Cadenti dal cielo- Wisława Szymborska

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Cadenti dal cielo

 

La magia se ne va, benché le grandi forze
restino al loro posto. Nelle notti d’agosto
non sai se la cosa che cade sia una stella,
né se a dover cadere sia proprio quella.
E non sai se convenga bene augurare
o trarre vaticini. Da un equivoco astrale?
Quasi non fosse ancor giunta la modernità?
Quale lampo ti dirà: sono una scintilla,
davvero una scintilla d’una coda di cometa,
solo una scintilla che dolcemente muore –
non io sto cadendo sui giornali del pianeta,
è quell’altra, accanto, ha un guasto al motore.

 

(da “ La gioia di scrivere- tutte le poesie”)

 

Antonio Porta : “Incamminarci”

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Incamminarci

Al giro di boa ancora fiammeggiano le querce,20140510_163522
celebriamo il passaggio dell’anno, del fuoco 
quello appena nato non può temere il gelo 
tutte le foglie lo trattengono nel calore 
fin che possa liberare le ali piumate 
ruotare sopra di noi che dormiamo, incamminarci.

  (Invasioni, 1984)

 

Auguro a tutti voi, amici e lettori, una buona fine anno e tanto tanto, tempo nel 2015 per ciò che desiderate di più. 

Maria

 

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Pur'ammè. Resistiamo!

Pur’ammè. Resistiamo!

 

Ciao, Tigro bello.

Tigrotigro bello

 

 Cortese maestà, nobile amica,

degnati di sedere accanto a me;

occhi ardenti nel lampo e nel sorriso,

occhi d’oro, fulgente paradiso,

dove leggo una pagina infinita.

Questo di pelo stupendo tesoro,

tra chiaro e scuro,

seta arruffata, morbida e lucente

come nubi e bagliori della sera

ripaga la carezza riverente

con gentilezza lusinghiera.

 

Algernon Swinburne

Tigro sornione

Sembra l’incarnazione di ogni cosa soffice, serica, priva di qualunque asperità nella sua struttura; un sognatore la cui filosofia di vita è dormi e lascia dormire.

 Saki

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Di colpo, quasi come

se si svegliasse, si volta e fissa i suoi

occhi su di te, con stupore, ritrovi

di fronte a te il tuo stesso sguardo,

racchiuso nei suoi occhi tondi…

come un insetto estinto.

 

M.R. Rilke

 

Un affettuoso pensiero al mio maestoso, elegante e  peluscioso Signor Gatto di casa.

Grazie, Tigro bello. 

 

Specchio- Salvatore Quasimodo

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Ed ecco sul tronco        

si rompono gemme:
un verde più nuovo dell’erba

che il cuore riposa:
il tronco pareva gia’ morto,

piegato sul botro.

 
E tutto mi sa di miracolo;
e sono quell’acqua di nube
che oggi rispecchia nei fossi
più azzurro il suo pezzo di cielo,
quel verde che spacca la scorza
che pure stanotte non c’era. 

Auguri di serena Pasqua! :)

 

Il ramo rubato- Pablo Neruda

primavera

Nella notte entreremo
a rubare
un ramo fiorito.

Passeremo il muro,
nelle tenebre del giardino altrui,
due ombre nell’ombra.

Ancora non se n’é andato l’inverno,
e il melo appare
trasformato d’improvviso
in cascata di stelle odorose.

Nella notte entreremo
fino al suo tremulo firmamento,
e le tue piccole mani e le mie
ruberanno le stelle.

E cautamente
nella nostra casa,
nella notte e nell’ombra,
entrerà con i tuoi passi
il silenzioso passo del profumo
e con i piedi stellati
il corpo chiaro della Primavera.

Ode al gatto- Pablo Neruda

tigroI gatti sono  regalmente eleganti e misteriosi, istintivi, scelgono chi amare e non dipendono da nessuno. Semplici nei loro bisogni primari ma eternamente cuccioli nell’ entusiasmo e curiosità, affascinanti quando ci osservano e sembrano capire. Interlocutori attenti, muti eppur presenti, abitudinari ma non  facilmente addomesticabili .

 

Un gatto è un gentiluomo. Sotto quel pelo morbido si trova ancora uno degli spiriti più liberi del mondo ( Eric Gurney ) perché Non è facile conquistare l’ amicizia di un gatto. Vi concederà la sua amicizia se mostrerete di meritarne l’ onore, ma non sarà mai il vostro schiavo. (Théophile Gautier )

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Ode al gatto di Pablo Neruda

Gli animali furono
imperfetti, lunghi
di coda, plumbei
di testa.
Piano piano si misero
in ordine,
divennero paesaggio,
acquistarono nèi, grazia, volo.
Il gatto,
soltanto il gatto
apparve completo
e orgoglioso:
nacque completamente rifinito,
cammina solo e sa quello che vuole. L’uomo vuol essere pesce e uccello,
il serpente vorrebbe avere le ali,
il cane è un leone spaesato,
l’ingegnere vuol essere poeta,
la mosca studia per rondine,
il poeta cerca di imitare la mosca,
ma il gatto
vuole essere solo gatto
ed ogni gatto è gatto
dai baffi alla coda,
dal fiuto al topo vivo,
dalla notte fino ai suoi occhi d’oro.

Non c’è unità
come la sua,
non hanno
la luna o il fiore
una tale coesione:
è una sola cosa
come il sole o il topazio,
e l’elastica linea del suo corpo,
salda e sottile, è come
la linea della prua di una nave.
I suoi occhi gialli
hanno lasciato una sola
fessura
per gettarvi le monete della notte.

Oh piccolo
imperatore senz’orbe,
conquistatore senza patria,
minima tigre da salotto, nuziale
sultano del cielo
delle tegole erotiche,
il vento dell’amore
all’aria aperta
reclami
quando passi
e posi
quattro piedi delicati
sul suolo,
fiutando,
diffidando
di ogni cosa terrestre,
perché tutto
è immondo
per l’immacolato piede del gatto.

Oh fiera indipendente
della casa, arrogante
vestigio della notte,
neghittoso, ginnastico
ed estraneo,
profondissimo gatto,
poliziotto segreto
delle stanze,
insegna
di un
irreperibile velluto,
probabilmente non c’è
enigma
nel tuo contegno,
forse sei mistero,
tutti sanno di te ed appartieni
all’abitante meno misterioso,
forse tutti si credono
padroni,
proprietari, parenti
di gatti, compagni,
colleghi,
discepoli o amici
del proprio gatto.

Io no.
Io non sono d’accordo.
Io non conosco il gatto.
So tutto, la vita e il suo arcipelago,
il mare e la città incalcolabile,
la botanica,
il gineceo coi suoi peccati,
il per e il meno della matematica,
gl’imbuti vulcanici del mondo,
il guscio irreale del coccodrillo,
la bontà ignorata del pompiere,
l’atavismo azzurro del sacerdote,
ma non riesco a decifrare il gatto.
Sul suo distacco la ragione slitta,
numeri d’oro stanno nei suoi occhi.

Poesia per Gianni Rodari – Bruno Tognolini

autunno

 

Poesia per Gianni Rodari 

 

Mia figlia si svegliava con le tue rime in musica
A tua figlia dicevi fiabe ad alta voce
Anch’io a mia figlia leggevo ad alta voce
Ho studiato con tua figlia all’università
Il mio mestiere è diventato il tuo

C’è un fiume di padri e di figli, di rime e di fogli
C’è un giro di grandi stagioni, di madri e di mogli
C’è il rosso coraggio delle primavere
Le figlie son vere, le fiabe son finte
Ma tu non temere, le guerre che hai perso son vinte
C’è il rosso di foglie che cadono, qui nell’autunno
Nel tempo del sonno e del danno
Le foglie son vere, le figlie son molte
Le rime che lasci cadere
Son state raccolte
E ormai dureranno le estati della filastrocca
La gente ora sa che sapevi suonare
Suonare ci tocca
Ti abbiamo seguito, abbiamo accordato la rima
Le fiabe son vere, c’è un nuovo mestiere
Che non c’era prima

I poeti per bambini intagliano teatrini del mondo
I poeti per bambini costruiscono giocattoli dell’anima
I poeti per bambini son Piccoli Zii per i figli di tutti

Contro i Grandi Fratelli ignoranti, meschini e corrotti
Tutti noi stamburanti di rima
Tutti noi musicanti di Brema
Noi poeti un po’ gatti, un po’ galli, un po’ cani e somari
Camminiamo sulle strade aperte
Da Gianni Rodari

  

Da “Filastrocche” di Bruno Tognolini

 

L’acquazzone-Corrado Govoni

L’acquazzone

Di nubi grigie a un tratto il ciel fu sporco;

e il tuono brontolò con voce d’orco.

Si cacciò avanti, lungo lo stradone,
carta foglie ed uccelli. il polverone.
Si udirono richiami disperati, 
tonfi d’imposte e d’usci sbatacchiati.
Si videro donne lottare in un prato
con gli angeli impauriti del bucato.
Poi seminò la pioggia a piene mani
tetti e vie di danzanti tulipani;
tagliò il paesaggio, illividì ogni cosa 
in un polverio d’acqua luminosa.

Quando si stava inebetiti e fissi
come sull’orlo d’infuocati abissi
dove il mondo pareva andar sommerso:
il cielo sulle case era già terso,
e nei vetri appannati del tinello
risorrise il paese ad acquarello:
sulla campagna dolcemente crespa
ronzò la chiesa d’oro come vespa.

Non rimaneva dell’orrendo schianto
che il gocciare di musicale pianto
della gronda, già buono già tranquillo:
lo raccolse morente il bruno grillo.
Coi tamburini gracili di pelle
le rane lo portarono alle stelle.

Corrado Govoni

Carnevale della Letteratura #3 – La notte

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E voilà è arrivato settembre con quell’inconfondibile luce che rende più brillante il verde e  trasparenti le acque e nella prima fresca aria notturna è arrivata a buon fine   la terza edizione del Carnevale della Letteratura avente come  tema  la Notte.

La notte, che da sempre incanta, affascina, appassiona e spaventa. Nel silenzio della notte sembrano emergere in maniera accentuata, più sentita e vissuta,  l’anima razionale ed irrazionale dell’uomo, a volte assorto e concentrato nei propri pensieri, a volte  libero di rincorrere sogni e passioni. La buia notte distoglie dal superfluo, induce  a scrutare e a esplorare  sentieri invisibili, a volte imperscrutabili, e nella sua silenziosa presenza ascolta, custodisce, ispira, guida, rivela indistintamente a tutti ad ogni età e nelle varie fasi della vita.

Tutti i partecipanti a questo Carnevale ci regalano frammenti delle loro notti, a volte tenere e nostalgiche, a volte briose e frizzanti, affascinanti e consolatorie, magiche e misteriose…

Io e Skip vi accompagniamo in punta di piedi nelle tante notti svelate dai nostri amici che  vogliamo ringraziare per avere reso così varia e  luminosa questa iniziativa.

 

Carnevale della Letteratura –terza Edizione

“Non si può toccare l’alba se non si sono percorsi i sentieri della notte.”

(Kahlil Gibran)

Mediterraneo

Iniziamo con   Marisa Bergamasco, che dall’Argentina  cura il blog Cocina y Letras ove riesce abilmente a fondere letteratura e arte culinaria, mescolando  la  nostalgia per l’Italia con i sapori  della buona cucina. Ci propone La notte e le donne più belle d’Italia, un racconto originale e spontaneo come gli affetti più cari associati a notti diverse che, nella loro luce e vicinanza, riescono ad annullare ogni distanza di spazio e di tempo.

“Pochi anni fa, quando telefonavo a mia madre da uno dei tanti posti in cui mi sono trasferita, le chiedevo che guardasse di notte “le tre Marie” (le tre stelle della cintura di Orione, quelle che nel mondo boreale vengono chiamate “I tre re”). A casa di mia madre se ne trovano sopra il serbatoio dell’acqua potabile che a sua volta si trova sopra il tetto della sua camera. Io le cercavo ovunque ci sia stato il mio cielo, e a quel punto, pensare l’una all’altra era il nostro modo casereccio per esorcizzare la lontananza.”

Un mix poetico, delicatamente genuino come la sorpresa finale, molto gradita da Skip e ancor più da me.  😉

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“La notte illuminata dal chiaro di luna è una delle ambientazioni più comuni e suggestive che si possono ritrovare in ambito sia letterario che musicale” è l’incipit del  post “Il chiaro di luna tra musica e letteratura” del giovane  Leonardo Petrillo, esperto di musica e scienze, che sul Tamburo Riparato ci delizia con un’ armonia  di composizioni musicali e letterarie.

“Sempre nell’atto V, Shakespeare immette un’emblematica riflessione relativamente alla musica: L’uomo, nel cui cuore la musica è senza eco, o l’uomo, che non si commuove ad  un bell’ accordo di suoni, è capace di tutto: di tradire, di ferire, di rubare e i moti del suo spirito sono foschi quanto la notte e le sue passioni nere quanto l’inferno. Non ti fidar di lui, ascolta la musica.”

E noi accogliamo volentieri l’invito leggendo e ascoltando il post di Leonardo, magari durante  una notte romantica, e il futurista Marinetti ci scuserà se non abbiamo ancora ucciso il chiaro di luna   😉

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E ora destiamoci  e spalanchiamo bene gli occhi, lasciandoci guidare dall’eclettica  Annarita Ruberto, la professoressa del web, esperta di matematica, fisica,  scienze e astronomia di cui scrive su Scientificando e Matem@ticamente, oltre che pubblicista di articoli scientifici sulla rivista  “Scuola & Didattica”.  Questa volta  sul blog Web 2.0 and Something  ci offre due componimenti poetici.

 Immersa  nella volta celeste contempla la Notte che

 “Pietosa signora

doni ali a pensieri.

Offri asilo ai desideri

Che vagano stranieri”

Una notte che, inquieta, ispira e nutre talenti.

 Annarita però non può non subire il fascino degli astri  e lo traduce in versi in   “ Le stelle” che  rischiarano le strade del cielo, dell’uomo  e delle varie civiltà e da sempre racchiudono nella loro magica polvere il mistero dell’universo.

 

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“Quella notte” , lettori,  che notte! Una notte tutta  da scoprire su Il Gloglottatore  , che lascia ampio spazio all’immaginazione e alla libera interpretazione.  Bernardo R., l’autore, è anche uno degli ideatori  del Carnevale della Letteratura  e  gloglotta convinto  che il mondo umanistico può amalgamarsi con quello scientifico o di altre arti e campi dell’ingegno umano. Infatti ci ha contagiati e convinti,  speriamo di esserlo sempre in  più.  Qui trovate i temi delle varie edizioni del Carnevale.

 

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Seguiamo adesso  Margherita Spanedda  che cura i blog  Un po’ di chimica e Il gatto a righe.  Nelle “Stelle”  racconta  una di quelle notti  pungenti che riescono a parlare  all’anima tra presente e passato, tra le  luci e  le ombre della vita di Maria. “…le  ombre dei suoi pensieri, dei suoi desideri, diventate improvvisamente solide , palpabili” riemergono da uno spazio vissuto e divenuto  troppo stretto e respirano in quello della memoria  e nell’ infinito  universo ove ricongiungersi alla luce di quelle stelle che attraversano la nostra vita come comete…

Altro contributo  di Margherita è il post  “La Dea” che nel suo splendore   affascina   gli uomini sin dalla notte dei tempi, incanta regalando un senso di infantile stupore a una nostra lontana progenitrice   che non può ancora intuirne  i misteri  nel ritmo del tempo e nella ciclicità della natura.

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“La luna spuntando dietro la cresta dei Ronchi, fece la sua comparsa nel cielo stellato e limpido e si mise all’opera per completare l’impresa iniziata dall’acqua. Con la sua straordinaria forza di gravità capace di alzare e abbassare le acque dei mari e degli oceani, come una misteriosa alchimia, mescolò le molecole dell’acqua con le vitamine della cornola dando così origine a una nuova forma di vita sconosciuta sulla terra.” Chi nacque? Il Sanguanello, un folletto dispettoso e burlone che è ricomparso  dalle leggende delle valli dell’Altopiano di Asiago  nei racconti di Fiorella Lorenzi insieme a “L’Anguana del Cion” .Tra suggestive descrizioni e un’apparente semplicità narrativa personaggi reali ed immaginari dei monti e dei boschi fanno decollare la fantasia nella semplice, quasi fiabesca,  atmosfera di un mondo rurale di altri tempi. Io e Skip ringraziamo anche Silvano Bottaro, alias Novalis, che ha pubblicato il post di Fiorella nel blog Novalismi  e invitiamo la cara Fio a scrivere, scrivere e farsi leggere. Ecco l’abbiamo detto ufficialmente!

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Ora passiamo a uno dei promotori e assiduo sostenitore del Carnevale della letteratura, cioè Spartaco Mencaroni di Il Coniglio Mannaro. Chi è il Coniglio? “Il Coniglio Mannaro è quella parte di ognuno di noi che si è persa in un posto magico e guarda da lontano il nostro mondo e la sua luna. Continua a raccontare storie fantastiche e frammenti di sogni, a volte fingendo di voler tornare indietro.” Un biglietto di presentazione per un giovane scrittore, di grande creatività e sensibilità, che riesce sempre a produrre racconti suggestivi, ora  teneri e delicati, ora misteriosi e avvincenti. Spartaco ha contribuito a questa rassegna con ben tre post.

In quella pallida estate, durante una lunga notte, accadono cose per noi viventi quasi incomprensibili. “Noi ricordiamo poco. I nostri pensieri si sciolgono nella luce e, nel buio, rimangono oscuri. Il giorno è chiarissimo dolore, la notte dolcissima stempera ogni memoria e ci conforta con la sua vaga tristezza.

Ma alcune cose restano, fissate come la trama di una ragnatela su cui splendono gemme argentate e gocce di pioggia inzuppate di luna.

Avvenne quell’estate, sotto un pallido cielo, che un’improvvisa bruma assai densa ci avvolgesse subito prima dell’alba.”

Due mondi si sfiorano nell’alba, momento di passaggio  dalle tenebre alla luce, dove la dolcezza e l’amarezza insite in ogni perdita si uniscono .

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Neve sull’argine grande è invece un racconto poetico che prende spunto dall’ “Autoritratto con paesaggio”  di Matteo Pedrali e accarezza le varie sfumature dell’amore nell’alternanza di giorno e notte, delle luci e delle ombre dell’umano sentire. Questo  post è un bell’esercizio di scrittura  di  Spartaco Mencaroni  che riesce a  dipingere con descrizioni accurate e incisive.

 

Di notte accadono cose che non si possono capire, ma solo intuire. “Ma quest’inverno è 37diverso. C’è uno strano freddo, che entra nell’anima. Le giornate non sono mai del tutto luminose ed è come se la notte assediasse le ore di luce. Posso sentire le ombre, si spingono ai margini del giorno, in attesa del buio.”   Nelle Notti d’inverno si snoda una storia  avvincente che sconfina dal mondo  reale a quello immaginario  negli inesplorati meandri della mente umana,  popolati da inquietanti presenze.

E infine veniamo  a noi.  Io e Skip ci siamo un po’ persi tra notti, stelle , lune e sensazioni. 

 

bambina con gatto“Caro lettore accingiti a seguirmi  e a percorrere con calma lunghe strade  di polvere e  germogli  tracciate nella memoria dei cuori e delle menti di chi narra storie e leggende, ora nascoste  dalle  tenebre della superstizione  e della vendetta, ora illuminate dalla  dolcezza dell’amore  e dalla magia della natura.” È l’incipit di  “Non avevo mai visto occhi così verdi”. Di chi? Provate a  scoprirlo nella storia di Cecilia, presunta o vera strega bambina, Tommaso e il Gatto, personaggi reali e fantastici in una storia un po’ misteriosa.

 

“L’anima è piena di stelle cadenti (Victor Hugo) “e anche la notte di San Lorenzo che ha ispirato semplici riflessioni e una grande meraviglia di fronte a uno spettacolo che si ripete e non stanca mai.

 

“Pompei, maledetta dalla natura e benedetta dagli dei, suggestiona chiunque nei suoidomus pompei chiaroscuri, nell’eco remota che risuona dentro, nella sua  immensità costellata da vibranti fiammelle che segnano il percorso, quasi a ricordo del percorso esistenziale dell’umanità. “Qui siamo felici” è l’epitaffio più bello in memoria di una città che ha ancora tanto da dire indistintamente a tutti.”

Hic sumus felices – Le magiche Lune di Pompei è un post ove dalla storia di Pompei , esplorata in visite notturne, si approda a riflessioni che accomunano l’umanità del passato e del presente .  

In una notte d’autunno è un  breve sguardo dentro di sé per ritrovare “ l’anima bambina. La stessa che tace parole non scritte per pudore e per timore di annoiare e di ferirsi. La stessa che ora si lascia decantare e si placa  nell’ abbraccio  di una morbida notte  d’autunno.” 

serena notte

Siamo quasi  arrivati alla conclusione del Carnevale  e io e Skip ringraziamo tutti i partecipanti e i lettori per avere seguito questa luuuuuuuuuunga rassegna.Ricordiamo che la quarta edizione del Carnevale della Letteratura sarà ospitato su Scienza e Musica di Leonardo Petrillo che ha scelto come  tema “ il tempo”. Potrete segnalare i link di vostri  post inerenti il tempo entro la fine di settembre .

 

Ora ci congediamo  lentamente e vi regaliamo un ultimo e splendido omaggio di Fernando Pessoa alla Signora  che, nelle sue mille sfumature ,  ci ha ispirati e guidati perché “La notte non è meno meravigliosa del giorno, non è meno divina; di notte risplendono luminose le stelle, e si hanno rivelazioni che il giorno ignora.” ( Nikolaj Berdjaev)

tutteleluneOde alla notte

Vieni, Notte antichissima e identica,
Notte Regina nata detronizzata,
Notte internamente uguale al silenzio, Notte
con le stelle, lustrini rapidi
sul tuo vestito frangiato di Infinito.
Vieni vagamente,
vieni lievemente,
vieni sola, solenne, con le mani cadute
lungo i fianchi, vieni
e porta i lontani monti a ridosso degli alberi vicini,
fondi in un campo tuo tutti i campi che vedo,
fai della montagna un solo blocco del tuo corpo,
cancella in essa tutte le differenze che vedo da lontano di giorno,
tutte le strade che la salgono,
tutti i vari alberi che la fanno verde scuro in lontananza,
tutte le case bianche che fumano fra gli alberi
e lascia solo una luce, un’altra luce e un’altra ancora,
nella distanza imprecisa e vagamente perturbatrice,
nella distanza subitamente impossibile da percorrere.
Nostra Signora
delle cose impossibili che cerchiamo invano,
dei sogni che ci visitano al crepuscolo, alla finestra,
dei propositi che ci accarezzano
sulle ampie terrazze degli alberghi cosmopoliti sul mare,
al suono europeo delle musiche e delle voci lontane e vicine,
e che ci dolgono perché sappiamo che mai li realizzeremo.
Vieni e cullaci,
vieni e consolaci,
baciaci silenziosamente sulla fronte,
cosi lievemente sulla fronte che non ci accorgiamo d’essere baciati
se non per una differenza nell’anima
e un vago singulto che parte misericordiosamente
dall’antichissimo di noi
laddove hanno radici quegli alberi di meraviglia
i cui frutti sono i sogni che culliamo e amiamo,
perché li sappiamo senza relazione con ciò che ci può
essere nella vita.
Vieni solennissima,
solennissima e colma
di una nascosta voglia di singhiozzare,
forse perché grande è l’anima e piccola è la vita,
e non tutti i gesti possono uscire dal nostro corpo,
e arriviamo solo fin dove arriva il nostro braccio
e vediamo solo fin dove vede il nostro sguardo.
Vieni, dolorosa,
Mater Dolorosa delle Angosce dei Timidi,
Turris Eburnea delle Tristezze dei Disprezzati,
fresca mano sulla fronte febbricitante degli Umili,
sapore d’acqua di fonte sulle labbra riarse degli Stanchi.
Vieni, dal fondo
dell’orizzonte livido,
vieni e strappami
dal suolo dell’angustia in cui io vegeto,
dal suolo di inquietudine e vita-di-troppo e false sensazioni
dal quale naturalmente sono spuntato.
Coglimi dal mio suolo, margherita trascurata,
e fra erbe alte margherita ombreggiata,
petalo per petalo leggi in me non so quale destino
e sfogliami per il tuo piacere,
per il tuo piacere silenzioso e fresco.
Un petalo di me lancialo verso il Nord,
dove sorgono le città di oggi il cui rumore ho amato come un corpo.
Un altro petalo di me lancialo verso il Sud
dove sono i mari e le avventure che si sognano.
Un altro petalo verso Occidente,
dove brucia incandescente tutto ciò che forse è il futuro,
e ci sono rumori di grandi macchine e grandi deserti rocciosi
dove le anime inselvatichiscono e la morale non arriva.
E l’altro, gli altri, tutti gli altri petali
– oh occulto rintocco di campane a martello nella mia anima! –
affidali all’Oriente,
l’Oriente da cui viene tutto, il giorno e la fede,
l’Oriente pomposo e fanatico e caldo,
l’Oriente eccessivo che io non vedrò mai,
l’Oriente buddhista, bramanico, scintoista,
l’Oriente che è tutto quanto noi non abbiamo,
tutto quanto noi non siamo,
l’Oriente dove – chissà – forse ancor oggi vive Cristo,
dove forse Dio esiste corporalmente imperando su tutto…
Vieni sopra i mari,
sopra i mari maggiori,
sopra il mare dagli orizzonti incerti,
vieni e passa la mano sul suo dorso ferino,
e calmalo misteriosamente,
o domatrice ipnotica delle cose brulicanti!
Vieni, premurosa,
vieni, materna,
in punta di piedi, infermiera antichissima che ti sedesti
al capezzale degli dei delle fedi ormai perdute,
e che vedesti nascere Geova e Giove,
e sorridesti perché per te tutto è falso, salvo la tenebra e il silenzio,
e il grande Spazio Misterioso al di la di essi… Vieni, Notte silenziosa ed estatica,
avvolgi nel tuo mantello leggero
il mio cuore… Serenamente, come una brezza nella sera lenta,
tranquillamente, come un gesto materno che rassicura,
con le stelle che brillano (o Travestita dell’Oltre!),
polvere di oro sui tuoi capelli neri,
e la luna calante, maschera misteriosa sul tuo volto.
Tutti i suoni suonano in un altro modo quando tu giungi
Quando tu entri ogni voce si abbassa
Nessuno ti vede entrare
Nessuno si accorge di quando sei entrata,
se non all’improvviso, nel vedere che tutto si raccoglie,
che tutto perde i contorni e i colori,
e che nel cielo alto, ancora chiaramente azzurro e bianco all’orizzonte,
già falce nitida, o circolo giallastro, o mero diffuso biancore, la luna comincia il suo giorno.

Fernando Pessoa

 

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