Simbolismo del presepe: luoghi e personaggi.

 

Sacro e profano, fede e superstizione, realtà ed immaginazione, costante celebrazione di vita e di morte  sono ingredienti ben amalgamati nel presepe napoletano che si apprezza non solo per la raffinata manifattura, ma anche se si comprende la  valenza simbolica dei suoi elementi e dei suoi personaggi.

 La grotta ,simbolo del grembo materno, offre riparo al Bambino, ai pastori e agli animali e segna il confine tra la nuova luce e le tenebre . Le ripide  montagne e le salite rendono arduo il cammino per raggiungere  il Salvatore, come difficile è la redenzione dal male. L’anacronistico castello, non a caso posto in alto e difeso da un soldato romano rappresenta il  potere e richiama la strage degli Innocenti, mentre la chiesa e le edicole votive esprimono la religiosità collettiva. 

Benino dormiente  è colui che s’incammina  verso la verità  e la sua capanna rappresenta una vita semplice e precaria . Il pastore adorante è arrivato alla fine del percorso e può finalmente contemplare il divino. L’acqua dei ruscelli, dei laghetti, delle fontane e dei pozzi simboleggia sia la vita che la morte, rigenera e purifica (acquaiolo e  lavandaia ),ma può anche distruggere e rapire come quella della  fontana e del pozzo che collegano col misterioso ed insidioso mondo  sotterraneo  degli Inferi (Maria Manilonga), mentre  il ponte su corsi d’acqua o tra i monti agevola il passaggio dal mondo dei vivi a quello dei morti.

 

La  taverna è un luogo di “perdizione”, ove regnano i vizi di gola, lussuria, gioco ed ubriachezza;  a volte vi compaiono anche un monaco ubriaco, che rappresenta la corruzione temporale della chiesa, e i giocatori di carte, detti Zì Vicienzo e Zì Pascale che  hanno poteri divinatori.  La varietà di  prodotti alimentari e ortofrutticoli, in bella mostra nelle botteghe o sui carretti, sono l’ abbondanza e la ricchezza della natura che può appagare l’atavica fame e la miseria del popolo spesso rappresentate da Pulcinella o dal mangiatore di maccaroni.

Gli alberi simboleggiano conoscenza, sapienza e crescita, il fuoco è energia vitale,  il mulino e la vecchia che fila la lana scandiscono il tempo che passa, la macina simboleggia morte e purezza. Anticamente nel presepe, soprattutto sulle montagne, era presente anche un diavolo , poi soppiantato dal  macellaio, dall’oste e dal barbiere  che rievocano simbolicamente il male e il sangue. I numerosi mendicanti, spesso deformi (guercio, zoppo, storpio, la contadina col gozzo,  la vedova rapata) rappresentano le anime purganti o pezzentelle che invocano preghiere di suffragio sulla terra. 

 

La zingara preannuncia profezie non sempre serene, Ciccibacco ‘ncopp’a votte (Cicci Bacco sulla botte), su un carro simboleggia Dioniso, accompagnato da pastori e caprai, è l’umanità gaudente e festosa, la vecchia che dà mangime alle galline è il simbolo di Demetra che nutre Kore, Core cuntento ‘a loggia (Cuor contento sulla loggia) è l’allegria, la donna col bambino, cioè Stefania, rappresenta la maternità.

Gli animali hanno molti significati: il cane rappresenta la  fedeltà e la promiscuità, la gallina indica fertilità, le pecore invece la morte, il maiale sia la lussuria che la parsimonia, i pappagalli, le scimmie e gli  elefanti sono il gusto per l’esotico.

Vita e morte sono complementari nel presepe napoletano, scrigno prezioso non solo di storia, fede e tradizioni, ma anche di un’ intramontabile filosofia della vita.

 

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Gli struffoli

 La cucina napoletana può vantare tanti dolci, uno per ogni festa, santo e ricorrenza che , non a caso, poi sedimentano bene sui fianchi e non solo. Sulla tavola imbandita per Natale  non mancano mai gli struffoli e le zeppole, dolci fritti di pasta dolce, di cui non troverete mai un’unica ricetta, come per la pastiera, in quanto ogni famiglia custodisce la propria che si tramanda di generazione in generazione con un  piccolo segreto o variante.

Pare che i Greci abbiano importato gli struffoli nel golfo di Napoli al tempo dell’antica Partenope e che  struffoli quindi derivi dal greco “strongoulos pristòs” , cioè pallina rotonda tagliata. Gli struffoli  o , privi di una effe, strufoli sono citati in due famosi trattati di cucina del 1600 del Latini e del Nascia, e si sono rapidamente diffusi in gran parte dell’Italia centro meridionale, seppur  con qualche variante nel nome ( ad esempio si chiamano cicerchiata in Umbria e in Abruzzo).

Come tanti altri dolci, le palline di pasta fritta condite col miele venivano spesso preparate dalle suore  su ordinazione per essere regalate durante le feste di Natale. Oggi si trovano facilmente in pasticceria e in ogni casa ,anche perché la ricetta è molto semplice.

Una curiosità da tenere presente come accorgimento durante l’esecuzione della ricetta, e come informazione storica. Gli struffoli devono essere piccoli, perché più sono piccoli , più si ricoprono di miele. Cosa  molto gradita in passato quando la vita e l’alimentazione erano grame  e un po’ di miele in più era sicuramente ben accetto alla salute e al palato di coloro che aspettavano le feste per potere mangiare meglio.

Ecco la  ricetta scoperta a casa della nonna.

Ingredienti:

 3 uova

1 cucchiaio di zucchero

1 cucchiaio di olio di oliva

1 bicchierino di whisky

1 pizzico di sale

Farina setacciata quanta ne assorbe l’impasto.

 Sbattere le uova , aggiungere piano piano gli altri ingredienti continuando  a mescolare, per ultimo la farina. Lavorare l’impasto  con le mani fino  a quando risulti omogeneo e un po’ elastico,  dividerlo in pezzi,  formare serpentelli di pasta da tagliare poi in  piccoli pezzi, possibilmente lunghi 1 cm circa. Friggerli pochi alla volta  in abbondante olio  e in una pentola larga  dai bordi alti  perché c’è il rischio che, gonfiandosi gli struffoli, l’olio schiumi e fuoriesca dalla padella.  Asciugare bene su  carta assorbente.

 Condimento

300 g di miele

2 cucchiai di zucchero

2 cucchiai di anice

bucce di un mandarino e di un limone, tagliate in piccoli pezzi

confettini colorati ( che a Napoli si chiamano “diavulilli”)

150 g di frutta candita (cedro, arancia e zucca) tagliati a pezzettini

In una pentola sciogliere il miele con lo zucchero, l’anice, una parte delle bucce di agrumi e della frutta candita . Versarvi dentro gli struffoli un po’ alla volta ,mescolarli ben bene nel miele, estrarli con la schiumarola, adagiarli su un piatto di portata a mò di piramide, cospargerli di confettini. Ripetere il procedimento con gli altri struffoli, aggiungendo di volta in volta nel miele i pezzetti di bucce e di frutta candita.

 Volendo,  si può formare una ciambella di struffoli:  basta mettere al centro del piatto un barattolo vuoto, da togliere  quando si è solidificato il miele.

 Buone Feste!  

 

Auguri di Buon Natale

Voglio farti gli auguri a colori

perché sia Natale dentro e fuori,
e volino lievi tutti i pensieri
con sagge parole di oggi e di ieri.

Un monte di auguri verde brillante,
che diano gioia in cambio di niente,
una piccola gemma rosso lucente
che parli al cuore di tanta gente.

Un mare di auguri dipinto di blu,
che doni buona salute a chi vuoi tu,
perlato da qualche raggio di stelle
e lacrime di cose semplici, ma belle.

Infine auguri color arcobaleno
perché non solo Natale sia sereno
ma in ogni casa, città e stagione
brillino affetti e un po’ di commozione.

Maria 

Fanno la fantasia volare, nella magica notte di Natale.

Ogni anno, nella notte del 24 dicembre, Comet, Dancer, Dasher, Prancer, Vixen, Donder, Blitzen, Cupid attraversano la cupola stellata. In  italiano i loro nomi corrispondono a Cometa, Ballerina, Fulmine, Donnola, Freccia, Saltarello, Donato, Cupido. Chi sono? Le renne di Babbo Natale che hanno l’onore e l’onere di trainare la slitta carica di doni, come recita la seguente  filastrocca.

 

“Non solo fanno la slitta volare

e in ciel galoppano senza cadere
Ogni renna ha il suo compito speciale
per saper dove i doni portare.

 
Cometa chiede a ciascuna stella
Dov’è questa casa o dov’è quella.
Fulmine guarda di qui e di là
Per sapere se la neve verrà.

 

Donnola segue del vento la scia
schivando le nubi che sbarran la via.
Freccia controlla il tempo scrupoloso
ogni secondo che fugge è prezioso.

 
Ballerina tiene il passo cadenzato
per far che ogni ritardo sia recuperato.
Saltarello deve scalpitare
per dare il segnale di ripartire.

 
Donato è poi la renna postino
porta le lettere d’ogni bambino.
Cupido, quello dal cuore d’oro
sorveglia ogni dono come un tesoro.

 
Quando vedete le renne volare

Babbo Natale sta per arrivare.”

  Qui però ho scovato una leggenda che narra in una versione fantasiosa e suggestiva la storia delle renne di Babbo Natale.

 

Nella notte dei tempi Babbo Natale  vide spuntare tre code d’oro da un mucchio di neve. Rimase sorpreso quando scoprì che c’erano due , e non tre, cuccioli di renna dal manto dorato. Erano renne gemelle e una di esse, Vixen, aveva due code. Mamma renna li aveva salvati dai cacciatori nascondendoli sotto la neve. Pare che Babbo Natale raccolga i loro crini d’oro per regalarli ai più bisognosi. Dixen ( Blitzen?) invece è sempre raffreddata e le gocce, che dal suo naso cadono a terra, magicamente si trasformano in bellissimi fiori.

 Comet attraversa velocissima l’universo, come una stella cometa,  e capta i desideri espressi dai bambini per poi  riferirli a Babbo Natale.

Donder è nata cantando e dall’inizio ha rotto  i timpani ai suoi genitori. Poi ha imparato a modulare la voce per cantare tutte le canzoni del mondo, imitando sia le voci maschili che quelle femminili. Controlla i bambini e li rimprovera quando combinano qualche marachella, imitando la voce dei loro genitori. Si accompagna con la ballerina Dazzle (Dancer) che conosce tutti i ritmi del mondo. Ai bimbi tristi  suggeriscono i movimenti giusti per imparare a danzare e a cantare con allegria.

Cupid ha una macchia rossa a forma di cuore sul petto, che sembra pulsare forte forte quando il vento freddo smuove il pelo. È la renna più tenera e docile, che desidera stare sempre vicino a Babbo Natale. Ha un fiuto incredibile nel trovare in una montagna di letterine quella del bambino più buono per consegnarla prontamente a Babbo Natale.

Prancer è la renna più timida, ma così timida che, per non essere vista, di giorno stava sempre nascosta dentro un albero cavo. E’ stata l’ultima renna ad essere trovata da Babbo Natale che la fece avvicinare dalla dolce Cupid. Prancer rimase stupita che nessuna renna l’avesse derisa per la sua timidezza , ma Babbo Natale le spiegò che nessuno è perfetto e che anche le altre renne avevano qualcosa di speciale. Da quel giorno Prancer lasciò il nascondiglio e tutta rossa in muso si unì in volo alle altre renne.

Dasher è la più coraggiosa del branco. Quando nacque aveva denti da castoro per cui la sua mamma la nutrì con carote perché era difficile allattarla. Dasher rafforzò la dentatura e ancor oggi vola dietro Rudolph per mettere in fuga, a suon di morsi, qualche uccellaccio malintenzionato e  pronto a rubare un sacco pieno di doni.

 Le renne poi divennero nove grazie a Rudolph, la renna dal luminoso naso rosso che a lungo fu oggetto di scherno da parte delle sue compagne. Il giorno precedente la  vigilia di Natale, Babbo Natale era molto preoccupato perché  una fitta nebbia oscurava il cielo e, se persistente, l’indomani avrebbe impedito la consegna dei doni ai bambini di tutto il mondo. Nel vederlo piangere Rudolph si intristì e il suo naso cominciò a brillare ancora di più, con grande imbarazzo della piccola renna. Babbo Natale però iniziò a fare salti di gioia, mentre le altre renne lo guardavano incredule. Quando Babbo Natale comunicò la decisione di affidare a Rudolph il compito di illuminare il cielo e guidare il branco, le renne festeggiarono  e si resero conto che a volte ciò che può sembrare un difetto, in realtà è un pregio.

 La storia di Rudolph fu scritta nel 1939 da Robert May, che lavorava in un grande magazzino di Chicago. Memore di tutte le derisioni subite da ragazzo perché considerato troppo alto e magro, inventò questo racconto che  intenerì tanti e divenne molto popolare. Circa dieci  anni più tardi  Johnny  Marks scrisse la canzone “Rudolph, the Red-nosed Reindeer (la renna col naso rosso)”  che negli anni ’50, grazie alla radio, diffuse ovunque la leggenda di Rudolph. Ancor oggi è cantata  in occasione delle feste di Natale per ricordarci la buffa renna che ha salvato la magia del Natale nella fantasia di grandi e piccini. 

Quando si gioca a tombola

 Un detto raccomanda “Natale con i tuoi, Pasqua con chi vuoi” perciò da sempre trascorro in famiglia la sera della  Vigilia e il Natale, tranne due volte che raggiunsi il consorte con prole e bagagli  al seguito. Non importa con quale ramo della famiglia si stia , anche se la tradizione vorrebbe con quello affettuosamente infestante dei parenti più prossimi. Sì perché le cose si complicano quando subentra la famiglia del/della  coniuge per cui spesso si adotta la soluzione dell’ half and half trascorrendo a turno la sera della  Vigilia e il Natale a casa dai tuoi genitori e poi dai suoi ( suoceri),  a meno che non si ricorra alla clonazione o si preferisca riunirsi tutti insieme appassionatamente.  Posso solo immaginare le diplomatiche acrobazie in cui si cimentano coloro che hanno più famiglie.

 Quando ero bambina trascorrevo la vigilia a casa delle sorelle di papà e il Natale in quella  dei nonni materni. Dopo gli esibiti e largamente apprezzati  virtuosismi gastronomici che folleggiavano in un turbinio di portate , noi bambini, più veloci della luce, aiutavamo a sparecchiare perché aspettavamo la pausa del dopo cena o pranzo per giocare a tombola. Ci mobilitavamo per svuotare la tavola e invaderla di più serie di cartelle della tombola , mentre mamma e zie già lavavano le stoviglie e preparavano il caffè da servire con struffoli e zeppole. I cugini più grandi verificavano che tutti i numeri fossero nel  panariello, per evitare un contenzioso  senza fine qualora a termine della giocata si fosse scoperto che mancava il fatidico numero che avrebbe annullato le sofferte vincite.  Io e gli altri cugini  iniziavamo a esaminare  le cartelle. Sì perché è un rituale  giocare a tombola. Ognuno ha un criterio personale di scelta di cartelle. Alcuni preferiscono pagare un’intera serie, così almeno trovano  sempre il numero estratto, altri cercano cartelle contenenti uno o più numeri porta fortuna, i più devoti  giocano solo con cartelle  marchiate dal loro  inconfondibile segno di riconoscimento. Mio fratello ne aveva una colorata di nero, che noi consideravamo nefasta perché portava fortuna solo a lui. Poi ci procuravamo i tapparielli, fagioli, monetine, pezzetti di carta per coprire i numeri, finchè non furono brevettate le cartelle con le finestrelle di plastica incorporate. Mentre gli uomini continuavano ad aiutare o a chiacchierare , noi già eravamo in fibrillazione a contare gli spiccioli, racimolati durante l’anno per le giocate di Natale. Iniziava allora la parata dei borsellini delle amministratrici delegate di famiglia, cioè delle mamme, che finanziavano i consorti. I grandi ci chiedevano di cambiare le banconote di 500 e 1000 lire e noi non aspettavamo altro per farci un po’ di cresta, giustificata dal servigio reso. Poi si concordava il costo di una cartella che solitamente era di 10 o 20 lire, che con l’inflazione aumentò a 50 , 100  e 200 lire e con l’euro a 20-30 centesimi (in tal caso melius deficere quam abundare e  non cadere nella tentazione del gioco d’azzardo). Allora le monetine fluttuavano su e giù per il tavolo, distribuite nei premi, restituite come resto o allineate in buon ordine, davanti alle cartelle, come buon auspicio di vincita. Quando finalmente la zia, padrona di casa, usciva trionfalmente dalla cucina levandosi il grembiule, eravamo tutti pronti in assetto di partenza, ben seduti e concentrati. Dopo un’animata contesa su chi doveva avere il cartellone e quindi governare il gioco, iniziava l’estrazione di numeri. Chi estrae i numeri deve essere rapido e veloce e sapere tenere banco, creare suspense  e animare la serata. Sì perché ogni numero della tombola napoletana ha un significato, a volte scurrile o allusivo, ma può divertire la combinazione che se ne fa. Per le anime innocenti presenti i numeri “sporchi” venivano taciuti , finchè furono messe in commercio le  cartelle della tombola napoletana e quindi ci istruimmo più o meno anche in questo. Bè ammetto che  ci ho impiegato circa  20 anni, facendo una memorabile gaffe pubblica, per capire che  “quella che guarda in terra” del numero 6  non era una timida pulzella, e nemmeno una che cercava quadrifogli o lenti a contatto smarrite, ma niente meno quella cosa che nel connubio col padre delle creature  contribuisce alla riproduzione dell’umana specie ( qui la spiegazione dell’arcano) .

All’estrazione del primo numero, un immancabile  spiritoso smorzava la quiete dell’attesa gridando AMBO…e solitamente la zia un po’ dura d’orecchi replicava:

“Cosa è uscito… il canto?”

“ No, no niente!”

“ Allora che ha detto?”

“Ha detto ambo, ma non è possibile farlo con un solo numero. Sta’pazziando (scherzando)”

 E via si procedeva guardando fissamente il numero che si desiderava fosse chiamato per fare ambo, poi terno, quaterna, cinquina sforzandosi di  comunicare telepaticamene con lui, che capitombolava nel panariello, affinchè si facesse catturare  e si decidesse ad uscire. Spesso capitava che due o più giocatori vincessero lo stesso premio, che veniva ripartito in ugual misura. Se ciò non era possibile, qualche spicciolo andava a rimpinguare il tombolino, democraticamente deliberato per offrire  la chance della seconda tombola. A volte si prevedeva anche una terza tombola, premiata  col tombolicchio, per  consentire quindi a più persone di vincere qualcosa.

 La tombola napoletana diverte se ad ogni numero viene associato il significato  attribuitogli dalla smorfia napoletana. I napoletani sono soliti dare i numeri, nel senso che matematizzano molto la realtà, e pure i sogni, e talvolta si accaniscono a rincorrere i numeri al lotto chiedendo devotamente aiuto a qualche santo protettore con la speranza che interceda presso la Fortuna. Ahimè non hanno ancora capito che la dea non ci vede e non ci sente.

  Intanto il numero 1 è l’Italia, forse a ricordo dell’art 1 della Costituzione che la riconosce una ed indivisibile. Olè! 2 è a’ figliola e, per prassi consolidata di casa mia, con la discrezione del mangia polpette, si chiede “ Quanti anni ha?”  Può essere che sia giovincella e ne abbia solo  23…”ma allora è pure scema” oppure 22 “ma è pazza” . Se per caso ne ha  33 , “ha  l’età di Cristo”, se supera la quarantina nasce una diatriba sul considerarla giovane o matura, se ne ha 77 è  sicuramente ‘na nennella della terza età , però dalle gambe scattanti di pin-up.  Una reazione a catena. Altro numero atteso dai bambini è il 4 ( il maiale) e il numero successivo ne conferma il peso. Il 31  prevede l’altisonante Pillicciò, che segnava la fine della conta prima di giocare a nascondino. All’11 dei suricilli ( topolini) segue la domanda “ Quanti sono?”

 

“ 65”

 “Maronna!”

 “ Sempre sia lodata”.  E mi rivedo mentre seguivo gli occhi della zia, rivolti in alto,  credendo di vedere un raggio celeste farsi strada nel soffitto.

“Che ha detto? E’ uscita A’ Maronna?”  

“No mammà. Era un’esclamazione.”

“ Ahhhhhh. E allora che è uscito?”

“65 ( il pianto)” 

“E ci credo che  tutti ‘sti surici  fanno piangere”

“ Mo’ ci vò ‘na jatta ( una gatta) .”

“ E’ uscita la gatta?…”

“No, no, sarebbe ora che uscisse  il cane ( quello vero per fare la pipì).”

“Ma o’ cane che numero è?”

 

Ad un certo punto la tiritera veniva interrotta da una telefonata. C’era sempre qualcuno lontano o in mezzo al mare che, a conoscenza della riunione di famiglia, telefonava per fare gli auguri a tutto il parentado. Seguiva un andirivieni dal tavolo al telefono, tra lacrime di commozione e abbracci a distanza che veniva poi addolcito da un giro di mustaccioli, roccocò e susamielli (dolci di Natale).

 

  Chi s’assumeva l’incombenza di estrarre i numeri scuoteva a lungo il panariello per fare crescere la suspense della tombola, il cui premio  poteva ammortizzare la spesa sostenuta dall’intera famiglia per l’acquisto delle cartelle. E allora per essere sicuri di non averne dimenticato qualcuno, a turno tutti davano i numeri chiedendo:  

“È uscito 54?” “ No”

“E 63?” “Neppure”

“ 7 ?” “Neanche.”

“E 89?” “Nemmeno.”

“Ma’ ( mamma),  dilli tutti  così ci leviamo il pensiero.”

 Nel frattempo, a mo’ di scimpanzé, sgranocchiavo noci, nocciole ed arachidi  infornate, fichi mandorlati o al cioccolato, follarielli ( involtini di uva sultanina infornata e avvolta in foglie di agrumi) mentre bicchierini di limoncello e nocino per i grandi, acqua e bibite per i piccoli, volteggiavano sulla tavola.

  Quanti ricordi, risate e voci legati alle tombolate. Di zii che abbiamo rimpiazzato agli occhi dei nostri figli e nipoti. Noi siamo il presente per le nuove generazioni , come loro lo sono stati a lungo per noi. Ogni anno rivive un po’ l’atmosfera di quella “casa senza orologi dove il  tempo era  scandito dai fiori di stagione e tralci d’edera raccolti in giardino, dai racconti, dai quadri, dai mobili, dagli affetti.

Un mondo di radici mai strappate, che mi appartiene, ancor più nei profumi, nei sapori e nelle luci che ridanno colore a scene un po’ sbiadite dal tempo e rendono  nostalgicamente caldo ogni  Natale.

 

La tombola napoletana

 

Le feste natalizie sono per tante famiglie un’occasione per ricomporsi, rivedersi, riunirsi e trascorrere insieme la Vigilia e il  Natale. Dopo baci e abbracci, conversazioni che  aggiornano sui cambiamenti avvenuti nella cerchia di parenti e conoscenti , preparativi e rituali della cena della Vigilia e del pranzo di Natale, tanti si rilassano- si spera- giocando a tombola o a carte.

La tombola è un gioco da tavolo. Il suo nome può derivare da tombolo per  l’originaria forma del panariello (bussolotto), da tumulo per quella attuale, che è piramidale , oppure dal verbo tombolare (fare roteare o capitombolare i numeri).

 

Un giocatore dispone di un tabellone sul quale colloca 90 numeri estratti uno alla volta dal panariello. Annuncia il numero uscito agli altri giocatori che su una o più cartelle (schede), precedentemente acquistate, coprono la casella corrispondente con finestrelle di plastica o fagioli, pasta, pezzi di carta. Le cartelle sono raggruppate in quattro serie di sei cartelle, diverse una dall’altra, e in ogni serie i numeri da 1 a 90 capitano una sola volta. Tutti, compreso colui che estrae i numeri, pagano ogni cartella in base ad un costo concordato e la somma accumulata viene distribuita in vari premi di importo crescente. Lo scopo del gioco consiste nel fare tombola cioè coprire tutti i 15 numeri presenti su una cartella ( tutti i cinque numeri delle tre righe). Prima però si premiano l’ambo, il terno,la quaterna e la cinquina  ( copertura di due, tre, quattro, cinque numeri sulla stessa riga). A volte si definisce un premio di consolazione, detto tombolino, per chi riesce a fare una seconda tombola.

 

Esiste una tombola napoletana dove ogni numero viene associato a un’immagine, tratta dalla smorfia napoletana, e quindi l’annuncio del numero si accompagna alla citazione del significato intrinseco, talvolta allusivo o scurrile.

La tombola napoletana nacque nel 1734 per una controversia sorta tra re Carlo III di Borbone, che voleva ufficializzare il gioco del lotto nel Regno per rimpinguare le casse dello Stato, e il frate domenicano Gregorio Maria Rocco, che lo riteneva un amorale ed ingannevole divertimento per i suoi fedeli. Il re l’ ebbe vinta ma a condizione che nella settimana di Natale il gioco fosse sospeso perché il popolo non fosse distratto dalle preghiere. Allora il gaudente popolo partenopeo escogitò il gioco della tombola che da pubblico assunse carattere familiare. I numeri furono racchiusi in un panariello di vimini e disegnati su cartelle .

Ecco di seguito i novanta numeri della tombola napoletana e il loro significato:

1 L’Italia
2 ‘ A  piccerella (la bambina)
3 ‘A jatta (il gatto)
4 ‘O puorco (il maiale)
5 ‘A mano (la mano)
6 Chella che guarda ‘nterra (letteralmente “ quella che guarda per terra”, cioè l’organo sessuale femminile.)
7 ‘O vase (il vaso)
8 ‘A Maronna (la Madonna)
9 ‘A figliata (la prole)
10 ‘E fasule (i fagioli)
11 ‘E suricille ( i topi)
12 ‘E surdate ( i soldati)
13 Sant’ Antonio
14 ‘O mbriaco (l’ubriaco)
15‘O guaglione (il ragazzo)
16 ‘O **** (il deretano)
17 ‘A disgrazia (la disgrazia)
18 ‘O sanghe ( il sangue)
19 ‘ A resata (la risata)
20 ‘A festa (la festa)
21 ‘A femmena annura (la donna nuda)
22 ‘O pazzo (il pazzo)
23 ‘O scemo (lo scemo)
24 ‘E gguardie (le guardie)
25 Natale
26 Nanninella (diminuitivo del nome Anna)
27 ‘ O cantero (il vaso da notte)
28 ‘E zzizze (air bag femminile)
29 ‘O pate d‘‘e criature (letteralmente significa il padre delle creature cioè l’organo sessuale maschile)
30 ‘E palle d‘‘o tenente ( le palle del tenente- a completamento del 29)
31 ‘O padrone ‘ e casa (il proprietario di casa)
32 ‘O capitone (il capitone)
33 Ll‘anne ‘ e Cristo (gli anni di Cristo)
34 ‘A capa (la testa)
35 L‘aucelluzz (l’uccellino)
36 ‘ E ccastagnelle ( le nacchere )
37 ‘O monaco (il frate)
38 ‘E mmazzate (le botte)
39 ‘A funa ‘nganna (la corda la collo)
40 ‘A paposcia (l’ernia)
41 ‘O curtiello (il coltello)
42 ‘O ccafè (il caffè)
43 ‘Onna pereta ‘ncopp‘‘ o balcone (la donna al balcone)
44 ‘E ccancelle (il carcere)
45 ‘O vino bbuono (il vino)
46 ‘E denare (i denari)
47 ‘O muorto (il morto)
48 ‘O muorto che parla (il morto che parla)
49 ‘O piezzo ‘ e carne (la  carne)
50 ‘O ppane (il pane)
51 ‘O ciardino (il giardino)
52 ‘A mamma (la mamma)
53 ‘O viecchio (il vecchio)
54 ‘O cappiello (il cappello)
55 ‘A museca (la musica)
56 ‘A caruta (la caduta)
57 ‘O scartellato (il gobbo)
58 ‘O paccotto (il cartoccio)
59 ‘E pile (i peli)
60 Se lamenta (si lamenta)
61 ‘O cacciatore (il cacciatore)
62 ‘O muorto acciso (il morto ammazzato)
63 ‘A sposa (la sposa)
64 ‘A sciammeria (la marsina)
65 ‘O chianto (il pianto)
66 ‘E ddoie zetelle (le due zitelle)
67 ‘O totano int‘‘a chitarra (il totano nella chitarra)
68 ‘A zuppa cotta (la zuppa cotta)
69 Sott‘e‘ncoppa (sottosopra)
70 ‘O palazzo (il palazzo)
71 L‘ommo ‘e m**** (l’ uomo senza princìpi)
72 ‘A maraviglia (la meraviglia)
73 ‘O spitale (l’ospedale)
74 ‘A rotta (la grotta)
75 Pullecenella (Pulcinella)
76 ‘A funtana (la fontana)
77 ‘E riavulille  (i diavoletti)
78 ‘A bella femmena (la prostituta)
79 ‘O mariuolo (il ladro)
80 ‘A vocca (la bocca)
81 ‘E sciure (i fiori)
82 ‘A tavula ‘mbandita (la tavola imbandita)
83 ‘O maletiempo (il maltempo)
84 ‘A cchiesa ( la chiesa)
85 Ll’aneme ‘o priatorio (le anime del purgatorio)
86 ‘A puteca (il negozio)
87 ‘E perucchie (i pidocchi)
88 ‘E casecavalle (i caciocavalli)
89 ‘A vecchia (la vecchia)
90 ‘A paura (la paura…fa novanta)

 Mi vengono in mente animate giocate a tombola , che meritano un post a parte.

E voi giocate a tombola?

A Eduardo direi: “Sì, mi piace il presepe” .

Mio papà dedicava un intero fine settimana per allestire il  presepe in un camino, ovviamente non funzionante . Preparava  la colla con acqua e farina, che  cospargevamo su carta da pacchi marrone cui davamo la forma di montagne, dipinte poi  con le tempere. Mi dava indicazioni per  costruire casette di cartone di varie dimensioni: le più piccole erano le più lontane. Il cielo era stellato, di quelli già pronti invece. Le montagne ostili, rigorosamente innevate, erano cosparse di agglomerati urbani surreali, illuminate da lucine interne che papà, armeggiando a lungo, riusciva a posizionare.

Ogni anno creavamo la grotta in un punto diverso dello scenario…a volte era arroccata, a volte in pianura. Un anno quei poveri Re  Magi, che spostavamo giorno per giorno, dovettero inerpicarsi tra stretti sentieri montani per raggiungerla. Povero soprattutto il cammello al seguito, che a stento ci passava e il più delle volte precipitava facendo una strage di pastori. Nel muschio affondavano greggi immensi di pecorelle di varia grandezza. Il laghetto era uno specchietto sovrappopolato di paperelle tra le quali spiccava pure un cigno gigantesco, che vi aveva sconfinato emigrando da un’altra collezione di animaletti.

Un giorno mia madre portò a casa nuove statuine: una vecchina che filava, un ciabattino, un pescivendolo col banchetto del pesce e una statuina mai vista prima di allora. La più affascinante di tutte. In verità era una coppia di personaggi: un uomo che portava un orso legato ad una fune. Sembravano due compari. L’orso, massiccio ed enorme, era in piedi e stava a fianco dell’uomo. Non ci azzeccava nel presepe ma forse, libero, poteva ambientarsi tra le montagne. Ne fui conquistata. Divenne la mia statuina preferita, quella che mettevo in bella mostra suscitando la curiosità di chi si trovava a contemplare il mio presepe.

Perchè fare un presepe è un rituale divertente per grandi e piccoli…ma è rigorosamente d’obbligo ammirarlo ed esprimere giudizi positivi, anche se è poco artistico o non si rispettano le proporzioni, non per altro per riverire  la fatica sostenuta e il suo intrinseco significato. 

L’allestimento di un presepe è  una vera e propria arte, molto viva a Napoli.Ogni anno mi piace visitare quelli permanenti dei Musei  ( merita di essere visitata la sezione presepiale del museo di San Martino , oppure all’entrata della chiesa di  Santa Chiara) o allestiti temporaneamente nelle chiese o nelle varie mostre della città che espongono pezzi di collezioni private. Molto originali quelli in miniatura o di terracotta protetti da bacheche e campane di vetro, incisi  con abile e creativa maestria. Quando posso, visito la via dei presepi a San Gregorio Armeno, nel centro storico di Napoli. Qui ci sono solo  botteghe artigianali rinomate per l’assortimento di  statuine che  rappresentano sia i personaggi tradizionali, sia quelli profani( pare che quest’anno siano molto richiesti (Steve Jobs, Monti, il principe  William e la consorte Kate ). Mi incanto a vedere le sfaselle (ceste) in miniatura piene di ortaggi e frutta, i cesti ricolmi di uova o formaggi, le cassettine dei pesci, polpi, crostacei e frutti di mare,  le ‘nserte (trecce) di pomodorini e  cipolle, i meloni di Natale  in rete che adornano le facciate delle tipiche case napoletane riprodotte nei presepi, le botteghe del fruttivendolo, del fabbro, del  fornaio e del vinaio, le  stalle con armenti e pecore. 

Nel presepe napoletano, gli elementi fisici e antropici dei paesaggi hanno una collocazione talvolta non  casuale ed assumono un significato simbolico. Per esempio i venditori rappresentano i dodici mesi dell’anno (il macellaio o salumiere rappresentano gennaio, il venditore di ricotta e formaggio febbraio, il  pollivendolo marzo, il venditore di uova aprile, la venditrice di  ciliegie maggio, il panettiere giugno, il venditore di pomodori luglio e quello di cocomeri agosto, il contadino settembre, il vinaio ottobre, il venditore di castagne novembre, il pescivendolo dicembre).

Il presepe è un connubio di sacro e profano, espressione di rigorosa progettualità spaziale e creatività  nella celebrazione costante di vita e morte (l’acqua del fiume e del pozzo assumono duplici significato, il ponte), del regno dei cieli (pescatore), della terra (cacciatore) e degli inferi(fiume che ricorda il traghettamento dei dannati), di realtà e immaginazione ( fontana e Benino che sogna il presepe), di eternità e tempo (le pale del mulino indicano il fluire inesorabile del tempo, il cavallo bianco  dei Magi indica l’aurora, quello rosso il mezzogiorno,e il nero la sera e la notte). Spesso La Natività è sospesa su una piccola altura, tra le schiere degli angeli e  il livello sottostante ove si muove un’umanità di popolani dalle mille smorfie e nobili compassati finemente vestiti, di umili e potenti, di gaudenti peccatori (Meretrice, Cicci Bacco col fiasco in mano) e devoti fedeli ( Stefania che si finse madre avvolgendo  una pietra nelle fasce per arrivare dal bambin Gesù e il giorno dopo la pietra fu tramutata in bambino, Santo Stefano, festeggiato il 26  Dicembre), di animali esotici e domestici.

Un popolo che coralmente avanza  verso il nuovo sole, quel Bambino che rappresenta non solo una  volontà soprannaturale, ma anche  il trionfo naturale della vita. Una vita venuta al mondo senza nulla e nonostante tutto, adorna soltanto di amore e della luce delle stelle, accolto dalla mansuetudine di un bue e di un asino, riconosciuta nel suo valore assoluto e divenuta poi un punto di riferimento per tanti. Ogni anno si rivive un po’ la magia del Natale nel suo significato di rinascita interiore forse perché, a prescindere dalla condivisione di fede, il presepe è la sintesi dell’umanità di sempre che tra arti e mestieri, stagioni, scorci di case, mari, valli e montagne, gioia e dolore (zi’ Vicienzo e zì Pascale, simboli del Carnevale e della morte), piacere e spiritualità è tutta protratta al festeggiamento della vita, quella più semplice e innocente di un bambino, sospesa tra terra e cielo, prodigio della natura o magia divina. E’ difficile definire luce e amore. Ma quel bambino ne incarna il concetto. Suscita tenerezza ed evoca la fase iniziale di un percorso, dalla quale siamo partiti tutti. 

Natale è anche questo, forse soprattutto questo: riscoperta di una dimensione che ci appartiene comunque, un richiamo a  quell’originaria  purezza d’animo che si rivive con una gioia un po’ malinconica man mano che avanzano le nostre stagioni.

Auguri di luce e serenità a tutti. Buon Natale!

 

Arriva Natale…

Nonostante le buone intenzioni dei primi giorni di dicembre, finalmente ieri ho finito di preparare presepe ed alberello creando un po’ di atmosfera natalizia senza ridurmi alla vigilia di Natale. Effetto di un ultimatum che mi sono imposta perché da anni, pur riproponendomi sin dall’ Immacolata di adempiere ai rituali natalizi, spesso e volentieri per intere settimane gli addobbi giacevano inerti sul pavimento del salotto in attesa di essere disimballati. Addirittura un anno, poiché partivamo a Santo Stefano prevedendo di rientrare il giorno precedente l’Epifania, ho bypassato l’allestimento natalizio comandato, con un po’ di senso di colpa per la cronica indolenza prefestiva.

 Quest’anno  ho rinnovato il presepe. O meglio, l’ho ridotto ai minimi termini con statuine giganti, che richiamano un po’ quelle antiche, acquistate dal consorte. Una bella Sacra Famiglia che troneggia su un tavolino, circondata  da una stella di Natale e da qualche ramo di abete e di agrifoglio. Mi spiace non poterlo fare come sempre, utilizzando la base napoletana doc di San Gregorio Armeno e  tutto l’occorrente.

 

 Colpa anche della gatta se da qualche anno rinvio i preparativi.

I gatti sono animali imprevedibili.  Apparentemente non ci sono mai mentre prepari l’albero e collochi le statuine cercando di creare un’equilibrata armonia di colori e di forme. Ma dopo l’impegno serale dell’intera tribù, adunatasi al completo per  discutere di logistica delle palle e delle luci, immancabilmente trovavo i rami bassi dell’alberello completamente spogli. Gli addobbi giacevano  sotto il tappeto o in angoli del salotto, probabilmente dopo avere rotolato a lungo. Qualche anno fa ci fu una strage di decori di paglia e un’ecatombe  di pastori. Tutti – dico tutti – comprese le pecore, rigorosamente coricati, abbattuti. Opera della gatta.

 Il gatto Tigro è troppo pigro per queste imprese. Gri Gri invece è intraprendente e molto furba. Non so se capisca o, semplicemente dal tono di voce, intuisca che è il momento di filare via. Quando trovai il muschio sparso sul pavimento, alzando lo sguardo la colsi in flagrante con un alberello del  presepe in bocca e, al mio perentorio invito di mollare la preda, pensò bene di rispondere non con una veloce fuga, ma con un salto sulla credenza, portando in salvo il suo trofeo. Da lì  continuava a puntare il presepe con occhi sempre più gialli e grandi, pronta a deltaplanarci su.

In casa non combina molti disastri. Li concentra tutti nel periodo di Natale, anche se in questa foto ha un’aria felinamente angelica.

 

Le ho parlato telepaticamente con uno sguardo inequivocabile di sfida, dicendole che se quest’anno assalta le statuine giganti, la ridurrò a manicotto dei re Magi. Mi sorprende la sua capacità di prendermi alla lettera. Stamattina il presepe era intatto. In compenso lo spiritello felino  ha sparpagliato qualche pallina dell’albero per le stanze di casa e, pur di portare a buon fine le sue scorribande notturne, ha imparato ad aprire la porta del salotto :)