ostentano prototipi femminili che spesso si fanno strada nel mondo dello spettacolo, e non solo, in cambio di prestazioni che nulla hanno a che vedere con il merito, la competenza e la bravura.

Nella nostra società, grazie all’imperante consumismo, si considerano sempre più l’aspetto materiale della vita e l’esteriorità delle persone e di fatto esiste il culto dell’apparire, enfatizzato anche a  livello mediatico. Se anni fa le bambine giocavano con le bambole, compagne del loro immaginario infantile, oggi tendono ad identificarsi nelle bambole  in carne ed ossa, belle, ricche e di successo… sempre in vetrina. Modelli da emulare.

L’ambito abito griffato, che fa tendenza, è divenuto una sorta di status symbol che rassicura e viene percepito come garanzia di omologazione, di consenso sociale e di un senso di appartenenza indiretta all’Olimpo della passerella dove però tra variopinti voile, trine e nastri si snodano anche diverse interpretazioni estetiche della femminilità. L’abito di valore copre la persona, compensa la mancanza di valori e di spessore della persona (Erich Fromm parlava di avere o essere…).

Spesso l’adolescente evade, anche con alcool e droga,  e si rifugia in un mondo fantastico perché non accetta quello reale, talvolta simula precocemente quello reale per sentirsi più grande. Realtà e finzione si confondono in un gioco vero o simulato ove conta riscuotere conferme, consensi e anche soldi per potere apparire sempre più. Perché se appare, esiste.

Nella fase del no assoluto, la ragazzina trasgredisce per affermare se stessa nel graduale processo di costruzione della propria identità. Questo è il periodo più critico per l’adolescente, in balìa di se stessa e delle pulsioni emotive che non sa ancora decifrare. Talvolta non ha “paletti fissi”e trasgredisce sempre più, perché non ha interiorizzato valori o non li condivide abbastanza (i valori si acquisiscono se trasmessi con l’esempio ed input univoci ).Tutto fa spettacolo sul palcoscenico del sè egocentrico , spesso frustrato da insuccessi e timori, mancanza di punti di riferimento, solitudine e noia per cui le ragioni dell’ “usa e getti” (corpo compreso, inteso come bene di facile consumo), del “tutto e subito” divengono il mezzo di una prima affermazione sociale.

 La giovane età è però sempre un’attenuante. Responsabili sono gli adulti, che come genitori  a volte abdicano al ruolo educativo, incapaci di mettersi in gioco o più semplicemente ineducati loro stessi.  Nessuno insegna  a fare il genitore. Genitori si diventa: gradualmente si cresce e si matura con i figli avvalendosi della propria educazione, esperienza, buonsenso e umiltà di mettersi in discussione, di ascoltare e cercare di capire disancorandosi da se stessi, di chiedersi se si sbaglia o meno tra varie perplessità e responsabilità, a volte anche stanchezza. Per quanti sforzi si facciano non è detto che si riesca al meglio, perchè ogni adolescente ha una personalità propria, infatti capita che gli stessi input educativi possano produrre reazioni diverse in due o più figli.Delegare agli altri è più comodo, come il dire sì a ogni richiesta è più facile, perchè il no deve essere motivato e mantenuto. Sostenere gli adolescenti nel processo di crescita significa impegnare tutte le proprie risorse interiori  con un atto d’amore che implica non solo affetto e disponibilità ma anche  fermezza, energia, costanza e coerenza (insomma un’ardua impresa!)

  Maledettamente responsabili sono  soprattutto quegli adulti che abusano in vario modo, anche se c’è un libero consenso della minore, perché è un consenso   comunque immaturo di chi è ancora sospeso tra la fragile emotività, che ancora all’infanzia nel bisogno di dare e ricevere tenerezza,  e l’istintiva, naturale, apparentemente precoce pulsione ad affermarsi con un’identità e un ruolo ancora in divenire.

Infanzia e adolescenza non sono solo fasi della vita ma dovrebbero essere percepiti come valori di cui tutti dovrebbero farsi carico perché “Per fare crescere un bambino ci vuole un intero villaggio” (proverbio africano).

 

Artist Chris Buzelli

Nell’adolescenza … “la vita inizia a pulsare forte con tante, contrastanti emozioni che morsicano il cuore, con un carico di energia che ha bisogno di venire fuori per non implodere dentro. A quell’età l’intuizione prevale ancora  sulla logica, che sgomitola fili ingarbugliati, e  non riesce a trovare risposte opportune ai quesiti sempre più incalzanti, alle perplessità e ai timori del domani. Al cambiamento apparente  del corpo e della voce si sovrappongono l’inquietudine, il dubbio, un senso di inadeguatezza e  una  latente insicurezza  di fronte a un presente in cui bisogna ripensarsi per ripensare nuove e più confortanti certezze. Troppa confusione e nostalgia di àncore e del futuro, mai messe a fuoco in maniera nitida, chissà come  riescono a rendere   possibile il miracolo della crescita perché la miopia dell’adolescenza in fondo è il motore della vita, la spinta alla ricerca, alla scoperta di sé e del mondo” (da “La nuotatrice in skipblog.it)

Chi interrompe e fuorvia l’armoniosa e graduale costruzione di identità  dei ragazzi compie uno dei reati più odiosi e abietti, la cui gravità non è comprensibile a tutti, soprattutto a coloro che non si fanno scrupoli pur di godere o arricchirsi. Ben venga l’iniziativa del Ministero della Pubblica Istruzione di promuovere l’educazione all’affettività nelle scuole di ogni ordine e grado, perché è da lì che bisogna ripartire per fronteggiare quest’emergenza educativa, sperando di riuscire a vederne i frutti nelle prossime generazioni.

 

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Tra compiti e lezioni, giochi elettronici e primi innamoramenti i bambini passano dall’infanzia all’adolescenza e capiscono più di quanto si pensi. Intuiscono che l’apparente idillio tra mamma e papà in realtà sottende una tacita guerra fredda, talvolta una contrastata guerra di coppia, e diventano irascibili ed irrequieti. Spesso si rifugiano in un mondo fantastico perché non accettano quello reale, talvolta simulano precocemente quello reale forse per sentirsi più grandi e forti nel sopportarlo. Il ragazzino attraversa la fase del no assoluto, trasgredisce per affermare se stesso nel graduale processo di costruzione della propria identità. Questo è il periodo più critico per l’adolescente e spossante per i genitori che sovente si sentono inadeguati a fronteggiare le sue provocazioni; talvolta ne diventano complici sia perché è più facile dire sì , che non occorre né motivare nè mantenere, sia perché non accettano gli inevitabili cambiamenti naturali e rincorrono un’apparente eterna giovinezza ponendosi a livello del figlio ( anzi i papà ambirebbero porsi a livello delle sue compagne di scuola) , evitando eventuali e sane frustrazioni che consentirebbero di crescere ad entrambi. Il papà si prodiga sciorinando consigli ( degni di un prontuario tascabile ) per l’usa e getta perché il rampollo consegua successi in conquiste, non proprio sentimentali ; la madre –antenne talvolta è in competizione con la figlia e brilla al sentirsi dire “sembrate due sorelle” …peccato che questo complimento, piacevole per lei, si traduca in una mazzata per la figlia adolescente che si sente perennemente brutto anatroccolo .

 Insomma i genitori si defilano come educatori ( parola che è sinonimo di Matusalemme) in quanto troppo impegnati a sbarcare il lunario, ad allenarsi in palestra, a mantenere relazioni sociali e a innescarne altre più stimolanti ed appaganti per accorgersi ben presto che la routine logora qualsiasi relazione, sia ufficiale che ufficiosa. Sono indaffarati a programmare diete, impegni di lavoro, vacanze spesso forzate ed estenuanti, espressione di status sociale più che vissute come momento di pausa per ritrovarsi insieme .La famiglia si riduce a una comunità più che di incontro, di scontro e scarico di tensioni ove talvolta manca la vera comunicazione, dove ognuno procede in compartimenti stagni, impegnato a correre per fare le stesse cose in un rituale quotidiano .

 vignetta pv madre figlio

Non c’è mai abbastanza tempo per ascoltarsi e ascoltare .Si fanno meccanicamente tante azioni senza interpretarle emotivamente e così il tempo scivola addosso col suo carico di ore e di logorìo moderno. Spesso i ragazzini, in balìa di se stessi e delle loro pulsioni emotive che non sanno ancora decifrare, non hanno “paletti fissi”e trasgrediscono sempre più, perché subentra la noia . Vanno oltre la solita prepotenza di gioco nei campetti…talvolta giocano con la vita propria o dello  “sfigato” di turno o della carina del branco. Tutto fa spettacolo sul palcoscenico del sè egocentrico , spesso frustrato da insuccessi, mancanza di punti di riferimento, solitudine e tedio per cui le ragioni della forza divengono un mezzo di affermazione sociale. Il più delle volte sono i genitori che, disorientati, hanno perso la forza della ragione , o più semplicemente quella del buonsenso; abdicando ad un ruolo, forse non compreso o troppo invadente, preferiscono rivivere attraverso i loro figli parte di sé accorgendosi che le perplessità, gli entusiasmi, i perché , le aspettative sono di tutti i ragazzi, a prescindere dai salti generazionali. Talvolta però perdono di vista se stessi, troppo proiettati nell’ immediatezza del contingente e agognano ad una sorta di anno sabbatico per evadere un po’, lasciando che gli altri si organizzino un po’ da soli e capiscano che non si deve dare nulla per scontato .

Il non plus ultra sarebbe poter disporre non solo di tempo ma anche di uno spazio proprio: basterebbe un albero sul quale appollaiarsi ogni tanto per ritrovare se stessi e in cui ammortizzare un po’ gli sfoghi esistenziali dei figli alle prese coi primi amori, con il rendimento scolastico e le diatribe tra coetanei . “Cosa vorresti fare da grande?” . Mammà e papà s’illuminano d’immenso immaginando l’avvenire radioso del figlio, sul quale a volte riversano le loro aspettative ingombranti. Da bambina non sapevo mai cosa rispondere. Sinceramente non lo so nemmeno adesso, forse perché non ho ancora capito quando si diventa grandi. In ogni fase della vita ci si sente immaturi e pronti ad affrontare solo quella precedentemente trascorsa, grazie al cosiddetto senno del poi.“ Mamma da grande vorrei…” e giù una serie di propositi. Quanti ne ho sentiti negli ultimi quindici anni ( farò il giocattolaio così giocherò sempre, o lavorerò in uno zoo, anzi solo nel recinto dei coccodrilli…ingegnere, medico, veterinario, parrucchiera, broker, pilota).

Nei momenti critici o di delusione per cui i miei figli si sfogano dei loro insuccessi e minacciano scelte drastiche, se riesco a non cedere ad una crisi isterica, cerco di sdrammatizzare con aria ironicamente seria dicendo : “Figlia mia, mal che vada, tu potresti farti suora e tu, figlio mio, diventare un gesuita colto o missionario (anche se a livello relazionale mia figlia rivoluzionerebbe il monastero e cambierebbe il look delle consorelle creando incidenti diplomatici con la Santa Sede) . Pensate un po’: non avreste problemi di casa, di lavoro, di cuore, nessuno stress ( bè forse quello dell’astinenza). La vita trascorrerebbe lentamente in grazia di Dio al rintocco delle campane (che noia! che scandirebbero le più importanti fasi del giorno. Vi dedichereste al giardinaggio , alla cucina (frugalmente dietetica ed insipida), allo studio (aperto?), alla contemplazione (mistica): sarete in pace con voi stessi e con il mondo ( ma quale mondo?).” Dopo aver mandato me a quel…monastero, dimentichi del precedente clima apocalittico : “Mamma , stasera posso andare in discoteca? Torno presto che domani devo studiare con Vale…” E l’ altro: “Ciao, esco con gli amici. Ci vediamo più tardi!” .

Allora, , dopo il solito interrogatorio Dove vai- con chi vai- a che ora torni, li saluto con il tradizionale “Mi raccomando!”, ma da buona mammà gongolante compiacendomi di quanto siano unici e splendidi (perché ogni scarrafone è bell a’mamma soia), penso:

 “Andate, non sono gli anni della nostra vita che contano, ma la vita dei nostri anni. Per tutto il resto, c’è tempo.”

 

 

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Memorandum di una madre di figli adolescenti 

Mea culpa (prima parte)

 

Ciao, piccola ombra!

Tempo fa ho avuto l’occasione di vedere due volte il video “Transizioni…dal nido alla scuola dell’infanzia” che aiuta a capire le difficoltà che i piccoli affrontano passando dalle braccia di mamma e papà al contesto educativo della prima infanzia. Vi descrivo alcune sequenze che mi son sembrate particolarmente significative.

 Un bimbo saluta la tata e poi corre a salutare la mamma. Si ferma sulla soglia di una porta interna e la chiama. Lei lo saluta con la mano, sorridendo a distanza , lui ricambia e  si volta perplesso. Nei passi incerti e nello sguardo del bambino che esita, chiedendosi se seguirla o restare, si percepisce una scelta di crescita. Decide  di rimanere nel nido a giocare con gli altri bambini.

 Un piccolo si rannicchia nel lettino per la nanna pomeridiana; si raggomitola pian piano cercando la posizione del sonno. Si chiude come in un uovo, in posizione fetale. Cerca col piedino, simile a un cordone ombelicale non reciso, il contatto con la puericultrice seduta vicino per vegliare.

 Una bimba di circa due anni trotterella nel cortile e all’ improvviso scopre la sua ombra. La fissa stupita mentre  anch’ essa si ferma. Si china per toccarla, muove le braccia e ne segue i movimenti . Infine esclama “È Giulia”. Ride soddisfatta e la saluta.

 Quanta vita c’è in queste immagini comunemente reali. Tutta la vita è  annunciata nei suoi misteri a quei bambini che ci hanno testimoniato le loro prime scoperte. L’hanno fatta ripercorrere agli adulti presenti, emozionati non poco di fronte alle loro esperienze, conquiste e gesti rituali. Il distacco da un genitore che s’allontana genera  l’ intuizione della necessità della separazione, non dettata dall’ egoismo ma da scelte di vita professionale e si conclude con un  primo passo verso la reciproca autonomia affettiva. “Papà, tu vai  ma so che ci sei e ritornerai”. Una certezza mai tradita che è stata un costante leitmotiv della mia vita.

Quante volte i miei figli hanno cercato un contatto rassicurante per cullarsi e tornare all’ origine prima di sprofondare nella quiete del sonno. Mi  ha però commosso  la scena dell’ombra, esclusiva e fedele compagna nel cammino. Quell’ ombra, a nostra immagine e somiglianza, ci segue silenziosa quando è proiettata dietro di noi. Dispettosa e  burlona sembra schernirci quando è davanti,  anticipa il passo, alleggerisce il peso del tempo, altera le dimensioni. 

Quei bambini, che giocando imparavano a conoscere se stessi, gli altri e lo spazio circostante, si sono agganciati con la loro innocente spontaneità all’ infanzia e alla memoria di tutti.  Tutta la vita è lì, dentro quelle immagini. Nell ’incanto silenzioso del  sonno che culla i sogni e suscita tenerezza e  protezione. Nelle prime transizioni che creano turbamento finchè non  si ripristinano nuovi equilibri affettivi, costruendo pian piano  nella mente la certezza della presenza a distanza, e si impara ad accettare e a  sopportare qualsiasi attesa. La vita è in quell ’ombra fuggevole che sparisce e ricompare all’ improvviso,  si anima gioiosa al nostro passaggio quando la luce illumina la strada. Nell’ uniformità del colore nero assomma tutti i colori delle emozioni vissute, il senso dello stupore di fronte al nuovo, l’entusiasmo della scoperta e la soddisfazione delle piccole conquiste. È Giulia, ma anche Maria, Francesco, Sara, Luigi… In essa si è affacciata l’ anima infantile di ciascuno e, ridendo quasi compiaciuta, ha regalato un po’ di meraviglia.

Memorandum di una madre di figli adolescenti

 

I figli crescono  e me ne accorgo sempre più.L’affetto di mammà italica regna sovrano con qualche ansia, soprattutto serale, rapportata alle loro recenti, più frequenti e legittime  esperienze.Così ho stilato un memorandum: sono ben accetti i pareri di coloro che hanno esperienze diverse. 

  1. Dovevaiconchivaiacheoratorni è il minimo che una mater possa fare prima che i figli  escano di sera.  A che serva, non saprei. Se non a lanciare il sottinteso: “Mi raccomando! Io son qui che  vi aspetto.”
  2. Considera  sempre che possono rispondere quel che vogliono. Va bene lo stesso. Purchè si riesca   poi a ricostruire la loro serata e relazioni interpersonali dal successivo e spontaneo resoconto.
  3. Il consiglio precedente è nullo se il figlio è introversamente muto. In questo caso il classico “Non mi ricordo” oppure “Ma cosa vuoi sapere?” suona peggio di un’inesorabile mannaia. È auspicabile rinviare eventuali analisi del sangue, previste per il giorno dopo, perché i valori potrebbero risultare alterati da stress genitoriale.
  4. Nel caso succitato la mammà italica è in stato d’allerta. Nei giorni seguenti  raddrizza le antenne e cerca di captare, con orecchie da volpe del deserto, ogni piccolo cenno ad amici o a riferimenti spazio temporali della trascorsa serata  per sincerarsi che è tutto ok.
  5. La fiducia è basilare, ma non è mai troppa. Ci sono in giro tanti marpioni /e, e   ci sono sempre stati. Forse oggi più di prima o sono solo più emergenti nell’immaginario della genitrice?
  6. Evita il pedinamento a meno che non si abbia la certezza che stiano deviando. Se c’è sentore di allupati/e (oggi c’è par condicio) che abbiano troppi  anni più di vostra figlia/o, inizia a suonare lo scacciapensieri in un doingdoingdoing dinghidinghi e ad indossare un basco siciliano…sperando che il nuovo look sortisca l’effetto sperato.
  7. In caso di certa conferma, dopo avere ragionato invano con i piezz ‘e core, dedica almeno cinque giorni  ad allenamenti di corsa e di  lancio del giavellotto per avere abbastanza fiato e mira.  Non per sbraitare, ma  per rincorrerli  brandendo un bel battipanni o matterello. I vecchi rimedi funzionano sempre.
  8. Se i figli tardano eccessivamente, un paio di volte si può tollerare .Fai capire però che il tarlo della  preoccupazione procede con le lancette dell’orologio e che è ben accetta una loro telefonata rassicurante in caso di ritardo.
  9. Non angosciare con telefonate continue durante la loro uscita. Se il telefono non squilla, vuol dire che è tutto a posto.
  10. È opportuno dire che devono esser reperibili, qualora si voglia rintracciarli. Se il loro cellulare è sempre irraggiungibile, è meglio non ridursi ad avere anti estetiche occhiaie fino a metà guancia…con modi garbati e sorriso serafico sii sempre pronta ad accoglierli al rientro e poi sfogati pure con una defenestrazione – del cell , non dei figli-, visto che se ne servono  solo quando fa comodo.
  11. Il detto questa casa non è un albergo, è sempre attuale. L’ideale sarebbe pure che non fosse una stalla, perlomeno  la loro camera, dopo la lunga e caotica vestizione serale e frettolosa svestizione notturna. Ma hanno bisogno dei loro spazi, per cui fingi di non vedere fino a quando non c’è sentore di un controllo  dell’ASL. Al loro dolce risveglio, fai  trovare periodicamente ben allineati, in assetto da parata, scopa, straccio, detersivi e secchio d’acqua per provvedere. Qualora siano recidivi,  ottimo deterrente al soqquadro potrebbe essere  una catapulta per  sgomberare il pavimento dalle pezze sparse.
  12. Quando rientrano, se non sei già tra le braccia di Morfeo (che può essere pure uno pseudonimo), ogni tanto con la scusa di augurare la buonanotte e baciarli, annusa l’alito e controlla le pupille. Lo scotto di mammà possessiva val bene come controllo indiretto o prevenzione.
  13. Scatta come una molla  dal letto se per caso si affacciano in camera dicendo: “Mamma devo parlarti…” ; accomodati su un divano evitando di sbadigliare, ascolta e  conta fino a venti prima di rispondere.
  14. Prima di andare a dormire , spiega bene al cane o al gatto di casa che sarebbe opportuna la loro collaborazione. Come ti svegliano alle sei di mattino, mettendo il muso o allungando la zampa sul letto per ricordarti gli impegni della giornata, così devono avvisare quando i figli rientrano ad ora troppa tarda, al di là di quella pattuita. Altrimenti niente pappa. In famiglia tutti devono cooperare.
  15. Viceversa avvisa i pappagallini che se osano strepitare, saranno liberati al freddo e al gelo l’indomani.
  16. Se il figlio/a prende l’auto, il controllo del contachilometri dà utili indizi sugli annunciati spostamenti della serata. Se mente, pur sapendo di mentire, basta lasciare il serbatoio della benzina vuoto …altrettanto il portafogli.
  17. Se  tradiscono la vostra fiducia, medita col consorte una strategia educativa condivisa soprattutto a riguardo del contenuto e dei toni del ragionamento che vorrete intraprendere.
  18. Se il consorte fa lo gnorri, compra un bel biglietto per ignota destinazione nel week end e lascia che si assuma le sue responsabilità di paterfamilias. Le tue di matermatronissima bastano e avanzano.
  19. Rimuovi eventuali  sensi di colpa; pensa alla tua  adolescenza valutandone i pro e contro alla luce della sopraggiunta maturità ( anche se Peter Pan scalpita nel profondo io).
  20. Non disdegnare eventuali loro tatuaggi, purchè non cancellino dalla mente un tatù più consapevole “che mamma e papà sono i loro genitori, a rischio di passar per ansiosi e anacronistici caudilli, protagonisti e destinatari del sempiterno  scontro generazionale, e che non si preoccupano che facciano esperienze, ma esperienze senza ritorno”.

 

Vignetta tratta da “Tutta Mafalda” di Quino- ed. Bompiani.