Ciao Gri Gri

gri gri estate 2013

 

A febbraio dell’anno scorso scrivevo “Sono trascorsi circa quattordici anni, e i miei figli a quattro zampe ci hanno seguito nella nuova casa in città. Si sono adattati al nuovo ambiente anche se a volte scopro Gri Gri che, assorta, sbircia dietro la finestra. Forse rimpiange un po’ la terrazza dove amava sdraiarsi al sole.Sì, in fondo i gatti non differiscono troppo dagli umani.

gri gri giovane

Gri Gri ,  protagonista della nostra vita familiare e di alcuni dei  miei post preferiti sui gatti e sulle sue prodezze natalizie  nel  presepe, è  ancora qui nelle mie riflessioni che telepaticamente voleranno   verso il  mondo verde e azzurro dei gatti. È stata una gatta  speciale, furba , a volte  troppo intelligente per essere un gatto, al punto tale che credevo fosse uno spiritello indomito e protettore della casa.

Gri Gri, affettuosa con l’inseparabile Skip vero e il piccolo di casa, ormai ventenne, che vegliava durante il sonno stando accovacciata sul suo petto e guardandolo in viso . Mi accoglieva al rientro a casa miagolando, e mi precedeva in cucina di mattina, saltando sul marmo e fuseggiando .Se mi attardavo a scrivere al computer o a guardare la tv, si accoccolava in braccio e miagolando mi accompagnava in camera per acciambellarsi sul letto, pronta a riappropriarsi del suo  vero posto di guardiana del sonno ( letto del secondogenito)  non appena sentiva rientrare mio figlio. Gri Gri che, indispettita, al rientro dal week end ci guardava dall’alto del letto a ponte , tenendo le orecchie basse e l’aria offesa o, per dispetto e diffidenza nei confronti di estranei, rimaneva nascosta per qualche ora. La rivedo ancora quando  da cucciola si arrampicava  su fino al quarto piano di un palazzo vicino saltando sui  condizionatori d’aria. Tigro la seguiva , un po’ impacciato, e lei agilmente raggiungeva una signora anziana che li aspettava con i croccantini, per poi scendere giù in fretta e furia.

gri gri sul tetto

 

 Da giovane amava esplorare i tetti  e arrivava festosa con la coda incriccata portando come trofei una penna di piccione o un guscio d’uovo, poi ha preferito  stendersi al sole  sul tetto o stare seduta sul muretto della terrazza a godersi la fresca aria del mattino e  a contemplare le  prime ombre della sera, a volte mimetizzandosi tra i fiori. Quante volte di notte ha miagolato disperata, guidandomi in cucina, fino a quando non aprivo il balcone della terrazza per lasciare rientrare Tigro che, come al solito,  era rimasto chiuso fuori. Quante volte al mattino mi ha svegliata ,sfiorando i capelli, se tardavo ad alzarmi. Le piaceva  osservare dall’alto, di un pensile della cucina, di una libreria, di una tenda.  Non le sfuggiva mai nulla, anche di recente, anche quest’estate quando si stava arrendendo al brutto male che non l’ha resa molto diversa dagli umani.

 Qualcuno ha scritto che “per soddisfare un gatto, deve essere creata una nuova condizione di esistenza: a metà strada tra dentro e fuori”. Con lei  sono stata in empatia più che con  tutte le decine di gatti che hanno attraversato la mia vita, con nessun altro felino c’è stato  un rispetto reciproco di tempi e spazi, un’affettuosa complicità e  riconoscenza che si conclamava nel buongiorno del mattino e nel relax della sera. Quanta dignità hanno i gatti nella resa, si appartano in silenzio per non dare fastidio, anche se desiderano  protezione e rassicuranti carezze.  Se le è meritate  tutte, la mia cara Gri Grinella perché non è stata un  semplice gatto ma il mio Gatto, il Gatto della mia  famiglia, una costante e affettuosa presenza di questi ultimi quindici anni che ci ha accompagnati tutti in un periodo di crescita ,non solo nel passaggio dall’infanzia alla giovinezza dei miei figli, ma negli anni  di slancio, di cambiamenti, di un’età più matura. Qualche giorno fa  ho constatato che non ero ancora  emotivamente pronta a questo distacco, per quanto razionalmente l’avessi previsto otto mesi fa e me lo ripetessi spesso.

Gri Gri

 

Ciao, piccola Gri Gri, ti rivedrò ancora sulla terrazza di casa nostra , quella dove prendevi  il sole, perché gli spiritelli felini ricompaiono  sempre nei posti che hanno amato di più.

Grazie per esserci stata, per avermi concesso la tua amicizia e per le cose belle che hai regalato a tutti noi.

 

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Arriva Natale…

È tempo di…

Il freddo ha rischiarato i  monti spargendo neve e gelo. La gente passeggia sotto le luminarie e si sofferma dinanzi a vetrine abbaglianti, chiacchiera tra saluti e convenevoli di incontri occasionali sbirciando nella vite proprie e altrui, nelle auto che si snodano sull’asfalto umido .Il cielo di dicembre preannuncia passi più lunghi di luce.

 È tempo di ricollocare la Madre, il Padre e il Figlio. I Magi predicono e traggono presagi da una mappa stellata e seguono la scia luminescente di ghiaccio, che li guida e li orienta. Da sempre provengono da tre diverse parti del mondo per rendere omaggio a un bambino appena nato che porta luce e amore, per alcuni nella storia dei popoli, per altri  nel  ricordo dell’infanzia, punto di partenza del cammino di tutti. La loro saggezza ed esperienza è racchiusa nelle tre stagioni della vita umana ( la giovinezza, la maturità e la vecchiaia) e paiono concretizzarsi nei simbolici doni dell’oro (regalità), dell’incenso ( divinità), della mirra (umanità), quasi a ricordare che quella vita appena sbocciata è sacra e preziosa, seppur destinata ad una ciclicità.  

natività -Pietro Molli e Teresa Arpaia

 

La famiglia si ricompone  con valigie cariche di nuovi progetti, da svuotare in trasferimenti a breve e medio termine in attesa di vivere altrove e percorrere nuove strade che si aprono sul futuro. La famiglia ritrova la madre e il padre riscoprendosi nel ruolo di figlio, con il semplice dono di una quotidianità che trasforma pian piano. Ci ritroveremo nuovamente tutti insieme riappropriandoci di ogni angolo vissuto della nostra casa, per raccontarci nella quiete degli affetti. Una pausa per abbracciarci, gustare i piaceri della tavola e degli aneddoti, condividere i cambiamenti avvenuti e quelli annunciati. Poi ripartiremo per altre case e città. La stella di ghiaccio ci seguirà dall’alto.

 Auguri di un sereno Natale a voi tutti! :)

 

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Caro Babbo Natale…

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 era il tradizionale incipit della letterina che sin dagli inizi di dicembre  scrivevo con fiducia ad un papà invisibilmente presente, che rassicurava nel  profondo dell’immaginazione e dei sogni dell’infanzia. A un amico fantastico  indirizzavo desideri che si concretizzavano in un ambito  giocattolo, anche se il tanto desiderato “Dolce Forno” non è mai arrivato.  Ogni anno la curiosità e l’attesa facevano un po’ trepidare per ottenere un qualcosa di concreto , perché comunque avevo la certezza di affetti e serenità familiare, poco ostentati  da smancerie, ma consolidati nella fattiva presenza  e operosità di una madre e di un padre, forti nella loro univoca capacità di  orientare.

 In seguito ho trovato altre madri e padri,  in grado di rispondere alle mie perplessità, timori e sogni,  in persone  per me speciali, in pensieri già pensati da altri, in esperienze di vita personale ed altrui. Adesso, a distanza di qualche decennio, a volte ho l’impressione che quei riferimenti di serietà e buoni principi siano un po’ volutamente rimossi in un contesto capace di  accorciare tempi e distanze ma incapace di soffermarsi per trarne respiro, per riconoscerli, affermarli e garantirli senza screditarli come eccezionali o desueti.

 Oggi sento il bisogno di scrivere a te , Babbo immaginario, alter ego che induce a  bilanci periodici, per rinnovare le risorse interiori.  Ti chiedo una sola cosa. Instilla ancora quella fiducia negli altri, in un domani possibile e raggiungibile attraverso un presente conquistato sì , ma non invano, e in quei padri, spesso latitanti, di cui c’è tanto bisogno per i ragazzi di oggi e anche per noi, ragazzi di ieri, che abbiamo avuto la fortuna di averli e di esserne sostenuti.

 La rabbia dei figli rimasti senza padri  di Alessandro  D’Avenia  è una  riflessione che ben interpreta un Natale , che anch’io quest’anno percepisco come rallentato.

“Il padre è il mediatore del futuro, colui che è capace di provocare la nostalgia di futuro di cui ogni giovane ha bisogno per affrontare il presente. Padri sono i padri di famiglia, spesso assenti; padri sono i maestri a scuola e all’università, spesso padrini; padri sono i politici, spesso padroni; padri sono gli uomini delle agenzie educative (dalla chiesa alla tv), spesso patrigni. Padri sono tutti coloro a cui sono affidate le vite di altri, che padri diventano se si pongono al servizio di quella vita che non è loro, ma è loro affidata e di cui dovranno rendere conto alla storia.

Se i padri non servono le vite dei figli, ma le divorano come Cronos, cioè le controllano o ignorano, i figli diventano burattini o orfani. Che futuro ha un burattino? I fili. Un orfano? La fuga. Quando mio padre mi lanciava in aria da bambino, mia madre, impaurita, gli chiedeva di mettermi giù. Lui la rassicurava e continuava. La madre ha il compito di tenere ancorato il figlio alla terra, il padre invece lo lancia verso le stelle, verso l’ignoto, verso la paura di cadere, ma le sue braccia lo aspettano per ricordargli che il futuro è un’incognita, ma si cade tra braccia sicure, e la paura della vertigine si muta in risata. Ma se il padre sparisce, il duro suolo fermerà la caduta dei figli e non resterà che il pianto inconsolabile di un inizio fallito. I ragazzi manifestano perché i padri si manifestino e liberino il futuro e i sogni che contiene.

Ogni ragazzo può sognare perché è sognato. Ogni uomo può sperare perché è atteso. Ho la fortuna di avere un padre: mio padre. Ho avuto la fortuna di avere grandi padri: Mario Franchina, professore di lettere, Padre Pino Puglisi, professore di religione del mio liceo, Paolo Borsellino, vicino di quartiere. Da loro ho ricevuto il futuro e quindi il presente. Abbiamo bisogno di padri che facciano più strada di quanta possiamo farne noi per raggiungerli. Padri tornate, noi non smetteremo di cercarvi e di darci da fare per essere un nuovo inizio.”

“I bambini del limbo diventeranno farfalle”: Giornata mondiale per i diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza

La sua famiglia era numerosa e G. era il quinto di otto figli.  A stento imparava a leggere e scrivere ma maneggiava molto bene il denaro, grazie a un intelligenza pratica. “A che mi serve studiare e prendere un diploma? Io imparo a rubbà: gli altri faticano, e poi  io me lo rubo.”  Il lavoro era inteso come fatica, soggezione, subordinazione, dipendenza e lui  non capiva l’altra forma di schiavitù che lo legava a una mentalità basata sulla sopraffazione, sulla legge del più forte e del taglione, sull’illecito. Abiezione, miseria, degrado e ignoranza erano principi fondanti in contesti dove aveva già imparato a sopravvivere ispirandosi, come altri,  alle regole dell’ “Osserva, taci, squaglia, schierati per avere lavoro e protezione. Impara a usare presto le armi per una guerra che prima o poi ti coinvolgerà”

 A sette anni fumava le sigarette di contrabbando, che  si vendevano sfuse per iniziare precocemente  i piccoli al vizio del fumo e qualche anno dopo all’eroina in un percorso di distruzione.Alle 8.00  di mattina, sulla banchina della stazione, i ragazzini arrivavano in piccoli gruppi, solidali nelle risa scherzose da cui trapelava l’ entusiasmo e la baldanza dell’ adolescenza, e indossavano i costumi di scena,  si truccavano  per andare a vendere un po’ di piacere. Altri tornavano dopo una nottata di lavoro, in silenzio e sfatti. A volte in coppia si trascinavano lungo i binari per raccattare quel che rimaneva nelle siringhe vuote e racimolare così una dose, annaspando come farfalle che hanno perso la polverina dalle ali.

Di pomeriggio doveva badare ad un fratellino di due anni insieme ai suoi compagni di strada. Aveva un forte senso di protezione per i più piccoli, affetto per i genitori e i fratelli , generosità e solidarietà tra simili. Talvolta  andava con gli amici a raccogliere cani randagi per ottenere in cambio qualche spicciolo. Lo pagavano per quella carne da macello che, molti anni più tardi, si scoprì che serviva all’addestramento dei cani da combattimento. Il sangue è sangue, umano o animale che sia…il cuore non esisteva, il ribrezzo e la paura erano sintomi di fragilità. La sua era stata violata da tempo. Tutto apparteneva al corso naturale delle cose in un contesto infernale. Chi non c’è mai stato, non può capire, non può sopportare la vista di case fatiscenti dove si convive con i ratti e  dove la speranza vive in  una fede popolare e superstiziosa che conforta, rassicura e dà la forza di andare avanti e sopravvivere.

 Spesso G. non andava a scuola. Un giorno, a lezioni iniziate,  vi  entrò di nascosto da una finestrella del bagno per prendere il biglietto che aveva  colorato  per la Festa della Mamma. Un regalo che poteva fare anche lui, che non ne riceveva mai, a una donna di 36 anni che ne dimostrava il doppio  negli occhi spenti, nel  fisico  fiacco e trascurato,  proprio di chi è provato da stenti e dalla fatica di barcamenarsi  per crescere tanti figli.

 

 

 “Qui per cambiare le cose i bambini andrebbero tolti alle famiglie appena nati o soffocati nella culla in tenera età.”: parole sferzanti  e ciniche di chi s’adoprava ogni giorno in un contesto ingestibile con l’amara consapevolezza che il  terzo e quarto mondo non era fuori dall’Europa, ma anche in Italia. Per lungo tempo si è finto di non vedere, di non sapere finchè la devianza giovanile non è scoppiata come emergenza sociale. “Si ammazzino tra loro, è una selezione naturale,  “civilmente” conveniente , per noi e non per loro.  Arginiamoli  e chiudiamoli nei loro ghetti sempre più deprivati dove sono radicati e che dà loro un senso di appartenenza.” Come le tradizioni popolari, le processioni e i gran pavesi  variopinti  di panni stesi tra i balconi.

In quei rioni riecheggiano canti e grida,  sfrecciano motorini , passeggiano ragazzine con occhi di donna e i bambini giocano con ciò che trovano. Lì però i sogni e la fantasia emergono ancora ascoltando fiabe narrate dalla maestra , il canto serve ad esprimere il proprio talento e libera dal male, la scuola aiuta a recuperare e a riconoscere l’identità di bambino.

 In quel contesto e  in poco tempo, con un impatto traumatico in una realtà che si pensa lontana, si impara più che in  tanti anni di formazione ed esperienza professionale pur bestemmiando contro Dio, la latitanza  e l’ indifferenza delle istituzioni, la mala sorte, e si apprezzano quei privilegi  a noi concessi da una sorte benevola. La vita porta altrove e a distanza di tanti anni resta forte il ricordo di G. , diventato adulto troppo presto. Di un bambino come lui  aveva scritto anni prima Giancarlo Siani, che non dimentico, come non dimentico certe esperienze che hanno lasciato  una sorta di imprinting dentro.

 Oggi le cose stanno cambiando e c’è molta più consapevolezza ed attenzione a riguardo delle violazioni dell’infanzia. Per altri bambini e ragazzi si può fare qualcosa nel  proprio piccolo raggio d’azione, prevenire il disagio per evitare la dispersione scolastica, far sentire una voce diversa, trasmettere  non solo conoscenze ma anche affetto, valori e modelli positivi, incanalare l’intelligenza dei ragazzi a rischio di devianza creando e sostenendo alternative di vita, e soprattutto impedire e reprimere ogni forma di sfruttamento.  È un obbligo morale  rivendicare e garantire l’infanzia che non deve essere negata  sia perché è riconosciuto  il diritto di non perderla mai, sia perché non potrà più essere recuperata.

 javier perez 1

Questo post è  per la Giornata Mondiale dei diritti dell’Infanzia e per ricordare Marcello D’Orta, maestro di scuola e di vita , autore di tanti libri  tra i quali l’indimenticabile e famoso  “Speriamo che me la cavo” che ha narrato con  intelligente ironia e affettuosa malinconia la contraddittoria napoletanità, l’emarginazione e la miseria  ma soprattutto i sogni, le speranze e l’arte di arrangiarsi i dei più piccoli in una quotidianità difficile, se non impossibile da capire e tanto più da vivere, esorcizzata dalla vitalità dei bambini. Nell’umanità degli scugnizzi e dei bambini di Arzano ho rivisto i miei primi alunni, bambini  di quartieri difficili della provincia di Napoli dove ho iniziato a lavorare e ho capito che la mia strada sarebbe stata l’insegnamento.

 graffito napoli

La mia casa è tutta sgarrupata, i soffitti sono sgarrupati, i mobili sono sgarrupati, le sedie sgarrupate, il pavimento sgarrupato, i muri sgarrupati, il bagnio sgarrupato. Però ci viviamo lo stesso, perché è casa mia, e soldi non cene stanno. Mia madre dice che il Terzo Mondo non tiene neanche  la casa sgarrupata, e perciò non ci dobbiamo lagniare: il Terzo Mondo è molto più terzo di noi!

(Da “Speriamo che me la cavo. Sessanta temi di bambini napoletani” di Marcello D’Orta)

 Quale parabola preferisci?” Svolgimento. Io, la parabola che preferisco è la fine del mondo, perché non ho paura, in quanto che sarò già morto da un secolo. Dio separerà le capre dai pastori, una a destra e una a sinistra. Al centro quelli che andranno in purgatorio, saranno più di mille migliardi!  Più dei cinesi! E Dio avrà tre porte: una grandissima, che è l’inferno; una media, che è il purgatorio; e una strettissima, che è il paradiso. Poi Dio dirà: “Fate silenzio tutti quanti!”. E poi li dividerà. A uno qua e a un altro là. Qualcuno che vuole fare il furbo vuole mettersi di qua, ma Dio lo vede e gli dice: “Uè, addò vai!”. Il mondo scoppierà, le stelle scoppieranno, il cielo scoppierà, Corzano si farà in mille pezzi, i buoni rideranno e i cattivi piangeranno. Quelli del purgatorio un po’ ridono e un po’ piangono, i bambini del limbo diventeranno farfalle. Io, speriamo che me la cavo. »

(Dal film “Speriamo che me la cavo” –regia Lina Wertmüller)

 

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Roma, 16 ottobre 1943

Pare che ogni terra, ogni popolo abbia paura di ospitare l’innominabile nell’eterno  riposo.

Non saprei se provochi più sdegno il massacro di  tante persone inermi alle Fosse Ardeatine o il fatto che egli non abbia mai mostrato un minimo segno di pentimento o  di pietà per le vittime, e abbia sempre  ostentato arroganza e superbia.

Roma non dimentica. Anch’io non dimentico quel 16 ottobre 1943.Queste targhe parlano da sé, come le pietre d’inciampo che si trovano  nella capitale, non solo nel ghetto ebraico, ma ovunque ci siano state vittime della violenza nazifascista, anche dinanzi ad alcune  caserme dei carabinieri  come quella di Via Giulio Cesare  ove ce ne sono 12. Il 7 ottobre duemila carabinieri italiani furono deportati da Roma nei campi di prigionia per tante ragioni, perché aiutarono i disertori o altre persone o perché ritenuti inaffidabili, in fondo l’8 settembre  giovanissimi allievi carabinieri andarono a combattere sul Ponte della Magliana e morirono  per difendere  Roma.

targa ghetto ebraico roma

 

“La mattina di sabato 16 ottobre 1943 le SS irruppero nel ghetto di Roma e deportarono circa 1040 persone ad Auschwitz. Ne tornarono solo 17. Su 288 bambini e ragazzi da 0 a 15 anni, ne sopravvisse solo uno, Enzo Camerino nato nel 1928. Tra 288 giovanissimi c’erano 10 ragazzi di quindici anni, 15 di quattordici, 19 di tredici, 17 di dodici,16 di undici, 17 di dieci,10 di nove,16 di otto anni e 16 di sette,23 di sei,21 di cinque,24 di quattro,23 di tre,25 di due anni e 13 di un anno. Con loro muoiono 2 bimbi di 10 mesi, uno di 9, due di 8,due di 7,5 di sei, 2 di  cinque mesi, due di 4, tre di tre mesi, uno di 15 giorni e un neonato venuto alla luce poche ore dopo l’arresto della madre. Si aggiungano un bimbo e una bimba dei quali non si conosce l’età.

targa casa settimio calò

 

Di mattina presto un merciaio ambulante, Settimio Calò di 44 anni, abitante nel Portico d’Ottavia n 19 uscì da casa per fare la coda in una tabaccheria. Al ritorno trovò la casa vuota: i tedeschi avevano portato via la moglie, Clelia Frascati di 43 anni, e i 10 figli: Bellina di 22 anni, Esterina di 20, Rosa di 18, Ines di 16, Raimondo di 14, David di 13, Elena di 11, Angelo di 8, Nella di 6, Lello Samuele di circa 6 mesi. Con loro anche il cuginetto Settimio di 12 anni che quella notte per caso era stato ospitato dai Calò. Morirono tutti nelle camere a gas appena arrivati ad Auschwitz il 23 ottobre 1943. (informazioni  tratte da “Il futuro spezzato- i nazisti contro i bambini”, di Lidia Beccaria Rolfi e Bruno Maida. Libro dedicato alla piccola Sissel Vogelmann e a tutti i bambini assassinati.)

 Il post continua qui.

Quarta edizione del Carnevale della Letteratura: il tempo

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Signori e signore,

vi annuncio che su Scienza e Musica è stata pubblicata  la quarta edizione del Carnevale della Letteratura, curata da Leonardo Petrillo. Questo mese il carnevale aveva come tema  il tempo, un tema affascinante e  di vastissima interpretazione,   che ha sempre suscitato e continuerà a suscitare l’attenzione e le riflessioni di pensatori, scienziati, letterati, artisti e gente comune di ogni tempo. 

 Il bravo ed eclettico Leonardo ci accompagna avanti e indietro nel tempo, infinito e indefinibile, relativo e immisurabile, diversamente narrato dai carnevalisti ; tempo  che oscilla ed amalgama   il mondo umanistico con quello scientifico o di altre arti e campi dell’ingegno umano in una vasta panoramica arricchita da piacevoli intermezzi musicali.

Se a volte la rete perde e disperde, le iniziative dei vari Carnevali , della matematica, della fisica, della chimica e di recente della Letteratura hanno il merito di raccogliere post a tema, a volte per approfondire, a volte per il semplice piacere della scrittura. Dedicate un po’ del vostro tempo al tempo!

Buona lettura!   

“È sempre l’ora del tè, e negli intervalli non abbiamo il tempo di lavare le tazze.” (Lewis Carroll)

E’ tempo da lupi e da cani, e Skip ha scovato con me una carrellata di aforismi e modi di dire, per ammazzare un po’ il tempo prima che  ammazzi noi, e arrivare in tempo alla quarta edizione del Carnevale della Letteratura curato da Leonardo Petrillo.

clocks


T-e-m-p-o… “Che cosa è allora il tempo? Se nessuno me lo chiede, lo so; se dovessi spiegarlo a chi  
me ne chiede, non lo so.” (Sant’Agostino) e non è l’unico, visto che spesso si parla di una dimensione relativa del tempo. “Il tempo non esiste, è solo una dimensione dell’anima. Il passato non esiste in quanto non è più, il futuro non esiste in quanto deve ancora essere, e il presente è solo un istante inesistente di separazione tra passato e futuro.” (Sant’Agostino) . Inoltre  fluisce , inesorabile, e “L’acqua che tocchi de’ fiumi è l’ultima di quelle che andò e la prima di quella che viene. Così il tempo presente.” (Leonardo da Vinci)

Un famigerato avventuriero cioè Giuseppe Giovanni Battista Vincenzo Pietro Antonio Matteo Balsamo, noto con il nome di Alessandro Conte di Cagliostro, per gli amici semplicemente Cagliostro,   asseriva “Io non sono di nessuna epoca e di nessun luogo: al di fuori del tempo e dello spazio, il mio essere spirituale vive la sua eterna esistenza. (Cagliostro)” …nelle sue molteplici , se non poco limpide, identità e forse in una confusa personalità. Al di fuori di tempo e spazio potrei allocare l’impasse italiana, ma questo è un discorso molto più prosaico.  Culliamoci con un fantastico volo pindarico perché “ La fantasia non è altro che un aspetto della memoria svincolato dall’ordine del tempo e dello spazio.” (Samuel Taylor Coleridge). Del resto “   Gli esseri umani sono anfibi per metà spirito e per metà animali. Come spirito aspirano al mondo eterno, ma come animali vivono nel tempo finito” (Clive Staples Lewis) . Per cui sapeviamolo tutti  che siamo an- fi-bi succubi dell’orologio biologico.

 “Il tempo è un grande insegnante, ma sfortunatamente uccide tutti i suoi alunni.” Alla faccia dei cosiddetti tempi morti.  “L’anima di certa gente ricorda le lavagne di scuola sulle quali il tempo traccia segni, regole ed esempi che una spugna bagnata subito cancella.” (Kahlil Gibran). Insomma è una sorta di gesso per cui  attenzione alle allergie, al gesso, alla scuola e all’invecchiamento fisico. 

“Che strano, tutti parlano del tempo ma nessuno fa niente per cambiarlo. “(Mark Twain) , al massimo si prende tempo o si ricavano parentesi in una giornata o in una settimana .”Il tempo è l’artefice fra gli artefici.” (Francesco Bacone) aggiungerei di grandi artifici  e ama ricamare rughe e lasciare impronte  e potrebbe anche offendersi perché “Il tempo non rispetta quel che si è fatto senza di lui.” (Bruno Barilli) e “Poiché il tempo non è una persona che potremo raggiungere sulla strada quando se ne sarà andata, onoriamolo con letizia e allegrezza di spirito quando ci passa accanto.” (Goethe), sfiorandoci con un tocco leggero.

serena notte

 In fondo un’ora trascorsa piacevolmente pare che duri meno di un’ora triste, forse perché l’infelicità o comunque gli stati d’animo negativi sono più difficili da rimuovere. “L’esserci, l’essere umano, compreso nella sua estrema possibilità d’essere, è il tempo stesso, e non è nel tempo. (Martin Heidegger) ecco perché “Quando due inglesi si incontrano il loro primo argomento di conversazione è il tempo.”  (Samuel Johnson)  che equivale al nostro “Buongiorno, mi chiamo Gennaro…” “piacere, Assuntina”… 

Caposaldo dei detti è “il tempo è prezioso” e forse per questo si prova a rubarlo, a ritagliarlo, a non perderlo, a guadagnarlo.“Quando il tempo è denaro, sembra morale risparmiare tempo, specialmente il proprio. “(Theodor W. Adorno) “Il tempo è moneta. Non sciupiamolo in esitazioni.” (Thomas Mann)  e fatene buon uso perché “ Ho sciupato il tempo, e ora il tempo sciupa me.” (William Shakespeare). Si suol dire anche che  il mattino ha l’oro in bocca, e non si tratta di denti dorati bensì di detti sempre validi per gli stakanovisti del lavoro e per chi asserisce che “chi ha tempo non aspetti tempo”, da impiegare magari al servizio degli altri come hanno ben pensato le banche del tempo.

In fondo  il Mahatma Gandhi predicava  “Dobbiamo fare il miglior uso possibile del tempo libero”. e Goethe “Si ha sempre tempo a sufficienza se lo si usa bene. “

“Troppo spesso togliamo tempo ai nostri amici per dedicarlo ai nostri nemici.” (Hermann Hesse) che ci arrovellano e logorano , ma  Abraham Lincoln  invita ad andare oltre  “Se un uomo è deciso a dare il massimo di se stesso, non ha tempo da perdere in liti personali e non può permettersi le eventuali conseguenze, come perdere la calma e l’autocontrollo.” Quindi se  l’animella vostra è dolentemente sconsolata, reagite con millemila cose da fare che sviino pessimistici stati d’animo    perché “Chi ha da fare non ha tempo per le lacrime. “(Albert Einstein) –verissimo- e   “Il segreto per essere infelici è di avere il tempo di chiedersi continuamente se si è felici o no.” (George Bernard Shaw). Uno squillo di tromba da un mito del nostro tempo , caro a tanti  “Il nostro tempo è limitato, per cui non lo dobbiamo sprecare vivendo la vita di qualcun altro. Non facciamoci intrappolare dai dogmi, che vuol dire vivere seguendo i risultati del pensiero di altre persone. Non lasciamo che il rumore delle opinioni altrui offuschi la nostra voce interiore. E, cosa più importante di tutte, dobbiamo avere il coraggio di seguire il nostro cuore e la nostra intuizione. In qualche modo, essi sanno che cosa vogliamo realmente diventare. Tutto il resto è secondario. (Steve Jobs) .” “Vivi per essere la meraviglia e l’ammirazione del tuo tempo.” (William Shakespeare) …e Jobs c’è riuscito in pieno.

 tempo-che-sfugge

Il tempo scandisce anche  diverse forme di narrazione.

”Per essere poeti, bisogna avere molto tempo. (Pier Paolo Pasolini) – a volte,  pure per partecipare al Carnevale della Letteratura- per meditare, intuire, trovare l’ispirazione e le parole per tradurla. “La poesia non è un’espressione. E’ il tempo di notte, dormire nel letto, pensiero di quello che realmente pensi, rendere il mondo privato pubblico, ed è questo che il poeta fa. (Allen Ginsberg) perché “ Il grande poeta, nello scrivere se stesso, scrive il suo tempo”. (Thomas Stearns Eliot) 

“Le parole si muovono, la musica si muove solo nel tempo; ma ciò che soltanto vive può soltanto morire. Le parole, dopo il discorso giungono al silenzio.” (Thomas Stearns Eliot)”  e “Ogni grande lavoro artistico… riaccende e riadatta il tempo e lo spazio, e la misura del suo successo è l’estensione per la quale si viene portati ad essere abitanti di quel mondo – l’estensione per la quale si viene invitati e si lascia che si respiri la sua strana, speciale aria.” (Leonard Bernstein)

“Ero pittore e il mio unico interesse era lo spazio; soprattutto paesaggi e città. Sono diventato cineasta perché sentivo che – come pittore – mi trovavo ad un punto morto. Ai dipinti mancava qualcosa e mancava nel lavoro del pittore; personalmente pensavo che mancasse una nozione del tempo. Così quando ho cominciato a fare film, all’inizio, mi consideravo un pittore di spazio in cerca del tempo. Non mi è mai accaduto di chiamare ciò “narrare”. Ho dovuto rendermi conto col tempo che lo è. Credo di essere stato molto ingenuo.” (Wim Wenders)

 Il tempo incalza, ma non necessariamente danneggia anzi a volte, quando non se ne ha, induce a dare il meglio di sé “Il giornalista è stimolato dalla scadenza. Scrive peggio se ha tempo.” (Karl Kraus) “Niente ci fa perdere più tempo della fretta. (Roberto Gervaso) , mala consigliera .  Chissà come, poi  la corsa rallenta e “ Il tempo, a volte, sembra che non passi, è come una rondine che fa il nido sulla grondaia, esce ed entra, va e viene, ma sempre sotto i nostri occhi. “(José Saramago)

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“Più perdiamo tempo, più ci accorciamo la vita.” (Roberto Gervaso)  e quanto tempo si perde nel cercare di recuperare il tempo perduto che mai più ritornerààà…e lo sanno bene i diplomatici che  “sono stati inventati soltanto per perdere tempo.” (David Lloyd-George) . Non disperiamo però perché “La bellezza è l’unica cosa contro cui la forza del tempo sia vana. Ciò che è bello è una gioia per tutte le stagioni, ed è un possesso per tutta l’eternità.” (Oscar Wilde) Attention,  please,  che “ Il tempo passato di fronte a un libro aperto non è mai tempo perso. “(Fabio Fazio)  e “Se vivi nel tuo tempo certi libri li respiri nell’aria.” (Federico Fellini) Uhmm, forse per questo non ho mai capito mio figlio che, a quanto pare, non legge bensì  respira libri… 

A volte è questione di tempismo perché “In un minuto c’è il tempo per decisioni e scelte” – anche se il minuto successivo le rovescerà. (Thomas Stearns Eliot) . Se ogni cosa ha il suo tempo, come diceva nonna Gioconda per frenare l’impulsività giovanile dei nipoti “Anche per il pensiero c’è un tempo per arare e un tempo per mietere.” (Ludwig Wittgenstein) 

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Il tempo ha proprietà lenitive perché “Il tempo raffredda, il tempo chiarifica; nessuno stato d’animo si può mantenere del tutto inalterato nello scorrere delle ore. “(Thomas Mann)  e favorisce il metabolismo della convivenza  in quanto “I pregiudizi e tutte le brutture della vita sono utili perché col tempo si trasformano in qualcosa di utile, come il letame in humus.” (Anton Cechov) .E se le corse contro il tempo sono il logorio della vita moderna , invece di un Cynar  “C’è un solo modo di dimenticare il tempo: impiegarlo. (Charles Baudelaire) e non stressarsi troppo in quanto “La puntualità è il ladro del tempo.” (Oscar Wilde) , da scrivere a lettere cubitali  dietro la porta di casa e leggere ogni qualvolta ci si senta in ritardo sull’anticipo  😉

Come si può rappresentare il tempo? Ai piccoli si prospetta una linea del tempo forse scala del Bernini-santa Maria Maggiore RomaperchéIl tempo umano non ruota in cerchio ma avanza veloce in linea retta. E’ per questo che l’uomo non può essere felice, perché la felicità è desiderio di ripetizione.” (Milan Kundera) , e allora per scappare dalla valle di lacrime  direi che ha un andamento spiraliforme, perché in fondo esiste una ciclicità nel tempo, che ci avvolge  e coinvolge,  pur cambiando le variabili spazio temporali…ma se “Il tempo si muove in una direzione, i ricordi vanno in un’altra. (William Gibson) “

Se “Una bugia fa in tempo a viaggiare per mezzo mondo  e  la verità si sta ancora mettendo le scarpe.” (Mark Twain), è anche vero che il  tempo è un  galantuomo  “Pazienta per un poco: le calunnie non vivono a lungo. La verità è figlia del tempo: tra non molto essa apparirà per vendicare i tuoi torti.” (Immanuel Kant)  rafforzato da “  La verità è figlia del tempo.” (Francesco Bacone) e  George Orwell ha anticipato i nostri tempi con una frase attualissima, cioè   “Nel tempo dell’inganno universale dire la verità è un atto rivoluzionario.” (George Orwell) 

alice-jackson2-nonsensePrecipitevolissimevolmente viviamo tempi moderni, non del film di Chaplin, perché  “ Un tempo esistevano domande per le quali non c’erano risposte. Oggi, all’epoca dei computer, ci sono molte risposte per le quali non abbiamo ancora pensato alle domande. “(Peter Ustinov) “Tutto nel mondo sta dando risposte, quel che tarda è il tempo delle domande.” (José Saramago) insomma il pensiero si sta velocizzando talmente che le risposte anticipano le domande o sono riflessioni che maturano per caso e ben si addicono a sottintese domande? Della serie: “tagliatele la testa” , come direbbe la regina di picche ad Alice. 

 

Tempo per esistere e vivere. Un istante per concepire, a volte per andarsene. Tempo stabilito  per venire al mondo, istruirsi e costruire. Tempo troppo breve per il piacere e una perdita improvvisa o di un’attesa troppo lunga e insopportabile. Tempo da negoziare, a volte con la sorte, per avere giustizia, un lavoro, una pensione, un po’di dignità. Tempo non negoziabile per un  perdono,  un’assoluzione, una preghiera, una vendetta.

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“Il mio tempo non è ancora venuto; alcuni nascono postumi.” (Nietzsche)  perché a volte  “Ci si mette molto tempo per diventare giovani.” (Pablo Picasso) , sempre che si riesca a recuperare il tempo rubato, più difficile l’infanzia negata per la quale ci vorrebbe un bel viaggio con Peter Pan nell’Isola che non c’è, almeno però  “Perduto è tutto il tempo che in amor non si  spende.” (Torquato Tasso) , onde per cui si viva l’attimo fuggente. L’avevano ben capito gli antichi saggi: Gaio Svetonio Tranquillo, il cui nome è già tutto un programma,  consigliava  Festina lente cioè “Affrettati lentamente” non come il placido bradipo, ma  riflettendo con calma . Il poeta Orazio, invece, è famoso per “ Carpe diem quam minimum credula postero” (Cogli l’attimo fuggente confidando il meno possibile nel futuro) e Dona praesentis cape laetus horae  (Cogli felice i doni di questo momento).

 E per finire,   vi ringrazio per essere arrivati fin qui e vi saluto con l’aforisma che mi piace di più “È sempre l’ora del tè, e negli intervalli non abbiamo il tempo di lavare le tazze.” (Lewis Carroll)  😉

 

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La signorina Rosa

Con questo post partecipo alla quarta edizione del  Carnevale della Letteratura avente come tema il tempo e  curato da Leonardo Petrillo  su Scienza e Musica.  Propongo una passeggiata nel tempo che fu per raccontare la vita di una donna con lo sguardo su altri tempi.

  Quando penso alla signorina Rosa, concludo che riuscì sempre ad essere protagonista della sua vita, senza finzioni, né guida, né protezione. Penso a quei semi che volano via per germogliare altrove. Lei aveva in sé i semi del secolo successivo.

 Rosa nacque nel 1899. Ancora adolescente, perse entrambi i genitori a poca distanza l’uno dall’ altra. Suo fratello, di due anni più grande,  prese quindi  la via del mare per provvedere alle due sorelle minori e fu esonerato dal primo conflitto mondiale, proprio perché sostegno di famiglia. Finite le scuole tecniche, Rosa aspettò di compiere diciotto anni per lasciare  il paese e andare a vivere in città con la sorella, di un anno più giovane, alla quale era molto legata. Pare che all’inizio entrambe lavorassero in un laboratorio di cucito. Nel 1919 la sorella Lucia morì di febbre spagnola, che all’epoca fece molte vittime.

 Rosa decise di proseguire gli studi , diventò ostetrica e lavorò sempre all’ospedale Ascalesi nel cuore caldo  di Napoli. A lei si deve la nascita, in casa, di tutti i nipoti, pronipoti e figli di conoscenti finché fu costruita la prima clinica ostetrica in penisola sorrentina alla fine degli anni ‘50. Rosa era minuta e di statura piccola, ma aveva un passo sicuro e deciso. Arrivava nella casa della partoriente e istruiva sul da farsi le donne presenti, zittendole con fermezza per mantenere la calma e concentrarsi sull’evento. Non si può dire fosse una bellezza.  Aveva però un paio di occhi  vispi da furetto, di colore castano verde, eredità trasmessa alle nipoti e pronipoti.

  Nel ’43 aiutò la nipote maggiore a trasferirsi in città per lavorare e contribuire al mantenimento agli studi dei tre fratelli minori. Questo perché suo padre ( il fratello di Rosa) era disperso. In verità proprio durante l’ultimo viaggio, che prevedeva il suo sbarco a Genova, arrivò un contrordine. La sua motonave fu dirottata  ad Alessandria d’Egitto e l’equipaggio sbarcò  in un campo di prigionia inglese. Lì suo fratello vi rimase per otto anni e ne svelò il segreto  parlando in arabo contro fantasmi immaginari, quando in tarda età la sua mente vacillava tra sprazzi di memoria del passato e vuoti del presente.  Durante la sua assenza Rosa seguì i  cinque nipoti conciliando, come poteva,  gli impegni di lavoro col tempo libero. La seconda guerra si fece sentire, in tutti i sensi: nelle separazioni forzate, nei bombardamenti, negli stenti, nella trepida attesa di notizie. Ogni tanto tornava al paese e  rimproverava la cognata perché i ragazzini parlavano il dialetto. Rosa ci teneva all’Italiano. Ormai aveva assunto l’aria della città e credeva che un diploma e la  padronanza della lingua italiana potevano essere un buon biglietto di presentazione per un’occupazione futura. Nel dopoguerra incoraggiò i tre nipoti ad intraprendere la carriera del mare. Rosa invece iniziò a viaggiare, prima da sola poi, in età avanzata, coinvolse nelle sue peregrinazioni anche alcune amiche. Non c’erano confini di spazio e tempo alla sua voglia di scoprire l’Italia , l’Europa e poi oltre. Investiva così i suoi risparmi, allontanandosi sempre più,  come i cerchi concentrici si allargano nell’acqua. La sua meta preferita fu Parigi ma è rimasta memorabile nella storia della famiglia la sua partenza per la Terra Santa in un itinerario “fai da te” negli anni ’50.

 La ricordo anziana quando per un giorno si fermava a casa nostra e l’indomani ripartiva per proseguire uno dei tanti viaggi. Quando arrivava era una festa. I miei genitori la aspettavano e si premuravano di accoglierla secondo il rituale riservato agli ospiti di riguardo. A tavola parlava ininterrottamente, descriveva e raccontava le sue peripezie, e sorrideva. Mio padre la ossequiava dandole del Voi, nutriva per lei un’ammirazione, che ho capito in seguito, e una tacita gratitudine per avere assistito mia madre nel lungo parto di mio fratello che fece tribolare per due giorni non solo lei, ma anche  tutto il parentado.  Tra Rosa e mamma c’era una solidarietà femminile, riguardosa da ambo le parti, forse  perché la vita le aveva portate lontano a condividere la tradizione del mare in  una fatale ciclicità. Alla fine degli anni ‘60 Rosa venne a farci visita  per congratularsi con papà, fugando  ogni perplessità dei miei a trasferirsi altrove. Era sempre più piccola, con tante rughe ricamate dal tempo e dalla vita sul viso e sulle mani. Il passo era incerto, ma costante. Mi pareva una testuggine, con gli occhi di sempre, cangianti a seconda della luce, curiosi, attenti, precocemente spalancati sulla libertà, forza  e determinazione di essere. Quando la ricordiamo, tutti pensiamo a una donna intraprendente ed indipendente, discreta e tenace che vedeva altri tempi . Poco formale nei festeggiamenti, mai invadente, lontana eppure presente nei momenti critici.

 Certe vite  sono opere, rese grandiose da una quotidianità percorsa a piccoli passi per gestire difficoltà  e costruire pian piano, credendo in qualcosa. Qualcosa di silenziosamente autentico che va al di là di se stessi, degli affetti, delle coordinate di spazio e tempo, della contingenza del reale. A distanza di tanti anni Zia Rosa riesce ancora a trasmettermi un esempio che orienta. Una riservata, piccola- grande donna che, inizialmente per necessità e poi per scelta, interpretò la vita senza il bisogno di ricevere conferme affettive o consensi, seguendo priorità che aveva selezionato con intelligente perspicacia. Precorse i tempi con la curiosità di aprirsi al mondo, riuscendo a superare ogni distacco e a colmare ogni lontananza. Quando penso a Zia Rosa vedo una moderna  ragazza del 1899.

Dedicato a Zia Rosa

 

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Orsù, animella mia!

Quando sono giù di giri, mi trascino con l’animella sotto i piedi e mi pare che da un momento all’altro il cielo mi cada sulla testa come ad Abraracourcix.

Allora provo a distrarmi in vario modo.

 

Mi dedico ad attività di puro autolesionismo, cioè alle grandi pulizie, così  le pessimistiche energie mentali servono a qualcosa. Ben arroccata sulla scala, a tre metri sopra …il pavimento di casa, smonto le tende bisticciando a braccia alzate con gli odiosi gancetti, poi le lavo e le rimonto continuando a imprecare contro gli irriducibili cosi tondi. In fondo però mi sento soddisfatta soprattutto se non mi sono arroccolata sui pioli della scala. Oppure sudo sette camicie, anzi sette camici, per sfoderare e rivestire i divani in tre manovre, che il più delle volte diventano trenta. Ma chi la dura, la vince. Il non plus ultra è quando decido di riordinare librerie, armadi e mobili della cucina. Allora i miei familiari si preoccupano davvero e richiedono l’ urgente intervento di uno specialista.

Penso se sia il caso di uscire con gli amici, rimasti in zona. Sì, sentire parlare delle loro diatribe familiari,di politica e assistere alle non sempre pacifiche schermaglie tra partner in crisi, potrebbe giovarmi e rafforzare la mia autostima. Potrei sentirmi come la spada nella roccia. Di solito però rinuncio, per evitare incidenti poco diplomatici da parte mia, presa e compresa dalla mia animella in pena.

 

Pratico un po’ di nuoto, che perlomeno fa bene alla salute. Il tutto sta nel decidermi a duellare contro l’indolenza di fine estate e non disertare i buoni propositi. Spesso deambulo nel mio pacifico regno con tappe obbligate dinanzi al frigo perché mi dimentico di bere, e bisogna bere tanto per liberarsi dalle tossine, di varia natura, gonfiando la pancia come la gobba di un cammello.

 

Guardo un bel film. Confesso che mi predispongo con tanta buona volontà per riuscire a vedere un po’ di televisione e finisco sempre col zappingare tra film, telefilm, documentari ove imperversano “ammazzamienti” di ogni genere. Umani, subumani, extraumani, animali, erbivori, onnivori, carnivori che scappano, strepitano, scalpitano, si dilaniano. È tutto un sanguinolento giacimento (si può dire?) di prede in fuga disperata , corse al galoppo di predatori e inseguimenti di agguerriti investigatori. Come variante c’è il filone medico sanitario ospedaliero, altrettanto consolante. Medici e forze dell’ordine sono sempre di un’intelligenza sorprendente, degna di premio Nobel. Alla fine l’altra sera mi sono immedesimata nel ruolo di investigatrice per rintracciare Gri Gri, che dopo avere osato sfacciatamente in mia presenza artigliarsi sul trolley, si è data a una pronta fuga. Durante la gimkana domestica ho cacciato pure Tigro, che di recente crede di essere uno scalatore dell’Himalaya e si sdraia su tavoli e cristalliere in cerca di frescura. Dopo un breve parapiglia, sono crollata sul divano. Però è stato bello perlomeno accendere il televisore, se non altro per gustare poi in santa pace una coppa super di gelato artigianale.

 

Mi dedico alla pet terapy, che non è una cosa scandalosa e funziona sempre. Le belve umane di casa  ormai sono cresciute e hanno perlopiù vita e uscite a sé. Negli animaletti stanziali di casa, quelli dell’associazione felina a delinquere- di cui sopra- che interloquiscono a modo loro, rivedo un po’ della mia animella infantile, curiosa, impertinente. Non so perché, ma  ovunque io mi stenda, mi ritrovo accanto o ai piedi i due peluche moventi. I gatti sono autonomi sì, ma cercano un contatto e trasmettono un caldo affetto, soprattutto alle mie zampe distese. Se oso sgranchire le dita dei piedi, Gri Gri  pensa bene di giocarci finché io, rapita da un fervido ammmore universale, scalcio al vento e faccio decollare pellicce tigrate e ciuffi di peli per riacquistare la mia libera astenia.

 

Leggo. Mi piace leggere romanzi, ma d’un fiato perché altrimenti perdo il filo della narrazione e rischio di librarmi in un volo pindarico inventandomi un finale a piacere. Così poi di quel libro faccio un bel collage ove confondo la trama vera con quella immaginata. Leggo a pancia in su e fatico a leggere da seduta. Solo che , a qualunque ora del giorno, mi capita di cascare  tra le braccia di Morfeo dopo circa una trentina di pagine. Non ho capito se sia la posizione rilassata o il meccanismo della lettura a farmi cadere in letargo. Sta di fatto che fatico a finire un libro, se non è ben scritto e ha un contenuto o trama interessanti. In caso contrario, finirà tra quelli da  portare al mare, ove mi imporrò di leggerlo  e mi riparerà il viso dai raggi UVA.

 

Entro in sintonia col consorte. Impresa non da poco, primo perché è un peripatetico del mondo, secondo perché in fatto di dialogo è uno scoglio che non fa patelle, preso e compreso da altri pensieri. Ci manca pure che ascolti i miei complessi o meglio la mia orchestra sinfonica. Di recente siamo un po’ stanchi, al punto tale che stanotte ci siamo spaventati in due (leggasi bene due). Questo episodio, prova della nostra furbizia e collaudata simbiosi, passerà alla storia della famiglia. Svegliandomi gli ho chiesto se fosse rientrato nostro figlio; lui è andato nella camera e non l’ha trovato. Erano oltre le 3 di notte. Allarme rosso da defibrillazione. Uno di qua e l’altro di là abbiamo cercato di rintracciarlo. Il suo cellulare era irraggiungibile. Già pensavo al peggio perché, quando sono giù, penso sempre di bene in meglio. Un incidente, un galante imprevisto, un salto in discoteca e, a ogni possibile causa del ritardo, fermentavano sempre più i miei succhi gastrici. Chissà come, dopo un’ora circa di nostre girate e rigirate nel letto, intervallate da periodici controlli sul display del cell e affacciate alla finestra, lui ha riguardato e ha scoperto che lui dormiva seraficamente nella sua camera.

No- dico- mio figlio è molto ben visibile, è un armadietto in carne e ossa. Che sintonia! Dio ci fa e ci accoppia nella buona e nella cattiva sorte. Dopo quest’episodio notturno ho avuto una radiosa illuminazione. È il caso di  schiodarsi, riprendere le redini e spronare  la patetica animella… 

Un giorno di fine estate

Piano di Sorrento

Piano di Sorrento

 

Nelle località di mare il fine settimana è tanto atteso, quanto temuto, per le orde di bagnanti che sciamano dalla stazione ferroviaria riversandosi sulle spiagge più accessibili. Vacanzieri in pellegrinaggio, in cerca di un po’ di refrigerio, trascinano in borsoni e borse termiche l’ansia di trascorrere una giornata diversa, una  vacanza al mare. Gli indigeni li guardano con un po’ di diffidenza perché invadono con risa e passi rumorosi il loro territorio. I bambini, tenuti per mano,stanchi e incuriositi avanzano con passetti ravvicinati, i più piccoli sono sballottati in passeggini stracarichi e abilmente manovrati sui basoli sconnessi, i più grandi anticipano festosi la carovana dei familiari. I giovanotti in canotta e calzoncini baldanzosi annunciano il loro arrivo, tenendo per mano ragazzine graziose, acerbe miss dall’aria un po’ vissuta. Una folla chiassosa riempie le stradine che portano al mare finché al belvedere il cielo turchese sconfinante nelle acque, di una sfumatura più scura al largo, riempie gli occhi come un miraggio. Lo stupore di fronte a quella visione fa calare un religioso silenzio che dà voce soltanto a un paesaggio naturale che leva il fiato, anche se solo per qualche breve minuto.

 

Viste dall’ alto le asciugamani disseminate in modo disordinato sulla spiaggia pubblica contrastano con le file di sdraio e ombrelloni ben allineati e tutti uguali dello stabilimento vicino. Sulla battigia pullulano bambini e ragazzi intenti a giocare, con l’entusiasmo di chi ha desiderato a lungo il mare o non ne ha dimestichezza ed è riuscito a lasciare lontani, nell’ afa e nell’ aria polverosa dell’entroterra, la miseria, il degrado, la mancanza di svago. Il divertimento, tanto atteso e spontaneo, li riscatta da una sorta di relegazione forzata in quell’ unico lembo sabbioso di spiaggia pubblica, brulicante di trilli di gioia e richiami urlati da matrone.

Dall’ altra parte musica diffusa dall’impianto stereo dello stabilimento fa da sottofondo ad analoghi strepiti di bambini capricciosi, intenti a divertirsi con giochi a pagamento, come se stessero al luna park, e alle animate conversazioni di dame in costumi impietosi o in parei griffati sotto l’ombrellone. Uomini rilassati passeggiano sul bagnasciuga o cercano di riposare sulle sdraio e sui lettini, fingendo di dormire e sbirciando dietro occhiali da sole.

A quanto pare, c’è meno gente rispetto agli anni scorsi, ma a me sembra tanta e sorridente, oltre che più serena ed abbronzata. Un generale viavai sulla riva, più gente in acqua, più venditori ambulanti ai quali la solita signora, all’ennesimo tentativo di offerta di monili, fasce e fermagli per capelli, scaccia fantasmi di vetro, pareo e ventagli, animaletti di legno e giocattoli da spiaggia, declina prontamente l’invito ad osservare la mercanzia con un garbato quanto cinico “No grazie, non mi serve nulla, non li uso. Sto ‘nguaiata” ( nei guai, malmessa).

Piano di Sorrento

Piano di Sorrento

 

Un caldo torrido è l’ideale per bere e sudare, sudare e bere e rinfrescarsi più spesso. La piccola scogliera è la postazione privilegiata delle donne che, appollaiate, mettono le gambe a mollo nell’ acqua e nel frattempo chiacchierano e tengono d’occhio qualche pargolo nello specchio d’acqua antistante. I ragazzini giocano a tuffarsi dalla parte esterna o sperano di pescare qualcosa. A stento trovo un varco per accedere al mare, cercando di non dare fastidio ai bagnanti schierati in pole position per guadagnarsi un refolo di brezza e un’ottima visuale. A nuoto mi allontano dalla folla,dalla ressa, dagli amici. Al largo osservo quel brulichio di bagnanti immersi a mezzo busto nell’ acqua quasi per sacre abluzioni, come nel Gange. Altri sembrano granchietti che si rincorrono sul lido.

 

Forse è il caldo afoso o il rilassamento delle vacanze, sta di fatto che, mentre mi riavvicino alla riva e guardo in su l’alto costone roccioso a picco sul mare, sguazzando pigramente a mo’ di papera, provo un senso di pace, un’insolita calma in una movimentata giornata di fine estate.

Forse è la magia di questi luoghi e delle acque limpide, o la malinconia che precede il distacco e la fine dell’estate. Lo ammetto: non risalirei più… e non solo dalle acque.